XIII SULLE CENERI DEI GRUPPI: L'AUTONOMIA |
1. Le teorie del rifiuto
Le teorie del «rifiuto», nozione cerniera fra l'assunzione critica della società capitalistica e la traduzione pratica di ogni virtualità eversiva, sono l'equivoco punto d'incontro fra lo sviluppo dell'autonomia organizzata, sorta sulle ceneri dell'ope-raismo, e il vitalismo comportamentale di provenienza «situa-zionista». Si svolgono in parallelo, fino a congiungersi processi tra loro eterogenei quali: l'approccio liberatorio alle tematiche del marxismo tradizionale come tentativo di riappropriazione dei bisogni negati; i ripiegamenti di una gruppettistica in crisi; l'enfatizzazione singola e collettiva dell'azione violenta, come trasgressione e al tempo stesso come espressione fisico-emblematica di un desiderio rivoluzionario da tradurre in nuove quanto fluide, forme dell'organizzazione. Percorsi intellettuali, apparentemente marginali, spesso non ridondanti al loro sorgere e tuttavia parte del mosaico complessivo della cultura antagonista, della storia del sinistrismo e più in generale del suo immaginario rivoluzionario. Già nel '58 un piccolo convegno a Cosio d'Arroscia in provincia di Cuneo propone in Italia la «critica radicale» dell'Internazionale situazionista. Si ispira alla scuola di Francoforte, ad Adorno, Horkheimer, Pollock e al consiliarismo di Anton Pannekoek. Animatore dell'appuntamento Gianfranco Sanguinetti. Il movimento nasce in stretta relazione con le correnti della contestazione europea, in particolare il Comitato psicogeografico di Londra, il Movimento per una Bauhaus immaginista e l'Internazionale lettrista. Avanguardie artistico-creative che assumono come loro programma il superamento dell'arte e della letteratura estremizzando, sul piano dei comportamenti, il surrealismo e il movimento dada. In Francia, la sezione egemone dell'internazionale situazionista, rincontro con il gruppo Socialisme ou barbaire determinerà un netto spostamento sul terreno politico. Nella prima metà degli anni sessanta fioriscono vari gruppi e tendenze della «critica radicale», avanguardie politico-culturali che si dissolveranno nei movimenti studenteschi del sessantotto anno che segna la fine dell'internazionale situazionista in Italia. Il criticismo situazionista viene ripreso da piccole formazioni come l'Organizzazione consigliare che nasce a Torino all'inizio degli anni settanta e le cui tesi appaiono nella rivista «Acheronte», dell'organizzazione marxista-liberatoria Ludd; Consigli pro-letari che sin dal '68 opera a Genova e Milano; da alcune riviste come «S», «Hit», «Bleu». Dalla dissoluzione dell'Organizzazione consiliare nascerà il gruppo e l'omonimo giornale «Comontismo», da molti militanti della nuova sinistra accusata di anarcofascismo per il suo «avventurismo criminale». Dopo 1 esaurimento delle esperienze co-montiste e la fine del gruppo Ludd nella seconda metà degli anni settanta assumono l'egemonia «Puzz», i nuclei che orbitano attorno a «Gatti selvaggi» e «II buco». Sorta nel dibattito degli anni sessanta come nuova teoria del conflitto di fronte ai mutamenti sociali in atto e approdata nella versione di Trenti di «Classe operaia» alla «ragione» della politica, la nozione di autonomia operaia ha trovato dopo il sessantotto nella duplicità Potere operaio-Lotta continua due diverse risposte sul terreno della sua applicazione politico-organizzativa. Ma alla stregua di una contraddizione patologica, dall'interno stesso di queste esperienze, per concrezione endemica e in sincronia con l'autoalimentazione di varie dinamiche dell'illegalismo diffuso, produce il progressivo sfaldamento dei due gruppi. Si tratta di un prismatico trasversalismo che usa l'insieme del campo offertogli dalla cultura dell'antirevisionismo come area vasta da cui attingere e far emergere i punti alti dell'antistatualità, del sovversivismo di massa, degli sconfinamenti verso il terrorismo. In questo senso sarà inevitabile la resa dei conti con l'estremismo post-sessantottesco, ma occorre tagliare ogni residuo di contiguità, ogni riassorbimento, ogni virtuale riavvicinamento al movimento operaio e quando ciò si paventerà e, per effetto degli insuccessi e delle autocritiche, si manifesteranno tendenzialità positive in questa dirczione, tanto più disgregante e dissolvente si farà l'azione autonomistica. Un ruolo non secondario nello sfaldamento del gruppismo di origine sessantottesca assolvono alcune riviste underground come «Le Streghe» di Mantova, «Re Nudo» di Milano, riviste di natura fortemente eclettica come «Marxiana» diretta da Enzo Modugno, prima militante del Pcd'I e poi direttore di «Monthly review» edizione italiana. A cui si aggiunge il valore deflagrante che assume il femminismo, le sue pratiche e il suo attraversare l'insieme delle culture del sinistrismo quasi a ridefinire le forme e i valori della rivoluzione l. Secondo i teorici delle varie riviste dell'area dell'autonomia «comportamentistica-introspezione» si tratta di «operare per la realizzazione pratica del contenuto della rivoluzione» e liberandosi di ogni mediazione politica, affermare il valore dell'azione rivoluzionaria come immediata proiezione esterna 2. Si dilata all'infinito annullandolo nel nihilismo il principio maoista del distruggere per poi costruire. Sulla rivista «Le streghe» si legge: «II comunismo, la felicità qui e subito. Se le barricate sono dentro di noi, esse devono trovare la loro proiezione esterna, concreta, realizzandosi nella creazione di strutture alternative. Esse non devono mirare ad organizzare una migliore sopravvivenza nell'ambito delle condizioni esistenti, ma a creare i presupposti per la distruzione di quelle condizioni stesse» 3. Sul piano più propriamente teorico peraltro le culture situazioniste e negazioniste hanno sempre contestato il gruppismo, il partitismo e le rigidità organizzative di quella politica «espressione ritardataria di un terreno già bruciato dal capitale», che va superata con la riscoperta della soggettività dell'individuo e quindi ogni intervento autenticamente antagonista deve andare «oltre la politica e oltre il rifiuto politico della politica nella comunità in atto di un gruppo, di un nucleo, di una comune, di un luogo sterile o provvisorio e autorganizzato come prefigurazione in atto [...] della comunità reale». Le suggestioni rivoluzionarie del pre-sessantotto e il vitalismo dell'anno degli studenti, che si caratterizzavano per i forti riferimenti ideologici sono ridotti a schematismi improntati a sub-culture istintuali e ai modelli fanonisti e fochisti dei vari fogli della cultura marginale. Il fallimento politico-organizzativo del gruppismo porta con sé il suo carico di delusioni e frustrazioni, a cui si aggiungeva perdita di ogni modello rivoluzionario, in conseguenza del mutuarsi del quadro internazionale e la perdita di influenza del pensiero maoista con le complesse implicazioni ideologiche che aveva determinato. In una delle più complete raccolte antologiche dei materiali dell'autonomia II diritto all'odio, un titolo emblematicamente programmatico, la ricostruzione dei processi «dentro, fuori, ai bordi» dell'autonomia si annoda per passaggi come «negazione, area, piccolo gruppo in moltiplicazione, organizzazione, lotta armata, dal maschile...... Attraverso di essi si rappresenta la rottura operatasi col «progetto rivoluzionario che fu l'insurrezione del '68», il suo frantumarsi come organizzazione mancata e la conseguente: «richiesta di riformulazione politica e strategica dell'organizzazione stessa, liquidando una volta per tutte quelle direzioni — specialistiche — politiche, legate con un filo doppio a condizioni di potere gerarchico e/o personale che il movimento ha da tempo rigettato»4. Teoria dell'eterogeneo, del frammentario della compresenza ideologica piuttosto che la staticità della «confluenza dialettica di tendenze specifiche legate fra loro da sicure discriminanti politiche e reali». Questo accomunare sarà componente decisiva del movimento del '77, ragione stessa delloccultamento e dell'alimenta-zione del Partito armato e favorirà le sue capacità di reclutamento agevolate dalle insicurezze generazionali, dagli sfocamenti ideologici, dalla diffidenza verso ogni progetto «positivo» di cambiamento della società. Il sovversivismo, fino alle forme più crudeli del terrorismo, sarà l'assurda risposta dell'interrogativo-connessione «socialismo o barbarie» dei situazionisti, una faccia dell'antistoria, una drammatica conseguenza del rifiuto dell'idea stessa di progresso civile. La politica nelle loro definizioni è il «luogo in cui non ci può essere liberazione perché tende ad integrare i comportamenti» e quindi uno strumento di normalizzazione e di soffocamento delle molteplici manifestazioni della rivolta dell'autonomia. Partendo da questo presupposto si scade nella settorializzazione dell'intervento, assumendo come occasioni del mutamento della politica il quotidiano, l'espressione immediata della logica dei bisogni è lo sgretolamento nelle varie pratiche autoriduttrici, il tutto illuminato dalle teorie del «sabotaggio». Si enfatizzano i germi dissolutori del post-operaismo: il luddismo, il rifiuto del lavoro; il rifiuto della scuola: «Tutta la pratica di liberazione della classe si presenta come de/lirio. De/lirio: uscire dall'ordine della leggibilità, della previsione — domanda risposta — dall'ordine del contratto. Nel contratto dell'operaio (il prestatore d'opera), viene chiesto di prestare il suo tempo. Rifiutarsi di prestare tutta la vita alla fabbrica è uscire dall'ordine (che il linguaggio riproduce, parte di sé): è delirare» 5. Un'esaltazione del «delirio» irrazionale che teorizza la necessità di partire dai microcomportamenti, dal «rifiuto» globale, come fase indispensabile per la «ricomposizione di un sistema di unità desideranti», piccoli gruppi costantemente in moltiplicazione e finalizzati ovunque alla «Separ/azione» contro ogni istituzionalizzazione e ogni interclassismo. Esasperazione quindi della creatività e della fantasia, come liberazione e gestualità della protesta e della violenza, come espressioni visibili del «diritto allodio». Rifiutata la politica e l'ideologia come spettacolo del capitale, negata la storia della gruppettistica coi suoi intellettualismi ideologizzanti si approda a un qualunquismo che rifiuta la realtà, e nell'ossessione individualista annulla ogni prospettiva politica per sostituirla con l'estetismo rivoluzionario del gesto. La radicalizzazione dei comportamenti si intreccia con i moduli del terrorismo e favorirà il reclutamento del Partito armato e la sua cultura. Mentre il Manifesto, Avanguardia operaia e i residui del marxismo-leninismo con differenti accentuazioni, prendono le distanze dalla clandestinità e dalle azioni delle varie sigle terro-ristiche, Lotta continua seguirà un itinerario meno limpido e Potere operaio, decidendo l'autoscioglimento, confluirà nel magma dell'Autonomia, una terra senza confini nei confronti del-l'uso della violenza. In un complesso passaggio di fase, per effetto delle stesse sconfìtte subite, la classe operaia non è più considerata la principale protagonista del processo rivoluzionario: in una società postindustriale questa funzione dinamica e dissacrante insieme spetta ai soggetti marginali dentro o fuori del sistema produttivo. Emblematico questo documento-proclama dei comontisti: «Diretto prodotto del movimento autonomo del capitale, in ogni parte del mondo va configurandosi una nuova classe rivoluzionaria che comprende non soltanto gli individui estraniati nella produzione, ma anche coloro che, estraniati dalla produzione, attraverso il crimine e la distruzione riportano la prospettiva umana nel campo della qualità, liberandola dal dominio brutale della quantità. I Comontisti, contro ogni illusione tipo politica, si propongono di vivere, estendere, radicalmente organizzare concretamente il negativo che il mondo del capitale ha dentro di sé, costituendo un legame organico fra le isolate esplosioni di collera sovversiva, realizzando infine quella comunità di intenti e di azione che solo può abbattere il dominio della mercé e delle ideologie. Il Comontismo (traduzione di Gemeinwesen, da Com-Ontos dell'essere) non è altro che "movimento reale che sopprime le condizioni esistenti" (Marx), la comunicazione libera della ideologia. La creazione dell'ultima Internazionale deve essere oggi il bisogno concretamente umano di tutti i rivoluzionari» 6. La critica al capitalismo diventa negazione; un fatale pessimismo nella storia e nella possibilità di trasformazione, che annulla il valore e la funzione della «politica» per contrapporvi il ribellismo 7. Ostacolo al dispiegamento di quella «collera collettiva», unica portatrice di una radicale distruzione dell'esistente, la tradizione politica del movimento operaio organizzato, con la sua «ossessiva» volontà storica di «farsi Stato». Marcuse e Fanon, si ritrovano insieme, sfondo comune la desolazione e l'irrazionalismo che conducono al privilegio della gestualità della violenza. Lo sviluppo dell'area dell'autonomia nel suo filone cosiddetto «creativo» si incontra con la storia dei raggruppamenti della Autonomia operaia organizzata, in questo intreccio troverà origine, non esclusiva, il movimento della primavera '77, 1 emersione come soggetto politico della «Tribù delle talpe» per dirla con Sergio Bologna. Ma prima ancora uno snodo temporale decisivo sono gli anni tra il '72-'73 quando si conclude disastrosamente un ciclo dellestremismo post-sessantottesco e nella prospettiva ormai si delinea l'incubo della lotta armata. Partecipare a un gruppo, dividersi da questo, riunirsi per evitare l'isolamento e la quotidianità, cercare la «politica» nella vita comune, cercare di essere il «cioè» di una nuova storia: sono i processi segmentati e densi di drammi, di fuga, che segnano il puntiforme panorama dell'atomizzazione della politica. Il serbatoio da cui si alimenterà il Partito armato sfruttando l'illusione di una ricomponibilità realizzata nell'appuntamento «svolta» eccezionale. Riflusso e ricomposizione si fanno poli d'alternanza nella storia delle forme organizzate dal gruppismo. La dissolvenza di Potere operaio, ormai nella sua fase involutiva, lo porta a incontrarsi con il negativismo comontista, con l'autonomismo dei collettivi del Policlinico e dell'Enel di Roma, a divenire attraverso «Rosso» e i molti fogli di coordinamento la nuova forma dell organizzazione, a porsi, oggettivamente, come la facciata di movimento del terrorismo delle Br, dei Nap, di Prima linea. Non si tratta di un meccanico incontro di sigle; piuttosto dissolvenza, mescolamento, trasversalismo dell'illegalità; mixage; progettazione eversiva aggrumata di letteratura e pratica della crisi8. L'azione, la traduzione in forma centralizzata delle varie esperienze, è un preciso disegno politico a cui si lavora combattendo frastagliamenti e insieme sfruttando al massimo tutto il campo dell'eversione. Il tessuto connettivo è la violenza antisti-tuzionale, sempre più surrogato della politica, sempre più esclusiva rappresentazione della critica a un capitalismo vissuto come proiezione della propria marginalità. Nelle tesi per la liberazione del lavoro proposte dall'Organizzazione consiliare già nel 1970 si legge: «I consigli proletari non chiederanno nulla di meno della distruzione di questa società, dell'abolizione del lavoro, della eliminazione violenta di ogni istituzione separata (scuole, fabbriche, prigioni, chiese, partiti, ecc.) poiché esisterà il potere decisionale di ciascuno nel potere unitario ed assoluto dei consigli. I consigli proletari non saranno nient'altro che l'inizio della costruzione da parte di tutti della vita libera e felice oggi relegata nei desideri e nei sogni prodotti dall'infelicità dell'attuale sopravvivenza. Proletari coscienti, che la maledizione del lavoro sia maledetta, che l'ineluttabilità della produzione diventi il suo lutto»9. La prova è venuta da Reggio Calabria, «dove il proletariato si è costituito in teppa per cominciare la sua sfida cosciente all'incoscienza dell'ordine costituito». La critica alle istituzioni diventa disprezzo, il linguaggio nella sua truculenza evoca una violenza protestarla, qualunquista, rabbiosa: «I partiti sedicenti operai sono le vedettes dello spettacolo sociale e dell'ordine costituito. Il loro fine è la conservazione rammodernata delle miserie sociali ed individuali, per l'identifìcazione di ciascuna di esse, condite con lolio della speranza di "un futuro migliore". Questi partiti conservatori, Pci in testa, hanno il compito di limitare, per quanto gli è possibile, l'odio di classe del proletariato, trasformandola in pacifica protesta del cittadino. Il prestigio nel casino parlamentare è il prezzo delle marchette di queste troie incallite. I gruppi cosidet-ti parlamentari sono gli apprendisti stregoni della magia burocratica ed i loro sogni — incubi per il proletariato — hanno sempre la stessa idea fissa: il nuovo partito con le vecchie fregature. Costoro, infatti, palesando un estremismo verbale che rivela il loro trionfalismo ideologico, contrabbandando per la lotta rivoluzionaria slogans privi di contenuto, tendendo la realtà a lotte sempre più parziali anche se massimaliste (orario, salario, affitto, etc.)» 10. Il salto rivoluzionario degli strati marginali non può che essere il sabotaggio: «Agli idioti che credono che i proletari si battono per gli aumenti di un salario illusorio o per migliorare una "vita" così schifosa che può essere rivoluzionata ma non migliorata, ebbene a costoro hanno già risposto i proletari non solo italiani ma di tutto il mondo con: sabotaggi, violenza contro i capi e i burocratici, saccheggi delle merci da essi stessi prodotte, odio per il lavoro manifestato con l'assenteismo generalizzato, occupazione di fabbriche non per condurre le vecchie merci ma per costruire gli oggetti di cui i proletari hanno bisogno» n. Uno sfondo teorico che porta all'interesse per le carceri, per le rivolte carcerarie, che spinge alla costruzione dell'organizzazione rivoluzionaria tra i detenuti. Ma queste attenzioni non sono finalizzate a generici «recuperi», a superare le arretratezze delle istituzioni negate, sono recuperi per la rivoluzione, sono leve da sfruttare per la distruzione dell'ordine sociale.
Nel darsi una storia, i Comitati autonomi operai di Roma nella loro rassegna antologica Autonomia operaia, fanno risalire la loro formazione ai processi che si sono sviluppati «già da prima del '68 con i fatti di corso Traiano e di piazza dello Statuto». Quindi si collocano in un processo di continuità interrotta in cui il «dato emergente dell'autonomia operaia difetta ancora di soluzioni organizzative perché represso dai partiti revisionisti e confinato nello spontaneismo della logica subalterna dei gruppi della sinistra extraparlamentare» u. L'esperienza politica dei gruppi, un' esperienza «vissuta intensamente», ha lasciato segni di «frustrazione diffusa» in quelle che vengono definite le avanguardie di lotta. I fallimenti organizzativi, «il forzato rinvio» della prospettiva rivoluzionaria, l'incapacità di costruire «l'auspicata organizzazione di classe» sono i marchi di questa frustrazione. Nasce da ciò la critica sempre più aspra ai modelli e alla pratica politica dei minipartiti dell'estremismo, anch'essi ormai istituzionalizzati. Tra il '72 e il '73 le rotture, allora non clamorose, che attraversano tutte le formazioni del gruppismo. A Roma, il Comitato politico dell'Enel, e il collettivo dei lavoratori del Policlinico escono dal Manifesto. Fallito ogni tentativo di unificazione con Potere operaio rifiutano, considerandola un'ammissione di subalternità al Pci, la liquidazione dei Comitati politici decretata al convegno nazionale di Milano. Contestata la piattaforma di Rimini, definita «primo segno del macroscopico cedimento in atto», la critica investe tutta 1 esperienza del Manifesto e in particolare la persistente ambiguità verso la sinistra storica, conseguenza ed effetto delle stesse scelte organizzative: «Ma questo cedimento è diventato possibile perché il partito stesso che si configura già ora, nel suo embrione organizzativo, come dirczione elitaria; centralismo (democratico) anziché centralizzazione dal basso; impossibilità di un uso politico costruttivo del dissenso; sostanziale identificazione della dirczione nazionale con la redazione e il gruppo parlamentare» 13. Il commissariamento di Eliseo Milani non dà alcun risultato. I dissidenti cercano di «bombardare il quartier generale» del Manifesto, cercano di coallzzare attorno a loro le forze antagoniste che si riconoscono nella piattaforma dell'autonomia operaia. In seguito al rifiuto di Milani di legittimarla come controparte la frazione dissidente del comitato politico Enel rompe con il Manifesto, lanciando un atto di accusa contro il verticismo burocratico del gruppo e 1 opportunismo della sua linea politica: «Concludendo, invitiamo la base militante in buona fede a prestare debite attenzioni a quanto avviene oggi all'interno del Manifesto e a smettere di fare da supporto ai burocrati e ai falsi parolai, del resto sempre molto timidi rispetto ai capi carismatici; e a smascherare fino in fondo, senza ambiguità, questi «dirigenti» e la linea che questi impongono, per sbatterli giù dalle loro poltrone e avviarli a una pratica di lavoro che da molto tempo hanno preso in funzione della cooptata carica di dirigente per alcuni, per altri acquisita per diritto «divino» di rappresentare o aver rappresentato le istituzioni» l4. Comitato politico Enel, collettivo lavoratori e studenti del Policlinico, militanti della Fiat Grottarossa, formano così il nucleo embrionale del gruppo romano di via dei Volsci. Il pretesto è stata la conduzione delle lotte, nelle scuole e nelle piazze, ma la divergenza reale è sul come radicalizzare lo scontro. La prospettiva è quella di riferirsi all'area politica che si riconosce nell'autonomia, condizione decisiva per evitare l'istituzionalizzazione dell'organizzazione e lo scadimento parlamentaristico. Obiettivo la «costruzione di un partito che diriga l'apertura di un processo rivoluzionario». Quasi contemporaneamente nascono le Assemblee di Porto Marghera e dell'Alfa Romeo, che prendono le distanze dal gruppismo tradizionale. Potere operaio, anche se nel suo seno si confrontano linee diverse sui temi del partito e della lotta armata, è consapevole della metamorfosi in atto e finirà per concorrervi acquisendola come continuità e sviluppo della propria ipotesi organizzativa e politica. Per il gruppo, uscito dal congresso del '71, avvinghiato dalla morsa dell'illegalismo e proiettato verso il partito del-l'insurrezione, lo sviluppo dell'autonomia è la nuova sponda che si offre per riagglutinare la microconflittualità e incanalarla in una centralizzazione svincolata dalle esigenze partitiche del gruppismo. Su «Potere operaio del lunedì», nel novembre '72, si legge: «...noi non crediamo giuste quelle posizioni che vedono in questi momenti organizzati delTAutonomia solo degli strumenti di transizione a livello di massa di linee politiche precostituite, degli strumenti di organizzazione di lotte settoriali che vengono riunificate dalla posizione politica di un gruppo. Siamo cioè contro quei gruppi che credono di essere il partito rivoluzionario e che gli organismi autonomi debbano diventare i loro organismi di massa» 15. L'approdo non è stato immediato e all'interno del gruppo si sta andando a un'irreversibile resa dei conti. Analogo rifiuto di ogni pratica di direzione politica, riconducibile ai moduli del partito, si ritrova nelle motivazioni che inducono l'Assemblea autonoma dell'Alfa a rompere con Lotta continua e le altre formazioni accusate di voler conquistare i loro spazi di egemonia riducendo a «intergruppo» la dinamica pluralistica dei movimenti autonomi: «Noi abbiamo posto alcune discriminanti, non crediamo che il partito operaio rivoluzionario possa formarsi nel modo tradizionale: gli intellettuali che danno una linea che poi scende nelle fabbriche a cercare le avanguardie che portino avanti questa linea. Questo non è possibile. I vari movimenti autonomi debbono direttamente contribuire a costruire il partito della classe operaia. E non riconosciamo in nessun gruppo questo partito» 16. Sincronica al procedere dell'area negazionista cresce l'Autonomia organizzata. Il convegno di Napoli, 25-26 novembre 1972, a cui partecipano i rappresentanti romani dei collettivi Enel e del Policlinico, i gruppi napoletani dell'Usd; il successivo convegno di Firenze del '73 e infine, nel marzo dello stesso anno, il convegno di Bologna, sono le principali tappe che portano alla costituzione di un primo coordinamento nazionale. Già a Napoli tema di fondo è la questione della violenza «rivoluzionaria», unico terreno per vincere l'ondata repressiva del capitalismo e del revisionismo, il suo principale alleato. Ancora una volta il Meridione sembra essere prescelto come potenziale laboratorio, area di concentrazione esplosiva delle contraddizioni sociali in cui «le forme delle lotte, anche immediate tendono in modo sempre più chiaro a sviluppare la tradizione di lotta, anche armata, delle masse meridionali» ". Più in generale: «la violenza operaia è violenza di massa nel momento in cui interpreta le esigenze di tutta la classe». Da questa premessa scaturiscono gli obiettivi di lotta: salario garantito, sconfìggere la mobilità e la polivalenza, battersi contro i licenziamenti, i ritmi, il loro affitto, il caro bollette... Sperimentare forme di assenteismo e sabotaggio produttivo 18. L'attenzione è al territorio, luogo dove si può ricomporre la frattura occupati-disoccupati, luogo dove si possono sperimentare le zone di coordinamento territoriali. I partecipanti del convegno di Napoli decidono di inviare una delegazione a Milano e a Porto Marghera per incontrarsi con le organizzazioni autonome; di promuovere a Firenze una riunione operativa nazionale; di lanciare per il 12 dicembre, anniversario della strage di Stato una campagna di manifestazioni di lotta. Il preconvegno di Firenze si svolge il 27-28 gennaio '73 e le strutture che vi aderiscono: l'Assemblea autonoma dell'Alfa Romeo, della Pirelli, il Comitato di lotta della Sit Siemens di Milano, l'Assemblea autonoma di Porto Marghera, il Comitato operaio della Fiat-Rivalta di Torino, il Comitato politico Enel e il Collettivo lavoratori e studenti del Policlinico di Roma, i Comitati operai di Firenze e Bologna, l'Usd di Napoli, le Leghe rosse dei contadini di Isola Capo Pizzuto e Crotone, lanciano il convegno nazionale che si terrà a Bologna il 3-4 marzo del 1972. Lo stesso «Potere operaio» propaganda l'appuntamento bolognese. Annunciandone la convocazione scrive: «in discussione è un progetto di centralizzazione delle forme di autonomia operaia che dentro la crisi del sistema, diventi la risposta organizzata del movimento all'attac-co concentrico della borghesia, dia una soluzione positiva alla crisi dei gruppi e alle settorialità delle singole lotte ed esperienze» 19. L'ipotesi da verificare è la possibilità di unire attorno al programma del salario garantito tutte quelle forme di lotta che partendo dall'immediatezza dei «bisogni» sappiano proporsi come nuova democrazia proletaria e diventare un punto di riferimento contro il ricatto della crisi e della falsa democraticità dello Stato del lavoro. Per comprendere il conflitto ormai apertosi tra monoliti-smo organizzativo e destrutturazione è utile riportare le considerazioni di Potere operaio alla vigilia di Bologna: «Deve essere ben chiaro che è passato il tempo dei coordinamenti delle esperienze di base. I comitati operai possono essere oggi quella rete attorno a cui convogliare le forze rivoluzionarie che sono sorte in questi anni in Italia per dare loro forma di partito. Ma questo è possibile a condizione che i comitati partano dal punto più alto della sintesi dell'esperienza politico-organizzativa del movimento, e cioè dal programma del salario politico e dalla lotta armata come unico mezzo adeguato a questo programma»20. Se ciò non avverrà, precisa Potere operaio, ogni coordinamento sarà transitorio e volontaristico, una delle tante varianti dei gruppetti. La relazione introduttiva al convegno di Bologna parte dall'eccezionale valore delle lotte del '68-'69: uno scossone eversivo che ha spazzato via l'illusione riformista e capitalistica dell'omologazione della classe operaia. È proprio in questo crinale dello scontro di classe che «il rifiuto di massa da parte operaia di accettare il lavoro come terreno di scontro, rifiutandolo e basta, prende il nome di autonomia» 21. Secondo questo schema interpretativo, nel fronteggiare questa nuova forza, l'imprevedibilità del rifiuto, nel breve volgere di alcuni anni lo Stato della programmazione non avrà altra scelta che tramutarsi nello «Stato della crisi, della violenza antioperaia». Saltano così le due facce del riformismo, quello di stampo amendoliano e quello razionalizzatore e pianificatore stile La Malfa. Esiste una stretta connessione fra valore dell' autonomia e crisi, per questo, compito della classe operaia è approfondirla e radicalizzarla. Le varie piattaforme contrattuali proposte dai sindacati sono altrettanti ostacoli frapposti alla scelta dell'autonomia come «alternativa organizzata ai bisogni del capitale e alle organizzazioni tradizionali della classe legata ai bisogni». Senza esitazione occorre, dunque, tagliare ogni cordone ombelicale coi consigli dei delegati, paravento istituzionalizzante delle lotte operaie. In polemica con le altre formazioni estremistiche, in particolare con le posizioni che si fanno strada in alcuni settori di Lotta continua, si mette in guardia dalla confusione ingenerata dalla paiola d'ordine dell'abbattimento del governo Andreotti. Partendo dal presupposto che «la soluzione repressiva» è gestita tutta in nome dell'ordine democratico e costituzionale, qualunque governo, sia esso di centro, di centro-destra o di centrosinistra, risponderà sempre con gli stessi strumenti repressivi contro l'autonomia. Per conquistare il modesto risultato della caduta del governo Andreotti, sarebbe fuorviante ogni unanimismo, si tratta infatti di un'ipotesi del tutto riassorbibile dal riformismo. Unica strada per l'alternativa rivoluzionaria è procedere, dotandosi di moduli organizzativi propri, sul terreno «non legalistico» del movimento e dell'«autogestione dello scontro». La «centralizzazione dal basso» è la condizione indispensabile del processo rivoluzionario e del partito rivoluzionario. In polemica con le soluzioni organizzative tentate e fallite dei gruppi la prospettiva dell'Autonomia si rappresenta più dinamica e meno strutturata. Ormai si è a una stretta «le scadenze politiche faranno giustizia dei gruppi, decideranno chi è destinato a sopravvivere». Contro il verticismo del farsi partito si indica una dialettica permanente fra la centralizzazione e quelle situazioni destrutturate dove esplode, per vie interne o su sollecitazione esterna, la forza disgregante dell'autonomia: «Intanto stronchiamo, però, l'illusione che il partito nasca dai gruppi, stronchiamo l'illusione che si possa saltare l'organizzazione dal basso delle avanguardie di massa. C'è oggi un unico modo per costruire un processo unitario di promozione dell'organizzazione rivoluzionaria: quello di puntare sull'autonomia e fare di essa il polo dialettico dei gruppi, costringendoli ad una verifica con la classe stessa. Questo nuovo problema organizzativo che si presenta come un approfondimento del significato che diamo ali'autonomia, impone un nuovo compito politico, di cui dobbiamo farci carico: l'organizzazione politica operaia non esiste senza coscienza dell' autonomia e questa non si attua senza una presa di coscienza del problema del potere; il nostro compito è quello di ricostruire nella classe operaia questa coscienza del potere proletario che le organizzazioni tradÌ2Ìonali hanno distrutto nella classe. Se non saremo in grado di ricostruire questa coscienza del potere nella classe non saremo capaci di costruire la strada per un' alternativa di potere, e la lotta ristagnerà dentro gli schemi di una coscienza puramente rivendicativa» 22. Il potere significa violenza proletaria e, quasi definendo manuali di comportamento dell'illegalità per «valutare quando la violenza è braccio armato o no», si teorizzano come parametri dell'azione violenta: il suscitare adesione, partecipazione, riproducibilità; una strumentazione funzionale alla disarticolazione della democrazia politica. Sono gli stereotipi attraverso cui si possono leggere le pratiche terroristiche, le modulazioni propagandistiche dei signori della guerra, le spirali di sangue dei nostri «anni di piombo» con le loro farneticanti prospettazioni politiche. I 400 delegati che si riuniscono a Bologna decidono i primi strumenti di coordinamento: un bollettino politico con carattere mensile, un'articolazione del lavoro sui temi del Sud, della violenza, dei vari settori d'intervento. Partecipano ai lavori bolognesi le seguenti situazioni di lotta: Milano - Alfa Romeo, Pirelli, Sit Siemens, Farmitalia, Binda; Porto Marghera - Petrolchimico, Chatillon, Rex Pordenone; Napoli - Ignis, GIE, Italsider, Edili, Porto, Sip, Mecfond; Torino - Fiat Mirafiori, Fiat Rivalla, Telemeccanica Afm; Genova - Italcantieri, Ansaldo Meccanico, Ansaldo Nucleare; Ferrara - Montedison, Eridiana; Firenze - Galileo, Carapelli; Roma - Enel, Policlinico, Sip, Edili. Il «Bollettino degli organismi autonomi operai» numero unico esce il 12 maggio del '73, seguirà un secondo numero. Prende corpo il progetto di «un piano di violenza a lungo termine» dentro una crisi repressiva di lunga durata a cui la classe deve rispondere non nella vecchia «spirale repressione-lotta-lotta alla repressione» ma come coscienza di massa organizzata dell'insubordinazione. Simmetricamente le Br, nel loro documento-intervista pubblicato su «Potere operaio del lunedì» nel marzo dello stesso anno, teorizzano la presenza attiva all'interno «di ogni manifestazione dell' autonomia operaia» per unificarla attorno alla «proposta strategica della lotta armata per il comunismo». Lungo le direzioni di marcia tracciate a Bologna, sempre nel maggio, il convegno di coordinamento a Torino esamina la fase seguente «all'occupazione» di Mirafiori e alla conclusione dei contratti. Se le Br si propongono come struttura clandestina che guarda al Partito della lotta armata, per l'Autonomia si tratta di non separarsi dal movimento proprio per volgerlo verso un progetto di organizzazione della violenza, unificando i comportamenti operai e quelli dei proletari dei quartieri in una comune strategia dell eversione. Sono due volti della violenza illegale che entreranno in reciproca risonanza producendo con le loro mutevoli interferenze i punti di contatto operativo e teorico, vasi comunicanti di un medesimo disegno eversivo. Militarismo e movimentismo armato diverranno le componenti della dialettica terroristica, nuova versione sul fronte della clandestinità e della azione armata, della querelle «partito-spontaneità» che la fluidità del campo dell'autonomia presenta in una nuova e più inquietante versione.
In questo scenario, mentre matura la crisi-riconversione di Potere operaio, analoga sorte segue il gruppo Gramsci. Scrivono i comitati romani di via dei Volsci «la scelta sarà comunque una scelta obbligata, sarà l'Autonomia operaia». Dunque ancora una volta la «vecchia talpa» ha ben scavato. Nel lungo seminario di Padova (28 agosto) Potere operaio, insieme ai militanti delle situazioni autonome più rappresentative, passa al vaglio la sua storia di gruppo per concludere con l'autoscioglimento e la confluenza nel campo vasto dell'Autonomia. Guardandosi bene dallo smarrire la propria esperienza, e precipitando ulteriormente lungo il piano inclinato del «partito della insurrezione», lanciato nel congresso del '71, per gli ex di potop si ricomincia da capo operando «una radicale campagna di rettifica di linea e di dissoluzione della "struttura di gruppo" una vera e propria rivoluzione culturale nell'ambito dell organizzazione della sinistra rivoluzionaria» 23. Da Potere Operaio, dalle sue varie scomposizioni e occultazioni nelle forme autonomistiche, si origina un pullulare di sigle: «Senza padroni» alla Alfa, «Mirafiori Rossa» a Torino, «Lavoro zero» a Marghera, «Rivolta di classe» a Roma; «Linea dicondotta», il gruppo che più di ogni altro sembra voler mantenere una continuità con le originarie matrici operaiste. Negli stessi mesi si realizza l'autoscioglimento del gruppo Gramsci, provocatoriamente, ma significativo del clima del periodo, si afferma la priorità delle scadenze e dell'articolazione del programma di lotta su ogni teoria, elemento quest'ultimo che è stato motivo surrettizio di unità o di falsa divisione fra i gruppi. E tempo di dire «basta con la società del vivere e del lavorare»24. Il passato, anche se rivisitato, non è rinnegato. Per lo più si tratta di militanti di provenienza studentesca, con cultura post-sessantottesca cresciuti nella vicenda dell'estremismo, nella lotta degli studenti medi; qualche scarso contatto con la classe operaia, qualche influenza nei settori dei servizi e negli ambienti impiegatizi. Nato nel gennaio '71 da una scissione del movimento studentesco della Statale di Milano, il gruppo Gramsci si era subito collocato in posizione critica verso le «proposte politiche» della sinistra extraparlamentare considerate limitative nella loro visione più rigidamente partitica. Riconoscendo la debolezza dei rapporti dell'estremismo con le masse, il gruppetto tenta un approfondimento di ricerca sulla linea dell' esasperazione «autonomistica». I «Quaderni di rassegna comunista» e l'omonima rivista non vanno oltre le petizioni di principio e, sia sul piano teorico che pratico, si dimostra la velleità del declaratorio «costruire un'altra forza» del processo rivoluzionario. Dopo una brevissima vita, il convegno di Agape (1-3 settembre 1972) e poi quello di Milano (12-13 maggio 1973) decretano di superare la fase gruppuscolare per sciogliersi nell'autonomia: «Come gruppo, siamo giunti alla decisione di scioglierci per poter, nei fatti e nella pratica, realizzare il centro della nostra proposta politica: l'organizzazione della Autonomia operaia e la pratica di un embrione di dirczione operaia sul processo di organizzazione e sul movimento. Il nostro scioglimento non è però una proposta che riguarda solo una nostra riorganizzazione (sia pure allargata ai collettivi politici operai): è una proposta di cui non pensiamo affatto di avere il monopolio, anche se ci va bene di esserne, con le nostre forze, portatori e propagandisti. Sappiamo che altri, per le altre strade, sono giunti allo stesso risultato; e che altri ancora, nel prossimo futuro sperimenteranno fino in fondo la crisi del modo di far politica gruppettistica. Non solo: ma che in fabbrica e nelle scuole inizia una fase di scontro violento con la linea e la pratica riformista che aprirà ampi spazi per un lavoro politico diversamente organizzato. Pensiamo dunque che questa proposta, nata dentro la nostra pratica politica, sia matura anche in rapporto alla fase politica che si apre (e per questo lo scioglimento era irrimandabile)» 25. La commissione nazionale, decisa al convegno di Bologna, inizia a funzionare da centro politico di coordinamento prepara le prime proposte organizzative per la riunione nazionale che si svolge nel settembre a Milano, indica nei comitati di reparto la struttura molecolare del progetto complessivo dell'autonomia. Analoga logica guida l'intervento nel sociale, e in particolare laddove più acuta è la volontà di lottare, cioè in quei settori dove più aspre si manifestano le contraddizioni delle regole ca-pitalistiche e il «rifiuto» ha già trovato le sue forme di espressione come il sottoproletariato urbano, le carceri, le zone di varia marginalità, la stessa criminalità. Comitati di reparto, comitati di quartiere, debbono unificarsi in una comune capacità di attacco, essenziale a questo fine la tessitura organizzativa. «Ricominciare non significa tornare indietro» aveva affermato Potere operaio al momento del suo scioglimento, e pur riconoscendo che «la crescita della dirczione operaia delle lotte e dell'organizzazione ha dissolto le istanze organizzative dei gruppi» tuttavia aggiungeva: «La centralizzazione, il partito non sono dei miti, non sono la soluzione delegata del problema della dirczione collettiva del proletariato; sono invece un processo di lotte e di organizzazione, vissuto ogni giorno, nel difficile cammino della formazione organizzativa del programma. Il nostro problema non è altro che quello di congiungere in modo corretto, e quindi efficace, la compatta autonomia della classe operaia e i movimenti della sua avanguardia. La classe operaia si fa partito attraverso la centralizzazione dei propri movimenti. Questo processo di partito può essere anticipato solo attraverso la centralizzazione di base, pratica e non ideologica, attuata nella con-centrazione di una forza di massa e di un'iniziativa di attacco. E per questo che la centralizzazione che proponiamo e cominciamo a mettere in atto per noi stessi si presenta come forza espansiva, come struttura espansiva, che raccoglie per esaltare (e non per illanguidire, come avviene nei gruppi) ogni iniziativa proletaria contro il lavoro» 26. La fase è magmatica e solo con il convegno di Roma nel gennaio '74 si riuscirà a realizzare una maggiore centralizzazione, verifìcando il processo in atto nei vari gruppi dell'autonomia organizzata. Come quindicinale del gruppo Gramsci a partire dal 19 marzo del 1973 esce la rivista «Rosso». Si è nella fase di passaggio. La presentazione è essenziale, bastano «quattro parole»: «Giustificare l'uscita di un quindicinale è semplice. Siamo un gruppo, abbiamo una proposta politica che si differenzia dalle altre, vogliamo farla andare avanti» 27. Si vuole parlare a chi lotta con tenacia nelle scuole e nelle fabbriche, una lotta che ormai dura da più di cinque anni; si vuole partire da quello che essi esprimono e da ciò creare le condizioni per «far marciare una proposta rivoluzionaria realistica». Si vuole partire dalla fabbrica dove la classe operaia ha dimostrato di essere forte: «estranea» al modo di produzione capitalistico, «autonoma» negli obiettivi e nelle lotte. Da ciò impostare un programma di lotta «per l'egualitarismo e per l'unità di classe contro la divisione in qualifiche, contro la divisione tra impiegati e operai, contro orari troppo lunghi per salari troppo bassi, contro i ritmi e le nocività, contro la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, cioè contro questo modo di produrre» 28. E ancora intervenire nella scuola dove si esprime l'estraneità allo studio, alla scuola come «fabbrica di qualifiche e di divisione», e su questa consapevolezza costruire le basi per una comune alleanza con la classe operaia: questa «estraneità» è la forza su cui far leva per realizzare quella «realtà finalmente concreta su cui far marciare il progetto per il comunismo». «Rosso» si proclama un giornale «aperto» e non di «bottega»; un giornale, non per ripetere quello che si è, ma che cerca e vuole il concorso delle lotte per esprimere l'«autonomia» come «bisogno materiale» di una radicale distruzione di questa società. Sul numero 2 del periodico (2 aprile del '73) si lancia una campagna nazionale di lotta contro le «bocciature e gli esami a settembre». La piattaforma si presenta rozza nella sua radicalità «no alle bocciature, no agli esami a settembre, no ai voti di condotta, pre-salario per tutti, scuola totalmente gratuita». Le forme dell'organizzazione si limitano alla riproposizione dei collettivi operai e studenti mentre il mensile teorico del gruppo affronta il tema del partito: «inizio di un dibattito con le avanguardie autonome, Avanguardia operaia e Lotta continua». Il quindicinale esplora le situazioni di fabbrica, inneggia con trionfalismo alla lotta Fiat del marzo '73 definendola un fatto storico, torna con insistenza sulla spiegazione teorica della autonomia 29. Nel tentativo di trovare aree di unificazione ripesca la Rivoluzione culturale cinese, nel numero 4 di «Rosso» del 7 maggio '73 appare un ampio inserto «La Rivoluzione culturale è morta, viva la Rivoluzione culturale». A Milano, il 12-13 maggio si svolge il convegno nazionale del gruppo Gramsci, tema: «Bilancio politico e dibattito su organizzazione e partito», si riprendono molti degli argomenti già presenti nel convegno di Agape del settembre 1972. A distanza di poco verranno pubblicate le tesi del gruppo Lotta di classe e organizzazione dell'autonomia e problema del partito. Con il numero 6 finisce la pubblicazione del primo ciclo del quindicinale «Rosso», la fascetta di copertina annuncia la necessità di sviluppare un discorso critico, si chiedono contributi in preparazione della ripresa delle pubblicazioni per il 1° ottobre. Gli spezzoni del gruppo confluiscono nell'Autonomia organizzata che avvalendosi di questi apporti come del contemporaneo concorso dell'ex Potere operaio compie un ulteriore salto di qualità 30. Nella riunione di coordinamento che si svolge a Milano il 13 settembre del '73, appare evidente la volontà dicentralizzarsi sfruttando una programmata disarticolazione del gruppismo. Un'intenzione che deve però fare i conti con le specificità delle varie realtà, con progetti e strategie molto diverse fra loro. Prende forma in quei mesi la galassia dell'autonomia: i collettivi veneti, i comitati operai romani, le esperienze napoletane. A ottobre del 1973 esce il periodico «Controinformazione», numero unico in attesa di autorizzazione, la rivista diventerà tristemente nota come fiancheggiatrice del terrorismo, uno dei principali veicoli di diffusione del materiale delle Br e delle varie formazioni del «partito armato». A questa prima serie collabora lo stesso Toni Negri. Già sul numero unico trova ampio spazio il drammatico episodio di Primavalle, Come costruire una strage con poco, dettagliatissima la documentazione, numerosi i materiali delle Br: il comunicato sulla gogna a Bruno Labate, i documenti Guerra al fascismo di Almirante e Andreotti, Lotta armata per il comunismo, si riportano stralci dell'opuscolo Guerra ai fascisti nelle fabbriche torinesi. Sul concetto di «convenienza operaia» insiste il documento firmato Assemblea autonoma Alfa Romeo, Assemblea autonoma Pirelli, Comitato di lotta Sit Siemens, in preparazione del nuovo appuntamento nazionale fissato a Milano nel dicembre '73: «Punto di partenza deve essere il criterio di convenienza operaia, criterio che pone in modo sostanziale sul terreno dell'illegalità, convenienza che talvolta può essere perseguita anche attraverso forme di azione diretta che entrano nella sfera della cosiddetta violenza proletaria» 31. Firmano il documento le Assemblee autonome Alfa Romeo, Pirelli e il comitato di lotta Sit-Siemens. A Milano, la formula sarà generalizzata, essa rappresenta: la proiezione in fabbrica della teoria dei bisogni, un'acquisizione soggettiva e individuale che porta subito non solo all'impatto con le leggi e le regole della produttività, a misurarsi nella «lotta quotidiana» contro di esse. Soggetto collettivo organizzativo è l'autonomia come rifiuto di ogni «ordine» e il comitato di reparto è l'unità operativa nella fabbrica. Se realizzare e praticare la linea della «convenienza operaia» significa fuoriuscire da rapporti precostituiti, da leggi e regole fissate è evidente che questa forzatura si pone subito sul terreno dell'illegalità costruendo «forme di azione diretta» che entrano nella sfera della cosiddetta violenza proletaria ". A Roma, nel gennaio '74, si realizza una più compiuta verifica dello sviluppo dell'autonomia e della sua capacità di autostrutturarsi lungo le direttrici già fissate dal coordinamento nazionale. L'analisi della situazione riprende lo schema operaistico della unificazione sul «salario» e rispetto al quadro politico si denuncia il patto di centro-sinistra, come programmazione della tregua sociale, e il revisionismo come garante della cosiddetta «solidarietà produttiva». La mozione conclusiva è esplicita: «II governo di centro-sinistra è l'artefice della programmazione della tregua sociale. Il nuovo modello di sviluppo diventa lo sfruttamento ancora più intenso della classe operaia per costruire sulle sue fatiche la rinascita nazionale e la ripresa produttiva. Sindacati e partiti riformisti rappresentano gli intermediari che garantiscono questo progetto presso la classe operaia cercando di fargli sposare la solidarietà produttiva. Oggi l'alternativa per la classe operaia è quella di non accettare la rassegnazione, di lottare sui propri bisogni immediati e di prospettiva, mettendo al centro della ripresa delle lotte la fondamentale necessità della crescita dell'organizzazione autonoma in fabbrica a partire dalla linea e dal reparto [...]. E il salario che oggi unifica la classe e mette ancora più in crisi i padroni. Per questo oggi borghesia, sindacati, riformisti chiamano corporativa la classe operaia quando chiede salario e se ne frega degli interessi nazionali del paese; i suoi interessi sono opposti a quelli dei padroni, tanto meno si possono conciliare all'interno di una crisi che la classe operaia deve spingere perché si trasformi nella tomba dei padroni e nella nascita del potere proletario» 33. Intanto si consolida la presenza autonoma nell'area dei servizi, un rafforzamento che utilizza al massimo le sacche di corporativismo, spinge alla polverizzazione rivendicativa mascherandola dietro la presunta «convenienza operaia» e sfruttando come cassa di risonanza l'estremizzazione delle forme di lotte. La scelta di quest'area di intervento corrisponde a una logica ben precisa: disarticolare e provocare il massimo di enfatizzazione attorno alle singole lotte: «Nella maggioranza dei servizi una contestazione continua della "produzione" si traduce in un disagio e in una maggiore sofferenza per la classe operaia e le masse popolari» 34. Il convegno romano accanto ai comitati di reparto nelle fabbriche e ai collettivi nei servizi rilancia l'intervento sul territorio, attraverso le cosidette zone proletarie. Il territorio è il punto di sintesi di lotte studentesche e operaie, è nel territorio che il padrone vuole riappropriarsi della violenza sociale, quindi in esso occorre costruire forme di «contropotere» affermando una «pratica di violenza adeguata» al di fuori di ogni legalità. «La zona non è dunque una struttura di propaganda finalizzata al conseguimento di obiettivi minimali o alla generica lotta antifascista, ma è una struttura di contropotere proletario ed è proprio nella costruzione di questo progetto territoriale rapportato alla situazione politica della sinistra rivoluzionaria che si ha la possibilità di superare la logica e lo spirito dei gruppi, organizzando su un programma comune le avanguardie autonome che il movimento ha espresso in questi anni. Infatti con la costruzione delle zone si dovrebbe riuscire ad integrare in un progetto comune quelle avanguardie autonome che militano nei gruppi e che sono oggi coinvolte nella conservazione del proprio gruppo, e non nella costruzione dell'organizzazione complessiva di cui il proletariato ha bisogno» 35. Anche se si rifiuta il modello e la pratica organizzativa dei gruppi, considerandoli ormai intrappolati nella morsa opportunismo-riformismo, si riconosce loro un ruolo decisivo nella formazione delle avanguardie rivoluzionarie e si sottolinea la necessità di agire nei loro confronti per arginare ulteriori scivolamenti spostandoli sul terreno dell'autonomia organizzata, liberandoli da ogni illusione. Punto di coagulo dell'arcipelago autonomo: l'assemblea cittadina, aperta a tutte le formazioni politiche della gruppettistica e ai vari organismi di base collettivi e comitati di fabbrica. Roma sarà la città laboratorio di questa operazione. Il processo di sfaldamento del gruppismo operaista e la ricomposizione in un tessuto omogeneo si avvia fra molte differenziazioni. La questione più controversa è l'organizzazione, su questo tema si riflettono ipotesi ancora divaricanti, conseguenza della storia dei singoli spezzoni confluiti, nonché del permanere di logiche residuali da piccolo gruppo. Commentando la riunione nazionale di Milano (25-26 maggio) «Rivolta di classe», giornale dell'autonomia romana, nel giugno '74 scrive: «Esistono a tutt'oggi contraddizioni e incomprensioni nell'area dell'Autonomia operaia nazionale. Prova ne è la stessa convocazione della riunione fatta dai Cpo, (i Comitati politici operai che costituivano l'ex gruppo Granisci), prima ancora di aver chiarificato il processo di scioglimento del gruppo Gramsci all'interno dell'area dell'Autonomia operaia. Un problema reale da risolvere, se si vuole marciare sulla strada dell'organizzazione e della promozione dell'Autonomia operaia senza ripercorrere vecchi schemi burocratici «gruppisti», è chiarire la funzione e il ruolo di quei gruppi o spezzoni di gruppi che, in un modo o nell'altro, entrano nel processo di costruzione e centralizzazione delle avanguardie autonome; è stato il caso di una parte di Potere operaio, è ora quello del gruppo Gramsci. Questo processo di scioglimento è un merito dell'Autonomia che è riuscita a far maturare una serie di contraddizioni strutturali all'interno dei gruppi rivoluzionari che hanno dovuto fare i conti con la sostanza del movimento di classe, senza infoltire le file degli opportunisti e dei neo-revisionisti. Non si può pensare, però, che questo processo possa avvenire di colpo attraverso una o più riunioni nazionali che lo decretino e lo sanciscano definitivamente, esso si realizza tramite una verifica continua del programma che si concretizza e cresce parallelamente nelle situazioni significative di classe, soprattutto quelle dove sono presenti gli organismi politici di massa Autonomia operaia. Esiste ancora il rischio concreto di tentazioni "gruppiste" che l'Autonomia operaia organizzata non può assolutamente correre». Anzi deve fare giustizia di tutte le logiche opportunistiche presenti al suo interno che si manifestano soprattutto oggi nella tendenza a mantenere efar pesare sugli altri organismi autonomi la rete e i mezzi organizzativi ereditati dal gruppo» 36.
4. L'Autonomia organizzata
L'assemblea cittadina, che si svolge a Roma il 22 luglio del '74, vuole uscire dallo schematismo ideologico, uscire dal settorialismo delle esperienze locali per costruire «poli di riferimento alternativi» non come sommatoria di esperienze ma per determinare un nuovo livello di sintesi che guardi alla costruzione dell'Autonomia organizzata. Rifiutate le annose dispute della gruppettistica, non si tratta di essere maoisti, marxisti-leninisti, stalinisti, operaisti, spontaneisti, lottatori continui, manifestini, e la nomenclatura può continuare, ma essere rivoluzionari dentro situazioni eversive e di lotta. Sono le premesse per l'Autonomia come «area». Su «Gatti Selvaggi», nel gennaio 1975 nell'articolo La politica come radicalizzazione (pratica del rifiuto) si legge: «Non siamo marxisti, tanto meno leninisti o stalinisti, siamo delle coscienze rivoluzionarie. Ci sta bene tutto ciò che è realmente radicale, seppelliamo i cadaveri delle vecchie ideologie!!». Con l'assemblea romana si vuole andare oltre gli organismi nazionali definiti a Bologna, strutture che avevano dato vita alla prima fase di coordinamento delle varie formazioni autonome, e, come si scrive nel documento di convocazione, «realizzare a Roma un polo alternativo di classe». Si insiste sul ruolo delle «zone proletarie», aree di intervento di «contro potere» proletario, nelle quali sia possibile realizzare il programma eversivo dell'autonomia e riproporre in termini nuovi una fusione delle varie frange di un post estremismo in crisi. Nell'autunno una riorganizzazione dei comitati nel veneto, per qualche verso la loro nascita in quanto organizzazione autonoma dopo la scomparsa di Potere operaio e le molte crisi del gruppismo. Si definiscono struttura in transizione, «soggetto politico collettivo» che guarda al partito, articolato su base terrioriale se è organizzato in nuclei, attivi di 37 zone, commissioni. Rompere il processo di normalizzazione della lotta di classe in fabbrica e nel territorio è il titolo del documento su cui si realizza il coordinamento nazionale delle assemblee, dei collettivi e dei comitati autonomi operai. Si autoescludono da questo processo i militanti dell'assemblea autonoma dell'Alfa Romeo. L'espansione organizzativa è l'obiettivo fondamentale che si propone per superare quello che sprezzantemente viene definito il «marciume montante dell'opposizione all'interno di quella che fu la sinistra rivoluzionaria». Spezzare dunque le pratiche entriste nel sindacato, le molteplici forme dell'istituzionalizzazione del gruppismo, i connubi elettoralistici col revisionismo, per costruire nel territorio, nella fabbrica, nella scuola momenti di potere operaio. Considerata ormai insufficiente l'esperienza del «Bollettino nazionale» sia come espressione di una linea unitaria, sia come luogo di un virtuale confronto fra realtà diverse, si affida a «Rosso» il compito di avviare, senza mortificare i vari fogli e bollettini locali, una fase di transizione verso la fondazione di un vero giornale nazionale. Altra tappa verso la centralizzazione il convegno regionale a Napoli, nel novembre '74. Nella città l'Autonomia si è affermata nelle lotte per l'occupazione delle case, le autoriduzioni sulle bollette, nella costruzione del movimento dei disoccupati organizzati. Il documento napoletano non fa mistero sulla propensione alla lotta armata di alcune aree dell'autonomia e precisa: «La nostra scelta è per il lavoro politico di massa. Pur riconoscendo una qualche anticipazione e indicazione di lotta armata da parte di alcune organizzazioni clandestine che si richiamano all'autonomia operaia, non possiamo accettare una dirczione tutta fuori dal movimento che può creare l'illusione della esistenza di un braccio armato che può fare da solo senza la necessaria crescita politico-militare delle masse 38. Attorno alle parole d ordine dell'autonomia si moltiplicano le iniziative di lotta in fabbrica e nel territorio. Esplodono le varie forme di disobbedienza civile 39. Numerosi si formanocomitati e collettivi autonomi: «L'emorraggia costante di avanguardia di lotta, di singoli militanti o gruppi di essi, dimostra come l'Autonomia operaia rappresenti sempre più la tappa obbligata, un referente complessivo per la crescente contraddittorietà interna al movimento il numero degli "ex" aumenta in continuazione e non riguarda più gruppi come Potere operaio o il Granisci, ma torna da vicino buona parte delle organizzazioni marxiste-leniniste, gli anarchici e la stessa Lotta continua»40. All'insegna dell'antifascismo militante, si sviluppano le azioni punitive e le rappresaglie; l'autonomia guarda con attenzione alle «lezioni» impartite dalle Br ai «fascisti in camicia bianca» e contro i fascisti di sempre uniche risposte al legalitarismo della sinistra tradizionale, e all'opportunismo della raccolta di firme per la messa fuorilegge del Msi proposta dai gruppi. L'infìttirsi dello stragismo accelera la militarizzazione dell'antifascismo militante. «Uccidere i fascisti non è reato» titola un volantino dei Comitati autonomi operai di Roma all'indomani della strage di Brescia. E ancora: «Compagni lavoratori non bastano le manifestazioni grandiose di questi giorni. Non vogliamo più piangere i nostri morti» 41. A Roma, il 5 settembre '74, la rivolta di San Basilio. La polizia irrompe nel quartiere per sgomberare gli appartamenti Iacp occupati da circa un anno. Le iniziative di Lotta continua sembrano ottenere un risultato. Non sarà così: tra il 7 e 1'8 settembre scontri durissimi fra polizia e occupanti, militanti di Lc e di autonomia. Trova la morte Fabrizio Ceruso del Comitato proletario di Tivoli. «Pagherete tutto!» titola il volantino dei comitati autonomi operai e scrive «E caduto colpito dalla stessa mano che organizza le stragi fasciste, che varca le odiose misure di rapina antipopolari, che parla di democrazia mentre esercita una dittatura. E caduto da partigiano dopo aver lottato con intelligenza e volontà, contro questa crisi della borghesia, in alternativa al riformismo che disarma le masse, per l'autonomia delle lotte e dell'organizzazione della classe operaia, per la costruzione del partito rivoluzionario, per il Comunismo...» 42. In tutto il paese si moltipllcano le azioni contro le sedi del Msi attentati, scontri, iniziative che culmineranno nel drammatico aprile '74. Quattro morti in tre giorni: a Milano, lo studente Claudio Varalli, ucciso da un fascista, Giannino Zibecchi dei Comitati di vigilanza antifascista ucciso dai carabinieri; a Torino Tonino Micciché militante di Lotta continua è ucciso da Paolo Fiocco guardia giurata dei Cittadini dell ordine; a Firenze è ucciso, in uno scontro a fuoco fra autonomi e polizia, il militante del Pci Rodolfo Boschi. La crisi del gruppismo è irreversibile, di essa in tutto il territorio nazionale si avvantaggia 1 espansione dell'autonomia. Ai nuclei originari di Padova, Roma, Napoli, Milano si aggiungono le assemblee cittadine di Firenze, Genova, Cagliari, dell'area del Lodigiano, di Reggio Emilia, Bologna. Nuovi militanti si fanno protagonisti di questa fase e portano con loro nuove e più acute contraddizioni, fra le principali una coscienza antirevisionista vissuta come rottura acquisita e definitiva con il movimento operaio tradizionale, non mediata più da alcuna riflessione teorico-ideologica. Commentando le giornate dell'aprile '75, «Rosso» scrive: «Ma le giornate dell'aprile non sono solo un fatto quantitativo, non solo il prodotta delle lotte continuamente prodotte dell'autonomia, sono anche un fatto qualitativo. Una nuova generazione di militanti ha preso la testa del movimento. Sono quelli che non avevano fatto il '68, che hanno appreso la gioia della lotta attraverso le battaglie di questi anni; sono i compagni per i quali la lotta di appropriazione e per il comunismo è una parola d'ordine immediatamente attiva» 43. E in questa fase che su «Rosso» i teorici dell'autonomia portano fino alle estreme conseguenze lo smantellamento dell'ideologismo sessantottesco, deUe sue derivazioni più o meno mediate dal gruppismo, e delle riletture in chiave partecipativa democratica del Pci. Si avvia in questo modo il percorso che porterà alla miscela teorico e organizzativa terrorismo-autonomia che sarà nel '77-'78 il banco di prova del partito armato. Il dibattito sulla lotta armata e il giudizio sulle prime forme organizzate di terrorismo ha diviso il gruppismo post sessantottesco. Alle responsabili rimozioni del Manifesto e di Avanguardia operaia hanno fatto da equivoco contrappunto l'oscillante disponibilità di Lotta continua e il deliberato progetto di scioglimento di Potere operaio. In questo contesto l'area del-l'autonomia diventa lo snodo fra il militarismo del nucleo storico delle Br e reversione diffusadel sovversivismo della sinistra extraparlamentare. Già nel documento Autonomia operaia e organizzazione del gennaio '73 dell'assemblea autonoma della Pirelli, Alfa Romeo e del Comitato di lotta Sit-Siemens, il problema della lotta armata è posto con estrema nettezza: «ogni processo rivoluzionario passa per via dell'azione diretta. Il movimento che non si propone il discorso dell'illegalità della lotta in senso strategico e non solo tattico, non potrà mai avere una funzione rivoluzionaria» 44. In risposta alle prime azioni esemplari delle Br in fabbrica si arrivano a prospettare i parametri delle «convenienza della lotta proletaria». L atto terroristico deve suscitare «adesione, approvazione, partecipazione» al tempo stesso deve contenere una carica esemplificativa tale da riprodursi e radicarsi come forma di intervento nella coscienza delle masse. Sul piano strategico: «Le eventuali azioni devono essere coordinate dall'azione politica generale, cioè essere interne allo scontro di classe nel senso di essere utili e funzionali al conseguimento degli obiettivi che sono il sostegno della lotta sia in senso tattico che strategico. È chiaro che da questo punto di vista il criterio con cui i compagni si fanno carico all'interno della situazione di classe della capacità di muoversi sul terreno dell'azione diretta non può essere niente che faccia riferimento ad un servizio d'ordine Katanghese e di tipo "braccio armato". Tutto deve essere riversato nella capacità politica dei nuclei operai di saper colpire nel momento buono, nella dirczione giusta secondo il polso e il grado di coscienza operaia, contro l'organizzazione capitalistica del lavoro e la sua struttura produttivistica, contro gli strumenti della repressione padronale» 45. Ancora più esplicito l'opuscolo Controprocesso Rossi pubblicato nel maggio '74 dai comitati autonomi operai. «Noi pensiamo che il patrimonio dei compagni dei Gap genovese vada inquadrato all'interno dell'esigenza comune di determinare in Italia sbocchi di potere per il proletariato. È chiaro che non esistono però scorciatoie, nel senso che ci deve essere almeno la condizione per cui chi da l'esempio sia seguito sul suo stesso terreno. Ne queste scorciatoie si possono definire «come inizio della lotta armata in Italia», perché allora noi abbiamo chiari i presupposti di cosa si intenda per lotta armata e della possibilità che il proletariato ha di vincere lo scontro con la borghesia. Perché non bastano queste azioni — effettuate a centinaia dal movimentno uscito dal '68 — o di altri dieci sequestri, per affermare che si è aperta la fase rivoluzionaria. Necessitano un'organizzazione proletaria di massa — l'Autonomia operaia organizzata — e un Partito comunista rivoluzionario, che sappiamo comandare, generalizzare e usare i mille episodi di scontro di classe armata, che realmente possono determinare l'apertura del terreno rivoluzionario. A questi compagni va comunque il merito di aver posto un'esigenza concreta, parte integrante del movimento rivoluzionario, di averla risolta, tenendo anche conto del periodo in cui agivano, in modo improvvisato e per questo soggetta a molti più errori e aperta alla provocazione borghese» 46 Esplicitando la parola d'ordine «lotta armata per il potere proletario», lanciata in concomitanza con 1' esplosione in forme violente della disobbedienza civile, «Rosso» scrive: «La lotta armata è una fase avanzata dello scontro di classe, la cui apertura è determinata dalla maturazione di sufficienti rapporti di forma e di un'organizzazione rivoluzionaria, il partito, che ha reale e profonda unità con le strutture di contropotere proletario in grado di guidare e reggere e alla fine di vincere lo scontro. Le azioni di cui discutiamo non possono rappresentare la maturità della "lotta armata" ma ne possono rappresentare i primi embrioni soltanto se procedono di pari passo con il farsi carico delle difficoltà e delle contraddizioni che da qui al lungo periodo vivrà ancora il movimento di massa» 47. Il partito rivoluzionario è il punto d'approdo a cui si guarda e tutto è finalizzato alla concretizzazione di questo obiettivo politico-militare che deve coniugare fra loro forme legali e forme illegali della lotta armata. Tuttavia non sono spente le divergenze fra le varie anime del multiforme panorama autonomistico. Tra il '74 e la fine del '75 sono approdati all'autonomia spezzoni eterogenei del gruppismo, accanto al nucleo romano del-l'Autonomia organizzata figurano, infatti, con differenti posizioni: l'esperienza dell'ex Potere operaio, fra l'altro divisa al suo interno, il pullulare di sperimentazioni locali; l'ex gruppo Granisci, la Federazione libertaria romana; militanti usciti da Lotta continua in coincidenza con il suo primo congresso nazionale. In molti casi le diversità si limitano allo spirito di gruppo e al solidarismo di passate esperienze, tuttavia sullo sfondo il nodo essenziale rimane la strategia verso il partito e le forme dell'organizzazione. Terreni comuni sono il rifiuto del lavoro, l'illegalità di massa, l'esasperazione del conflitto sociale verso l'appuntamento finale della lotta armata. L'accelerazione verrà dopo il 20 giugno '76, il quadro politico che ne scaturisce, in particolare le caratteristiche del governo di solidarietà nazionale, determinerà le coordinate attorno alle quali realizzare un più selvaggio attacco armato contro lo Stato. L'unificazione diventa «l'autonomia» come comportamento, come pratica politica dell'eversione. E proprio questa consapevolezza che consentirà a Toni Negri, dopo le mediazioni tentate con «Rosso», di superare la strettoia delle forme organizzative per prospettare e auspicare, elemento chiave per gli sviluppi successivi della violenza politica nel nostro paese, una fluida e magmatica convergenza verso l'accelerazione della «guerra civile». L'operazione sarà esplicitata nel documento Situazione del-l'autonomia e fase politica, redatto da Negri nel '76 vuole offrire una piattaforma programmatica attorno alla quale comporre la poliedricità di esperienze e di obiettivi dei vari organismi autonomi. L'asse strategico diventa la fondazione di una pratica di intervento tale da «rendere irreversibile il terreno della guerra civile come unico sbocco vincente della maturità del conflitto di classe» 48. Assunta come attuale la dimensione politica della «guerra civile» Negri esce dal dilemma partito-movimento, prospettando un sistema policentrico in cui tutte le diversità autonome siano sfruttate al massimo nella medesima dirczione dello scontro e dell'illegalità diffusa: «Per quanto riguarda il rapporto fra assi organizzati dell'autonomia e assi complementari (piccoli gruppi, comportamenti collettivi creativi; ecc.) è nostro interesse determinante nel confronto di queste forze la più ampia articolazione, recuperare la ricchezza di forze esistenti nell'espansione del movimento organizzato senza negarne la specificità» 49. Tuttavia l'ipotesi prospettata da Negri non sembra sufficiente, proseguono le alterne dispute e la stessa rivista «Rosso» dopo le ripetute proclamazioni di organo-strumento di coordinamento nazionale attraversa una crisi di identità. Continua la proliferazione dei fogli locali: nel 1976 i collettivi politici milanesi stampano «Senza Padroni», quelli veneti si riconoscono nel foglio «Senza Tregua»; a Roma i collettivi di via dei Volsci hanno come loro organo prima «Rivolta di classe» e successivamente «I Volsci»; a Napoli è pubblicato «Comunismo». A ottobre del '76 dalla redazione di «Rosso» esce la rappresentanza romana dell' Autonomia organizzata sul loro foglio «Rivolta di classe» una lettera aperta spiega le ragioni della separazione 50. Ribadendo i motivi del dissenso metodologico e organizzato che hanno caratterizzato la loro esperienza nel giornale, il gruppo romano sottolinea l'irrealismo informativo e interpretativo di «Rosso», la perdita di centralità della classe operaia delle grandi fabbriche per privilegiare gli strati emergenti o per «nuovi» o riconcettualizzati soggetti politici (l'operazione sociale), attenzione condivisa ma giudicata non sufficientemente analizzata e viziata da «affrettate concettualizzazioni di sapore marxiano, sociologismo di derivazione meno nobile e originale» da cui deriva la troppo frettolosa decretazione a morte dell'operaio di massa. Da Roma — dunque — un invito a tornare al rapporto con la classe operaia e a concretizzare l'ipotesi teorico-strategica dell'autonomia nell'organizzazione operaia. Stanno maturando tutte le premesse del movimento del '77. Nemmeno il più acrobatico sforzo retorico-commemorativo potrà assimilarlo al Sessantotto, sono mutate fondamentalmente le loro «preistorie», in oltre un decennio si è consumata una rottura insanabile con la tradizione culturale e politica del movimento operaio e democratico del paese, lo scontro sarà frontale, emblema ne diventerà il giovedì nero all'Università di Roma con l'assalto a Luciano Lama, segretario nazionale della Confederazione sindacale.
Se è erroneo far coincidere la storia dell'autonomia con la biografia intellettuale e la pratica militante di Toni Negri, tuttavia non c'è dubbio che esse ne rappresentano una componente decisiva e offrono una chiave di lettura fondamentale per comprendere il costante dialettizzarsi fra memorie dell'estremismo, autonomia organizzata e non, vitalismo e teorie situazioniste, sovversivismo vecchio e nuovo e terrorismo. Nel pensiero di Negri si addensano simultaneamente, formando un sistema, le multiformi correnti culturali che si scontrano e si confrontano fin dalla seconda metà degli anni sessanta, si combinano fra loro negandosi e rifondandosi in una sequenza in cui l'analisi si fa perentoria sentenza e l'estetismo si fa violenza della sovversione. Scrive Giorgio Bocca nel suo II caso 7 aprile: Toni Negri e la grande inquisizione: «...il Negri intellettuale e, verrebbe da dire, intellettuale marcio, è inscuidibilmente unito al Negri lirico-sovversivo; come se, al termine dell'astratta e un po' traslucida avventura della ragione, venga colto da un orgasmo eversivo, da una incontenibile voglia dionisiaca di amore e di morte, di ebbrezza e di distruzione». E ancora: «... più spesso nell'orgasmo finale dei suoi scritti, demonizzazione mitologie, secolarizzazione, settarismo, messianesimo, e altri caratteri della letteratura marxiana vengono travolti da un autentico, incontenibile empito di pensiero distruttivo, da un desiderio vorace e devastatore»51. Ma il professore padovano non è un letterato, ha scelto da sempre la milizia politica e anche le sue devastazioni espressive sono strumento e progetto politico, la forma del suo scrivere è conseguenza delle ipotesi strategiche che propaganda, alle quali lavora intessendo la sua rete organizzativa, utilizzando sapientemente il suo ruolo di intellettuale in un sistema culturale pronto e masochisticamente disponibile a farsi dissacrare, provocare, sbeffeggiare, a subire i fascini di pericolose diversità. Nei primi anni di formazione politica Negri dalla milizia cattolica, derivatagli dalla sua tradizione familiare, approda al Psi del primo centro sinistra, condivide il travaglio della sinistra socialista incontrandosi con il gruppo redazionale dei «Quaderni rossi». Nella sua autobiografìa intellettuale, scritta in forma di lettere ad un amico immaginario — Pipe Line, un condotto sotterraneo «che si nutre della terra, scorre porta energia» " — indica come punto di partenza della sua riflessione teorica le novità sociali che formano l'oggetto della osservazione critica del Panzieri dei «Quaderni rossi». Ma a differenza di quest'ultimo per Negri il problema non sarà la «rifondazione» della sinistra tradizionale quanto il suo uscirne prepotentemente all'insegna di un antirevisionismo che ne vuole ossessivamente smantellare la cultura politica e teorica. Portando alle estreme conseguenze le contraddizioni che si agitano nella redazione dei «Quaderni rossi» e spunti teorici presenti in nuce nello stesso Panzieri, il terreno di scontro sarà la nozione della politica. Su questo punto la rottura che si realizza con «Classe operaia» di Tronti: un dibattito che proseguirà nel binomio autonomia del politico e autonomia operaia, nell'operaismo del presessantottc fino alle prove organizzative di Potere operaio, nelle teorie della guerra civile e nello spostamento d'interesse dall'operaio massa all'operaio sociale della metà degli anni settanta. Piazza dello Statuto a Torino svela l'altro movimento operaio, quello della spontaneità, della distruzione, rappresenta da vero l'intuizione di una consumata separazione fra progetto come forma, partito come regola interna al capitalismo, fra politica come disciplina di classe e il comunismo come liberazione del e dal lavoro. Assunto il principio del tradimento delle organizzazioni operaie, non nei termini soggettivi degli emmellisti ma come obsolescenza di fronte alla natura del conflitto sociale, il riferimento obbligato diventa la diversità come testimonianza della non inquadrabilità e tutto, parole d'ordine, piattaforme, forme di lotta, sarà proiettato verso la negazione-distruzione dell'esistente fino alle forme estreme della guerra civile a cui Negri approda nella fase conclusiva di Potere operaio. Più consapevolmente di altri leader del gruppismo vi è nel pensiero di Negri l'acquisizione-necessità di un mutamento radicale della dimensione nota della politica, rovesciandone la presunta impostazione razionale. La politica diventa il territorio del comportamento eversivo, non solo come condizione esistenziale ma come scardinamento dei suoi moduli teorico-pratici e per questa via interviene come variabile programmata e al tempo stesso impazzita nello scenario dei rituali normativi della democrazia politica. Ricostruendo le tappe venete dei gruppi operaisti lo stesso Negri ammette la doppiezza di quella fase: il trascinarsi della contraddizione fra memorie della tradizione operaia e il nocciolo teorico dell'autonomia. Da ciò deriva l'equivocità delle piattaforme, i tentativi di darsi obiettivi massimalistici, gli sforzi organizzativi che non possono conciliarsi con un disegno strategico che non prevede tappe intermedie che brucia ogni evento nell'ossessione del gran rifiuto. Se Trenti collocherà lo scontro fra modo di produzione e Stato nell'ambito di una prospettiva di «crisi provocata», per Negri questo scontro si deve attualizzare misurandosi con la sua radicalizzazione immediata e la violenza ne diventa la forma oggettiva e soggettiva ". In entrambi vi è la crisi dell operaismo di derivazione «Quaderni rossi» - «Classe operaia», per il primo la centralità operaia si ripropone ambiguamente nel rapporto col partito come tradizione e per il suo valore specifico di mediazione, mentre per il leader dell'autonomia essa si reinventa nell'immediatezza dei bisogni dell operaio sociale e le forme del-1 organizzazione altro non sono che potenti anticerpi alla statualità totalizzante: «Spetta al partito rompere il comando. Il partito è il rovescio — potente — dello stato dei padroni, partito antistato»54. Se per Trenti è sufficiente codificare un ineluttabile ritardo del partito sulla società, limitandone la funzione alla mera dialettica fra poteri, per Negri l'organizzazione è connessione fra i vari livelli della sovversione. In questo senso la domanda e l'implicita risposta sul ruolo del partito data in Dominio e sabotaggio. «Il problema del partito oggi è l'effettualità di una contraddizione reale, cioè la sua "non resolubilità"». Ma subito dopo la contraddizione è eliminata assumendola; infatti se il centro della lotta è l'autovalorizzazione come opposto della forma-Stato, «facoltà di destrutturazione e destabilizzazione continua del potere nemico», allora la questione partito è solo riconducibile, in una ferrea separazione, «a funzione della forza proletaria intesa alla garanzia del processo di autovalorizzazione». Il ragionamento si esplicita ulteriormente: «Solo una diffusa rete di poteri può organizzare la democrazia rivoluzionaria, solo una rete diffusa di poteri può permettere di aprire una dialettica di ricomposizione che riduce il partito a esercito rivoluzionario, ad esecutore non prevaricante della volontà rivoluzionaria» M. Non meraviglia dunque che nelle teorizzazioni di Negri si assista alla compresenza di motivi tesi a dare organizzazione all'autonomia e alla loro negazione. Si tratta infatti di un procedimento del tutto organico alla peculiare concezione del partito-organizzazione come sistema di raccordo dentro e fuori al movimento reale dell'autonomia, massima concentrazione eversiva nella dinamica della lotta di classe. Senza entrare nel merito della validità giuridica del cosi-detto teorema Calogero, non c'è dubbio che la ricostruzione del magistrato padovano, al di là dei diversi capi di imputazione addebitati a Negri e agli altri leader dell'autonomia, ha il pregio di individuare in queste teorie e nella pratica che ne consegue la rappresentazione più compiuta del congiungimento terrorismo-sovversivismo che si realizza nella seconda metà degli anni settanta. Il limite consiste nel dare unitarietà all'insieme dei progetti eversivi maturati all'interno dell'estremismo di sinistra facendoli divenite meccanicamente teoria e pratica diretta. Il Partito armato, da ciò il suo riprodursi, sarà una realtà destrutturata su cui più volontà agiranno orientandola in molteplici direzioni. Sia le Br, nate dal ceppo vetero-stalinista a cui si mescolano i vari fraintendimenti del pensiero Mao Tse-tung, sia l'au-tonomismo nato dal dibattito sulla nuova conflittualità sociale, lavorano da sponde opposte e tuttavia convergenti per imporre un unico comando sul fronte armato e proprio dalla loro complice concorrenzialità originano incontri e scontri nello stesso campo eversivo. Per un assurdo del tutto interno alla spirale in cui si è avvitato l'estremismo spetta alle macabre scansioni del Partito armato ricomporre ad unità l'insieme di pluralità apparentemente inconciliabili fra le teorie e le sottoteorie in cui si sono segmentati gruppi e gruppetti. Per Negri il principale punto di contatto è la dimensione della «guerra civile» 56. Prima di ogni ipotesi organizzativa si tratta di unire i vari progetti eversivi, compiuti o in nuce, i modelli organizzativi saranno la logica conseguenza. Nasce da ciò il confuso percorso che vede il leader padovano espulso da Potere operaio mentre al tempo stesso è il principale tessitore dei fili teorico-organizzativi della sua riconversione. Tappe contraddittorie quali: la partecipazione alla redazione di «Controinformazione» a cui segue il distacco; il rapporto con le Br e le polemiche; la presenza nella redazione di «Rosso» nel vano tentativo di riannodare l'insieme del panorama della nascente Autonomia organizzata e non. In questo accidentato itinerario Negri non si pone come leader di una singola organizzazione quanto il protagonista di un intenso lavorio al crocevia di molti percorsi eversivi. Alle soglie del 71 rincontro con i Sap una formazione modesta, successivamente l'attenzione e i rapporti con le Br. Ma per Negri non si tratta mai di realizzare meccaniche fusioni quanto di sfruttare le differenze e trame il massimo di profitto sul piano dell'attacco allo stato. È insofferente allo schema di partito armato e guarda piuttosto alle molteplici occasioni che si offrono alla lotta armata. Le Br esistono e sono anch'esse espressione della tendenzialità alla guerra civile. Il rapporto ( necessario anche se non basta. Così lo stesso Negri ricostruisce tré momenti decisivi de suo rapporto teorico-politico con le lotte e gli scenari sociali del la prima metà degli anni 70: «Fra il 1971 e il 1973 si ricostruisca intero il potere propulsivo della reazione collettiva del capital< a livello mondiale, dopo la sconfitta che esso aveva subito negl anni sessanta. È un elettroshoch. È una specie di congresso di Vienna. Kissinger = Metternich? [...] Una rete a fili multicolor sempre più spessa. '71-73, non li studieremo mai abbastanza questi tre anni. L'idea stessa, borghese, del potere si modifica non è una risultante ma una predeterminazione, non accetta costi di mediazione. Vacillano e si rideterminano presupposti teo rici. Non era la prima volta che la bufera disperdeva le tracce di un cammino da seguire. Tutto è stato previsto ed è logico ci ripetevamo. Perché farci travolgere dalle sue inaspettate di mensioni?»57. In questa transizione per Negri mutano le ragioni e le con dizioni del conflitto sociale. Saltano ipotesi teoriche precedenti non vale più il principio secondo cui «ogni passaggio in avanti nella qualità e nella dimensione del dominio ha comportato un; riqualificazione del movimento sovversivo delle masse». E proprio questa concezione che viene meno, una concezione chi contiene in sé una simmetria del potere e una costante «omologazione», «come se proletari e padroni si equivalessero, comi se una distanza stellare non dividesse gli uni dagli altri» 58. S tratta dunque di rovesciare i vecchi canoni della lotta di classi dare «nuova figura e trovare effetti vincenti in processi dei qua] stavamo intuendo l'aurora» 59. Occorre passare ad un'organizzazione di contropoteri d massa che si distenda sulla totalità del sociale. Un processo rivo luzionario completamente riappropriato dalle masse. Alla rottura dei mezzi di valore dello stato pianificato deve dunque seguire lo sviluppo di un rapporto fra proletari e Stato che assuma l'antagonismo nella totalità sociale, come chiave di lettura e di progetto. Negri stabilisce dunque un nesso inscindibile fra interpretazione della nuova conflittualità sociale, come espressione della crisi moderna e progetto rivoluzionario. Nascono inediti e imprevedibili fenomeni collettivi dotati di una loro forza autodistruttiva «di attacco, di devastazione, di appropriazione che sono il risvolto (oscuro e lucido, chi può discriminarlo?) di una crescita di comunità e di autovalorizzazione individuale e di gruppo». Su questi precari scenari sociali occorre lavorare per ricostruire le condizioni dell'organizzazione pluriennale delle forze d'attacco contro il capitale percorrendo per intero la strada del-l'antistato sfruttando fino in fondo la forza lievitatrice della crisi. «1973-1974: quanta fatica attorno a questi problemi, eppure che salda convinzione di essere dentro ormai definitivamente ad una nuova fase della lotta di classe. La crisi doveva essere vista come dislocamento globale e collettivo dei valori [...]. Il livello più alto della crisi era una nuova figura — e la più matura — della lotta fra le classi. Basta con la visione lineare e dialettica del ciclo sviluppo-crisi» 60. E questa la radice della conversione dissoluzione di Potere operaio e Negri ne rappresenta al punto più alto la contraddittorietà. Per il leader padovano si avvia la sua navigazione intorno all'arcipelago dell'autonomia. E un mondo composito e anche le sue capacità mediatorie e teoriche saranno messe a dura prova, l'unitarietà non sarà mai definitivamente raggiunta. Le esperienze di Padova saranno diverse da quelle di Roma, la realtà napoletana diversa da Milano e così via. Molteplici percorsi che mettono insieme reduci del gruppismo, proletariato marginale, terroristi vetero-stalinisti e nappisti, violenza politica e violenza sociale.
NOTE
1 Sul rapporto autonomia-femminismo cfr. G. Martignoni - S. Morandini, «II diritto all'odio», Bertani, 1977, pp. 328-390. 2 Cfr. «Socialisme ou barbarie, Antologia di temi situazionisti», Guanda, 1969, con scritti di: P. Chaulieu, P. Cardan, C. Montal, C. L'efot, A. Pannekoek. Il riferimento è esplicitato in «Rosso», 13 marzo 1976. 3 «Le Streghe», Mantova 1972. 4 G. Martignoni - S. Morandini, «II diritto dell'odio», cit., p.23. 5 «A/traverso», giugno 1975. 6 «Comontismo», n. 1, 1973. 7 Cfr. G. Cesarano - C. Colli, «Apocalisse e rivoluzione», Dedalo, 1973; «Contratti e sabotaggio», Comontismo edizioni, 1973. 8 Cfr. aa.vv., «Terrorismo verso la seconda Repubblica», Stampatori, 1980, in particolare il capitolo: Per una de-costruzione dell'immagine monolitica del terrorismo, p. 60 e sgg. 9 G. Martignoni - S. Morandini, «II diritto all'odio», cit., pp. 94-95. 10 ibidem, pp. 95-96. 11 ibidem, p. 96. 12 «Autonomia operaia», a cura dei Comitati autonomi operai di Roma, Savelli, 1976, p. 19. 13 ibidem,p. 21. 14 ibidem, p. 23. 15 ibidem, p. 24. 16 ibidem, p. 25. 17 ibidem, p. 27. 18 Cfr. «Assenteismo: un terreno di lotta operaia», a cura dell'Assemblea autonoma di Porto Marghera, Nuovi Editori, 1975. 19 «Potere operaio del lunedì» n. 43, febbraio 1973. 20 «Potere operaio del lunedì», n. 41, 18 febbraio 1973. 21 «Autonomia Operaia» ., p. 34. 22 ibidem, pp. 42-43. 23 Cfr. Atti del seminario di Padova dal 28 luglio al 4 agosto 1973 -pubblicati sull'ultimo numero di «Potere operaio». 24 Cfr: Autonomia operaia cit., pp. 53-56 25 ibidem; cfr. «Il diritto all'odio», cit., p. 217. 26 «Potere operaio», n. 50, 1973; cfr. «Il diritto all'odio», cit., p. 211. 27 Quattro parole di presentazione, «Rosso», 19 marzo '73. 28 ibidem. 29 «Rosso» n. 3, 16 aprile 1973. 30 Sui rapporti fra Negri e gli ex di Potere operaio e l'autonomia cfr. G. Palombarini, «7 aprile: II processo e la storia», Arsenale cooperativa Editri-ce, 1982, pp. 112-134. 31 «Autonomia operaia», cit., p. 61. 32 ibidem. 33 ibidem, pp. 63-64. 34 ibidem, cit., p. 64. 35 ibidem. 36 «Rivolta di Classe», giornale dellAutonomia operaia romana, giugno 1974. 37 Cfr. G. Palombarini, «7aprile: il processo e la storia», cit., p. 124. 38 «Autonomia operaia», cit., p. 84. 39 Cfr. G. Ferrara, Organizzati contro la giungla delle tariffe, «Rinascita», n. 38, 27 settembre 1974. 40 «Autonomia operaia», cit., p. 85. 41 ibidem, p. 258. 42 ibidem, p. 217; cfr «Rivolta di classe», ottobre 1974; «Rosso» ottobre 1974; Le responsabilità di San Basilio, «Rinascita», n. 36, 13 settembre 1974. 43 «Rosso», aprile 1975; Cfr. «Autonomia operaia»,cit., p. 269. 44 Cfr. «Autonomia operaia», cit., p. 370. 45 ibidem, p. 371; Cfr. «Controprocesso Rossi», Comitati autonomi operaia, 1974. 46 «Contro processo Rossi», cit. 47 «Rosso», novembre 1975. 48 Cfr. G. Palombarini, «7aprile: il processo e la storia», cit.,p. 126. 49 ibidem. 50 «Rosso», n. 12, 25 ottobre 1976. 51 G. Bocca, «II caso 7 aprile: Toni Negri e la grande inquisizione», Feltrinelli, 1980, pp. 64-65. 52 T. Negri, «Pipe-Line, lettere da Rebibbia», Einaudi, 1983. 53 Cfr. V. Dini, A proposito di Toni Negri, note sull'operaio sociale, sul dominio e sul sabotaggio; C. Preve, L'ideologia italiana, a proposito di Cacciari, Tronti, Asor Rosa e altri, «Ombre rosse», n. 24, 1978. 54 Cfr. T. Negri, «II dominio e il sabotaggio. Sul metodo marxista della trasformazione sociale», Feltrinelli, 1978, pp. 60-65. 55 ibidem. 56 Cfr. T. Negri, «Proletari e Stato, per una discussione su autonomia operaia e compromesso storico», Feltrinelli, 1976; «Crisi dello Stato piano, comunismo e organizzazione rivoluzionaria», Feltrinelli, 1974; «Dall'operaio massa all'operaio sociale, Intervista sull'operaismo», Multhiple, 1979. 57 T. Negri, «Pipe-Line», cit., p. 149. 58 ibidem, p. 150. 59 ibidem. 60 ibidem, p. 156.
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