II
DAL CONTROLLO AL POTERE OPERAIO
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1. Le sette tesi sul controllo operaio
Alla vigilia del congresso di Napoli del Psi, «Mondo operaio» (febbraio 1958) pubblica le Sette tesi sul controllo operaio, di Raniero Panzieri e Lucio Libertini. L'obiettivo immediato è contrastare la linea di Nenni e lo spostamento a destra del partito, tuttavia lo scritto va oltre la definizione di una piattaforma unitaria della sinistra socialista, per sollecitare un dibattito più ampio fra tutte le forze del movimento operaio e avviare quel generale rinnovamento già ipotizzato da Panzieri, sulle pagine della rivista tra la fine del 1957 e l'inizio del 1958 . Il documento vuole «offrire armi teoriche» alla sinistra socialista per incrinare il fittizio equilibrio stabilitesi fra le correnti al congresso di Venezia, provocando una più vasta convergenza contro il neoriformismo. Al fondo c'è la preoccupata constatazione di una «socialdemocratizzazione» strisciante dei partiti operai, da fronteggiare attrezzando tutta la sinistra con una nuova teoria, sostenuta da un aggiornamento sulla fase dello sviluppo capitalistico. In sostanza si cerca di impostare una strategia rivoluzionaria in grado di contrastare il disegno neocapitalistico e al tempo stesso fare i conti «alla radice con lo stalinismo e con la crisi che intorno ad esso si era aperta nel movimento operaio internazionale» . Un'ambiziosa proposta di rifondazione, che muovendo da una forte spinta antiburocratica e dall'esigenza di una riflessione sulle novità del capitalismo italiano, rivendica la necessità di un dibattito sulla totalità della strategia portata avanti dal movimento operaio. Dopo il XX congresso del Pcus si impone una rilettura critica sia dell'esperienza socialista, che delle scelte operate dai comunisti italiani. Le antiche divergenze fra togliattismo e sinistra socialista, smarrito l'orizzonte che aveva concorso al loro superamento, riassumono una forte attualità. Saltato e messo in discussione lo stalinismo le condizioni della formazione dello stato costituzionale esigono una riconsiderazione, mentre appaiono premonitrici le posizioni morandiane sulla «democrazia diretta», sullo stato, sulla concezione del partito politico . La critica alle degenerazioni burocratiche si estende al «partito» che appare come un pericoloso veicolo di totalitarismo e di accentramento contro il dispiegarsi di una democrazia diffusa, immediatamente realizzabile dalla classe operaia nella società. L'esigenza di una nuova e più diretta democrazia, contro visioni centralistiche e rischi di involuzioni, è un'importante premessa per comprendere il tipo di adesioni che susciteranno l'esperienza cubana e la rivoluzione culturale cinese. Quest'ultima sarà considerata da molti come una lotta delle masse contro il partito politico, un' occasione per liberare un grande potenziale di lotta contro concezioni burocratiche e retrive del gruppo dirigente di un partito comunista. La stessa proposta del «controllo operaio» non è solo riconducibile a una diversa interpretazione del capitalismo, ma è permeata da una profonda critica al partito terzinternazionalista e più in generale alla nozione di «partito politico». Le novità sociali ed economiche si offrono come il campo d'analisi e di intervento da cui prendere le mosse per questa «liberazione» dal partito e per fondare una strategia del «controllo operaio» come premessa di una nuova ipotesi rivoluzionaria. Sul finire degli anni cinquanta si avvia la «riscossa operaia», in fabbrica si esprime una nuova combattività, nascono i fermenti di una nuova generazione, su questo sfondo il percorso che va dal «controllo» ali'originale esperienza dei «Quaderni rossi». Senza cercare genealogie di sorta, le Sette tesi sul controllo operaio rappresentano il primo esempio organico di una sollecitazione che, pur partendo dall'interno dei partiti tradizionali della sinistra, già si muove in direzione alternativa. L'elenco dei temi proposti dalle Tesi offre un inventario compiuto di questioni e interrogativi che troveremo come costanti dell' estremismo e della gruppettistica: il passaggio dal capitalismo al socialismo; la via democratica al socialismo e la via della democrazia operaia; il proletariato educa se stesso costruendo i suoi istituti; le condizioni attuali del controllo operaio; il movimento di classe e lo sviluppo economico; le forme del controllo dei lavoratori . Esse rappresentano una base teorica fondamentale di quelle tendenze «operaistiche» che si ritrovano nelle riviste degli anni sessanta e, anche se il Sessantotto e i processi successivi mescoleranno tutto e l'intreccio fra varie culture spezzerà ogni presunta continuità e unità di linea, nei molti «partiti» del sinistrismo. Riconosciuta questa caratteristica, però, sarebbe erroneo sottovalutare l'influsso che le Sette tesi, per il loro carattere interlocutorio, avranno sui partiti operai e ancor più profondamente nelle vicende sindacali. Il dibattito e la pratica sindacale si dimostreranno permeabili alle nuove teorizzazioni, assorbendole in gran parte e nello stesso tempo ricomponendo una nuova strategia che troverà nell' autunno caldo il suo massimo punto d'espansione. L'analisi delle novità economiche della società italiana sono l'aspetto fondamentale da cui si origina il documento di Panzieri e Libertini, e di quello che sarà il contributo di Panzieri alla rivista «Quaderni rossi». Una riflessione pervasa da un forte antistalinismo: sfiducia nel tipo di esperienza condotta in Unione Sovietica, critica al burocratismo, pessimismo sul «partito», elementi tutti che concorrono alla ricerca di nuovi spazi politici. Confluiscono nell' indagine, non solo i residui di libertarismo tipici di certa intellettualità italiana e che si riscontrano nell' origine stessa del movimento operaio del nostro paese, ma anche le drammatiche conseguenze della vicenda Stalin, i fatti di Ungheria e di Polonia. Il pensiero di Rodolfo Morandi e la tradizione culturale della sinistra socialista, così presente nel lavoro di Raniero Panzieri su «Mondo operaio», sono ampiamente ripresi nelle enunciazioni delle Tesi sul controllo. Alcune delle questioni chiave che avevano differenziato e fornito occasione di polemica politica fra Partito comunista e sinistra socialista, richiamate ali' attenzione del dibattito, acquistano uno spessore e un obiettivo nuovo. Già nella Lettera aperta ai compagni comunisti Rodolfo Morandi, in dissenso con la scelta del Pci sulla questione istituzionale, aveva posto il problema, che si ritrova nelle analisi e nelle proposte contenute nelle Sette Tesi, dei tempi e del significato del passaggio dal capitalismo al socialismo . Un interrogativo sul quale dovremo più volte tornare affrontando le posizioni dei singoli «gruppi» estremisti, a confronto non è solo la scelta della «via italiana al socialismo», bensì il giudizio sullo «stato democratico», sulla natura di classe del sistema statuale costruito con la Resistenza. Uno stato democratico in cui progressivamente non ci si riconoscerà, svilendo/così il concorso della classe operaia alla sua edificazione e considerando il totale antagonismo al «sistema» come unica leva per non rimanere prigionieri di un capitalismo sempre più sofisticato ed efficiente. L'adesione del Pci alla svolta del XX congresso e il suo impegno per un adeguamento strategico non viene colto nel suo carattere innovativo. Permangono diffidenze sulla sua critica allo stalinismo, viene accusato di doppiezze e reticenze, e il suo centralismo democratico continua a essere visto come una gabbia autoritaria. Si esprime nelle Tesi e nel pensiero di Panzieri, la volontà di una «rifondazione di una nuova sinistra» capace di superare sia l'esperienza socialista che quella comunista cercando una nuova strada. La critica alla forma partito e alla strategia sono due piani che si intersecano determinando una promiscuità di letture che finiranno coll'annullare le finalità e l'ambito del documento per dar vita a interpretazioni polisenso a cui si attingerà da parti diverse. Di fronte alla caduta del mito dell'Unione sovietica tutta la storia del movimento operaio sembra doversi e potersi riaprire, saltato il pilastro dell'autorità indiscussa tutto il campo di ricognizione si allarga senza confini. Al dibattito apertosi con la pubblicazione delle Tesi partecipano numerosi rappresentanti della politica e della cultura; fra i più noti: Francesco De Martino, Alberto Caracciolo, Luciano Della Mea, Lucio Colletti, Roberto Guiducci, Livio Maitan, Valdo Magnani, Antonio Pesenti, Luciano Barca. Nelle Tesi si contesta la concezione secondo cui spetterebbe al proletariato il compito di realizzare la rivoluzione democratico-borghese, l'obiettivo polemico non è solo lo spostamento del partito socialista ma anche la linea scaturita dall'VIII congresso del Pci e conscguentemente il nesso fra battaglia per la democrazia e prospettiva socialista. «Una tendenza che si è presentata in varie forme, ha creduto di poter schematizzare i tempi di questo processo, come se la costruzione socialista dovesse essere preceduta, sempre ed in ogni caso, da una "fase" di costruzione borghese. Verrebbe così assegnato al proletariato, dove la borghesia non avesse compiuto ancora la sua rivoluzione, il compito di condurre la sua lotta in vista di un fine determinato: quello appunto di costruire e di favorire la costruzione dei modi di produzione e delle forme politiche di una società borghese compiuta» . Interpretando in modo restrittivo il significato della «via nazionale al socialismo», si contrappone a una «via democratica al socialismo» una «via della democrazia operaia» . Ma il nodo è più lontano, è il valore della Resistenza e il ruolo che la classe operaia ha assolto nella costruzione dello stato democratico. Contestata questa peculiarità della lotta di classe nel nostro paese, ne consegue l'offuscamento del quadro istituzionale e degli stessi rapporti politici che divengono elementi indifferenti o comunque inessenziali al progetto di trasformazione della classe operaia. Le Tesi rifiutano ogni gradualismo nel processo di transizione. Solo un radicale antagonismo può consentire la fuoriuscita dalla morsa del capitalismo. In questo senso la critica investe l'insieme del sistema politico-istituzionale esistente. Ridotto a mero tatticismo o a vocazione riformistica il rapporto tra democrazia e socialismo, l'enfasi è posta sul ruolo del «controllo operaio» come doppio potere: una classe operaia antagonista al sistema istituzionale che in quanto classe dei produttori costruisce la sua democrazia nel cuore stesso dell'organizzazione capitalistica: la fabbrica. Siamo oltre la sottovalutazione del ruolo del partito: il «controllo operaio» rappresenta già il suo superamento. Il partito è una macchina burocratica che non consente la democrazia interna, che frena ogni spontaneità delle masse e ostacola l'unità della classe. La lotta per il «controllo», per Panzieri, implica una nuova concezione della politica e un netto «rifiuto di ogni rigida concezione partitica». E una conseguenza della sfiducia nell'esperienza storica del movimento operaio e della delusione sull'edificazione del socialismo nella Russia di Stalin. Contro le degenerazioni verticistiche e i «culti della personalità», l'unica garanzia è la costruzione di una democrazia realmente partecipata, dal «basso», come si dirà. Per fronteggiare il neoriformismo che si fa strada all'interno del Psi, e da cui non sono immuni alcuni settori del Pci, occorre una consapevolezza operaia capace di liberarsi da ogni piano di integrazione capitalistica. Il pericolo della «cogestione» è temuto come il rischio più forte dell'operazione di centrosinistra, reso ancora più acuto dalla divisione intervenuta fra partito comunista e partito socialista. Per gli estensori delle Tesi, né il progetto nenniano, che assegna alla classe operaia un ruolo di collaborazione al capitalismo nella costruzione di un regime di democrazia compiuta, né la linea del Pci, che ipotizza una classe che assume in proprio la funzione di costruire un regime di democrazia borghese, sono adeguati a contrastare le scelte neocapitalistiche e a opporsi alle sue tecniche di dominio sulla società. La mitica quanto infondata fiducia nelle possibilità del nuovo capitalismo italiano di sanare le contraddizioni del paese diventa una copertura alle sue logiche di «ingabbiamento» della lotta di classe e legittima una sostanziale tregua operaia. Fidando nel processo tecnologico e nel recupero capitalistico si finisce per attribuire ai ceti dominanti una elevata capacità riformistica dalla quale potrebbe derivare una sorta di tregua operaia dentro il sistema. In quegli anni si opera nell'ideologia del capitalismo italiano una vera e propria rottura fra la vecchia mentalità padronale rappresentata dalla Confindustria e una nuova visione manageriale, che trova nella politica degli alti salari, nel rapporto sempre più stretto fra capitale privato e capitale straniero i suoi punti di forza. Da un lato, quindi, abbiamo la Confindustria, nel cui seno non mancano polemiche, che è ostile nei confronti di tutti i partiti politici, critica le rivendicazioni in fabbrica polemizza e attacca i sindacati, si schiera contro le Partecipazioni statali e la politica economica di Enrico Mattei. Su un altro fronte si trovano i settori capitalistici che rappresentano il nuovo: essi sono la Fiat che uscirà dalla Confindustria, il settore del capitalismo pubblico, l'Eni (Mattei), l'Iri (Petrilli). Sarà questo lo schieramento industriale favorevole a soluzioni di centro-sinistra. Nel mutato quadro economico si avanza la prospettiva del «controllo operaio», concepito come progressiva assunzione di coscienza da parte della classe operaia del ruolo determinante e decisivo che va acquistando nelle trasformazioni produttive. «La classe operaia — si legge nella sesta tesi — mano a mano che, attraverso la lotta per il controllo, diviene soggetto attivo di una nuova politica economica, assume su di sé la responsabilità di un equilibrato sviluppo economico, tale da spezzare il potere dei monopoli e le sue conseguenze: squilibri tra regione e regione, tra ceto e ceto, settore e settore. Perciò, allo stesso modo, rovesciando l'attuale funzione dell' azienda pubblica, la trasforma in elemento di sostegno e di protezione dei monopoli, in diretto strumento dell' industrializzazione del Mezzogiorno e delle sue aree depresse. In pratica ciò fa della politica di sviluppo economico un elemento di aspro contrasto con i monopoli; contrasto che si presenterà anzitutto come conflitto tra settore pubblico (alleato con le piccole e medie imprese) e il settore della grande impresa. Va inoltre sottolineato che il movimento di classe portando avanti un equilibrato e adeguato processo d'industrializzazione non si "sostituisce" al capitalismo, non ne "compie l'opera", ma unisce lo sviluppo economico a una parallela trasformazione dei rapporti di produzione perché sono proprio oggi in Italia, questi vecchi, capitalistici rapporti di produzione 1'ostacolo inconciliabile con la politica di sviluppo economico» . Gli strumenti dell'autonomia operaia trovano nella sfera della produzione il loro punto d'origine: è la premessa per l'attenzione che i «Quaderni rossi» rivolgeranno alle nuove tecniche del capitalismo, all'organizzazione del lavoro nella fabbrica moderna, luogo essenziale per costruire una consapevolezza della classe. Ne deriva una forte vocazione «operaista» che, sopravalutando il grado di sviluppo capitalistico e la coincidenza fra modello sociale e modello neoindustriale, tende a ridurre la complessità dei rapporti politici e istituzionali. Da ciò la sfiducia nel «partito» come strumento di una classe che si fa soggetto di un generale rinnovamento economico, politico, morale, giuridico. La qualità specifica dello stato italiano post-resistenziale non è intesa nella sua potenzialità: lo stato di cui si parla nelle Tesi è quello della borghesia e il proletariato è fuori dalla sua costruzione. Si afferma perentoriamente che «il proletariato educa se stesso costruendo i suoi istituti». Secondo questa visione la «via parlamentare al socialismo» comporta una concezione dello stato al di sopra delle classi, con un parlamento ridotto a «sede dove si ratificano e si registrano i rapporti di forza tra le classi, che si sviluppano e si determinano al di fuori di esso e l'economia resta la sfera nella quale si producono i rapporti reali e ha sede la reale fonte del potere» . Al contrario, nella volontà di restituire pienezza alla democrazia diretta, i movimenti di classe debbono esercitare mediante i nuovi istituti una costante pressione dal basso nei confronti degli istituti parlamentari. Solo nella realizzazione di Una fitta trama di organismi, di controllo operaio e di nuovi strumenti partecipativi si può sviluppare un' adeguata consapevolezza di classe: «la costruzione da parte del proletariato di nuovi organismi di potere attraverso cui esercitare una democrazia diretta è il processo con cui la classe operaia prende coscienza e assume consapevolezza della propria lotta politica». Influenza gli estensori delle Tesi il «nuovo» che avanza nei comportamenti operai, l'emergere di soggetti politici che scoprono la politica e il «protagonismo» sociale al di fuori dei tradizionali partiti operai. La critica a Stalin, i fatti d'Ungheria e di Polonia, avevano evidenziato in tutta la loro drammaticità la questione dello stato sovietico; tuttavia nel dibattito sulle Tesi non si afferma ancora la ricerca di un «modello» di socialismo, piuttosto si torna alle origini e nelle prime elaborazioni leniniste e nella teoria dei Soviet si cerca una specificità della democrazia socialista. Nell'indagine sui suoi possibili contenuti si afferma la necessità di un diverso rapporto fra classe operaia e Stato; quindi una concezione dei Soviet proiettati in una visione della democrazia socialista fatta di istituti partecipativi, forme politiche capaci di esercitare e di sviluppare la democrazia e il controllo già nella fase che precede la rivoluzione. Si acquista così, nel corso di questo processo, una consapevolezza del proprio ruolo che diventa la principale garanzia contro eventuali degenerazioni burocratiche del partito politico e dello Stato. Luciano Barca, intervenendo nel dibattito sulle Tesi, pur accogliendo in senso positivo la funzione degli organi di controllo come ampliamento della democrazia socialista, ne sottolinea i limiti riaffermando il momento del partito come massimo punto di unità. Leggendo l'articolo di Barca vi si ritrova un limite che caratterizzerà il Pci nella sua critica all'estremismo, si conduce la polemica all'ombra di punti di autorità consolidati mentre debole è lo sforzo per comprendere la novità del fenomeno. «Tutta la battaglia di Lenin contro 1'anarco-sindacalismo, contro tutte le interpretazioni piccolo-borghesi della democrazia diretta, contro lo "stato operaio" di Trotzki e contro la "democrazia produttiva" di Bucharin, tutta la battaglia condotta prima a proposito dei Comitati di fabbrica e poi sulla funzione dei sindacati; tutta questa battaglia, dicevo, è appunto una battaglia che parte dalla chiara coscienza dei limiti di controllo operaio nello stesso momento in cui ne afferma il valore» . Per Panzieri, come verrà ulteriormente precisando, la crisi del partito politico come tradizionale strumento della classe operaia è conseguenza diretta della fase nazionale e internazionale del movimento operaio, rivela la contraddizione fra perdita di strategia e una situazione di forte spinta rivoluzionaria. Nell'esaltazione della «democrazia diretta» salta la tradizionale concezione del «partito» e nello stesso tempo si salva e si ricostruire una prospettiva rivoluzionaria del proletariato. «La difesa in questa situazione dell'autonomia rivoluzionaria del proletariato si concreta nella costruzione dal basso, prima e dopo la conquista del potere, degli istituti della democrazia socialista, e nella restituzione del partito alla sua funzione di strumento della formazione politica del movimento di classe (strumento, cioè, non di guida paternallstica, dall'alto), ma di sollecitazione e di sostegno delle organizzazioni nelle quali si articola l'unità di classe». In quegli anni nei tradizionali partiti operai italiani la questione del rinnovamento è acuta e lacerante. Si insiste molto sulla democrazia interna, sulla partecipazione al dibattito e alle decisioni. Di fronte ai processi di «revisione» in atto, dalle correzioni alle torsioni di linea che investono la sinistra, non meraviglia il senso generale di critica verso il «partito». Spesso la discussione pecca di astrattezza, non sono la storia e la linea politica a determinare i limiti del «partito», bensì è la nozione, la categoria, 1'istituzione stessa del «partito». Garanzia contro le nuove forme di riformismo e contro ogni burocratizzazione del potere è «l'autonomia operaia», il processo dal basso per realizzare il «controllo operaio», l'intervento sulla sfera dei rapporti produttivi ed economici: «La forza reale del movimento di classe si misura dalla quota di potere e dalla capacità di esercitare una funzione dirigente ali'interno delle strutture della produzione» . Partendo dallo sviluppo della fabbrica moderna, spetta al lavoratore spezzare ogni tentativo di totale asservimento, contrapporre alla «democrazia aziendale» di marca padronale e alla mistificazione delle relazioni umane la rivendicazione della democrazia operaia. La compenetrazione in atto tra Stato e monopoli impone che «il movimento operaio, imparando la lezione dell' avversario deve spostare sempre di più il centro della propria lotta sul terreno del potere reale e delegante». In questo senso: «La lotta del movimento di classe per il controllo non può esaurirsi neppure nell'ambito delle singole aziende, ma deve essere collegata ad essa su tutto il settore, su tutto il fronte produttivo» . La stessa categoria del «potere», perso il riferimento del dato politico, misurandosi al di fuori dei reali rapporti fra forze politiche, fra istituzioni e movimento delle masse, cade nella genericità di un riferimento morale e sociale, in una concezione riduttiva delle stesse possibilità di intervento e di trasformazione. Le Tesi vanno al di là del mero documento precongressuale tuttavia l'obiettivo politico dello scritto non deve essere smarrito. Il rischio della divisione del movimento operaio è forte, la rottura del patto d'unità d'azione fra Psi e Pci, la manovra democristiana e socialdemocratica sono tappe di un pericoloso processo di lacerazione fra i partiti della sinistra e quindi nella classe operaia. In questo quadro si inserisce il discorso sull'«unità di classe» contenuto nella quinta Tesi: «La rivendicazione del controllo dei lavoratori, i problemi che solleva, l'impostazione teorica ad essa connessa, implicano necessariamente l'unità delle masse, e il rifiuto di ogni rigida concezione partitica la quale ridurrebbe la tesi stessa del controllo ad una meschina parodia» . La togliattiana democrazia parlamentare altro non è che la statica rappresentazione dei conflitti sociali, il suo formalismo da forza di legittimità al potere capitalistico e ne occulta la reale natura. E una sclerosi superabile solo col ricorso a una forte dialettica fra i nuovi istituti del controllo e gli istituti parlamentari, a una pressione dal basso esercitata dai movimenti di classe e dal? esercizio più esteso di un' ampia democrazia. Come si vede, anche se ancora prudentemente, si è già ali'ipotesi di un'altro approccio con la politica, sottratta ai partiti e al sistema parlamentare della rappresentanza, per restituirla a nuove forme e metodi della partecipazione: «La costruzione da parte del proletariato di nuovi organismi di potere attraverso cui esercitare una “democrazia diretta” è il processo con cui la classe operaia prende coscienza e assume consapevolezza della propria lotta politica». Il partito politico ha le sue leggi, è regolato da un diffìcile equilibrio fra gruppo dirigente e base, la manovra verticistica e la tattica spesso si sovrappongono al rapporto con le masse e ne ostacolano l'espandersi, la sua ideologia è un freno allo sviluppo dell' unità di massa. Occorre quindi superare le strettoie del partito per fondare questa nuova unità. E in atto una ripresa delle lotte sindacali, nelle fabbriche si vanno affermando processi unitari, mutamenti profondi stanno intervenendo nel sindacalismo cattolico. Sono tanti i segnali che offrono una legittimazione a questa impostazione portata avanti da una minoranza che cerca di fermare il processo involutivo del Psi e nello stesso tempo non si riconosce nella linea del Pci. Negli scritti che seguiranno tornerà spesso il concetto di unità delle masse. La divisione ideologica e culturale prodotta dai partiti non è ricomponibile senza una nuova unità di base della classe operaia, della categoria dei produttori che, in quanto produttori, sono potenzialmente uguali nei loro interessi e problemi, tutti ugualmente oppressi dalle leggi del capitalismo. Al «politico» si privilegia il sociale: «Non c'è controllo dei lavoratori senza l'unità nell'azione di tutti i lavoratori della stessa azienda, dello stesso settore, dell'intero fronte produttivo; un'unità non mitologica, o pure a donamento della propaganda di un partito, ma che sia realtà che si attui dal basso, presa di coscienza da parte dei lavoratori della loro funzione nel processo produttivo, creazione concorde degli istituti unitari di un potere nuovo» . Ma non basta la costruzione dall'interno, nella grande fabbrica moderna, di un nuovo livello di unità per recidere le basi del potere monopolistico. Gli obiettivi posti da Libertini e Panzieri appaiono perdenti se si misurano con l'ampiezza dello scontro in atto, le forze che rappresentano gli interessi monopolistici si muovono in due direzioni solo apparentemente divergenti: per un verso portano avanti un disegno di tipo autoritario teso a colpire il sistema democratico, le autonomie locali, nello stesso tempo introducono la teoria e la pratica della collaborazione di classe per togliere alle forze colpite dalla «razionalizzazione monopolistica» ogni punto di guida e di unità. Da ciò la difesa da parte del Pci, in polemica con il documento, del ruolo del partito operaio capace di unificare in una visione organica tutti gli aspetti della vita nazionale. Per il Pci la classe operaia, facendosi portatrice di uno sviluppo «organico e democratico», contrapposto allo «sviluppo distorto proposto e attuato dai monopoli», deve condurre una battaglia capace di costruire un vasto schieramento di alleanze sociali e politiche, tale da far fronte a ogni disegno apertamente reazionario (come avverrà con Tambroni), e a ogni ipotesi di tipo riformistico. Il dibattito che si sviluppa sulle pagine di «Mondo operaio», dell'«Avanti!», de «l'Unità», il suo protrarsi fino a dopo le conclusioni del congresso di Napoli, le problematiche affrontate dimostrano come le questioni poste aderiscono al clima politico e alla qualità della discussione che è in corso nei partiti operai in quegli anni; si tratta infatti di nodi teorici e pratici di fondo, resi acuti e attualizzati dagli eventi. Una riflessione che pur guardando al nuovo ha ben presente l'esperienza politica concretamente prodotta. Un tentativo tuttavia non esente da rigidità ideologiche, slittamenti verso l'astrazione e vizi intellettualistici tipici di quella fase politica e culturale. Troviamo nelle Tesi le tracce di antiche dispute ali'interno del movimento operaio, delle polemiche e divisioni fra partito comunista italiano e partito socialista, soprattutto sulle caratteristiche del socialismo e sulla sua concretizzazione. Ma proprio l'intreccio fra queste complesse memorie storiche e il nuovo del quadro mondiale e della situazione economico-politica determina una sorta di continuità non lineare fra le Tesi sul controllo operaio, il lavoro di ricerca dei «Quaderni rossi» e le sue varie diramazioni. Non sempre si tratta di arricchimenti ma anche semplificazioni, che tuttavia si possono estensivamente considerare come premesse imprescindibili per il futuro dell'estremismo e della gruppettistica italiana. Saranno le conclusioni del congresso di Napoli del Psi a chiudere il confronto apertosi su «Mondo operaio». L'esito negativo del dibattito che si è voluto provocare porta con sé disillusioni e sfiducia nella possibilità di incidere sulla linea dei partiti della sinistra tradizionale senza il supporto di una reale esperienza di massa. «Anche se discutere è sempre necessario, — scrivono Panzieri e Libertini — un ulteriore dibattito in astratto sul controllo operaio sarebbe a nostro avviso dannoso: rischierebbe di diventare una esercitazione per intellettuali, o addirittura il falso scopo per altre polemiche e per anticomunismo accademico. La parola è ormai alle organizzazioni operaie in quanto tali, allo stesso sindacato nella misura in cui esso affronta i temi del suo rinnovamento, che sono i temi delle forze autonome di espressione dei lavoratori. Le Tesi del controllo trovano il loro naturale sviluppo non in un'accademia libresca, ma in un'azione politica, nella lotta in corso per un giusto indirizzo. Vi è una contraddizione sempre più evidente oggi, tra il grande e importante sviluppo delle lotte di massa del nostro paese e ciò che accade nei partiti e, in particolare, per quello che ci riguarda, direttamente nel Partito socialista. Va detto con chiarezza che le decisioni del congresso di Napoli sono una negazione della sostanza politica delle Tesi sul controllo operaio, proprio perché esaltano un curioso paternalismo politico, sopravvalutano l'azione parlamentare, negano lo sbocco politico dell'azione di massa. Siamo sempre più convinti che il tema centrale del movimento operaio rimane il rinnovamento. Ma i vincitori di Napoli hanno dimostrato di cercare il nuovo solo nella esasperazione del vecchio. Moltiplicando le illusioni si rende sempre più difficile la costruzione vera della sinistra italiana» 16. Tema centrale quindi per il movimento operaio resta il «rinnovamento». Non basta il realismo della storia, la dura concretezza dei rapporti politici occorre avventurarsi nella sperimentazione, non limitarsi all'enunciazione ma confrontarsi con la pratica, leggere nelle vicende politiche la conferma delle proprie analisi, forzare i partiti della sinistra e in particolare il Pci a darsi una linea diversa, costringerlo a tagliare col proprio passato nel momento stesso in cui tenta un'interpretazione nuova e originale ma ancora troppo incerta di fronte alla modernizzazione incombente. Tra il congresso di Napoli e il congresso di Venezia si matura e si compie il definitivo spostamento politico del Psi.
La riflessione di Raniero Panzieri si precisa dopo il XX congresso del Pcus. Cfr. Appunti per un esame della situazione del movimento operaio, «Mondo operaio», gennaio 1957; II controllo operaio al centro dell'azione socialista, «Mondo operaio», gennaio 1958.
L. Libertini, Introduzione a «La sinistra e il controllo operaio», Libreria Feltrinelli, 1969, p. 5.
Cfr. Il discorso pronunciato da R. Morandi alla Consulta nazionale il 28 settembre 1945, II popolo anela a nuovo ordine, in «Democrazia diretta e riforme di struttura», a cura di S. Merli, Einaudi, 1975.
Cfr. L. Libertini, Introduzione a «La sinistra e il controllo operaio», cit.
Lettera aperta ai compagni comunisti, firmata «Polo» nome di battaglia di R. Morandi appare in «Politica di classe», settembre 1944, pubblicata in R. Morandi, «Lotta di popolo 1937-1945», Einaudi, 1958, pp. 61-64. Per l'opera di R. Morandi rimandiamo oltre all'opera completa, ai tre volumi antologici a cura di S. Merli, «Politica unitaria»; «Democrazia diretta»; «Riforme di struttura», Einaudi, 1975. Sui dissensi fra comunisti e socialisti nel periodo della Resistenza e sulle questioni della democrazia diretta, cfr. «Storia documentaria dal Risorgimento della Repubblica» a cura di S. Manacorda, Laterza, 1970, volume II, p. 739 e sgg.
Prima tesi: Sulla questione del passaggio dal capitalismo al socialismo, in «La sinistra e il controllo operaio», cit., p. 37.
Ibidem, p. 42 , Seconda tesi: La via democratica al socialismo è la via della democrazia operaia .
Ibidem , p. 48 , Sesta tesi: II movimento di classe e lo sviluppo economico .
Ibidem, p. 43, Seconda tesi.
Ibidem, p. 199, L. Barca, II controllo e la lotta contro il regime, la sinistra e il controllo operaio.
Ibidem, p. 46. Quarta tesi: Sulle condizioni attuali del controllo operaio.
Ibidem, pp. 43-44. Terza tesi: II proletariato educa se stessocostruendoi suoi istituti.
Ibidem, p. 45. Quarta tesi.
Ibidem, pp. 46-47. Quinta tesi: II senso dell'unità di classe e la questione del collegamento fra lotte parziali e fini generali.
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2. I Quaderni rossi
Dopo il XXXIII congresso del Psi, Raniero Panzieri lascia la direzione di «Mondo operaio», nel '61 sarà escluso dal comitato centrale, ormai la sua militanza si realizzerà al di fuori dell' organizzazione di partito. La sede del suo impegno diventa Torino, dove si è trasferito già nel '59 come direttore di una collana presso l'editore Einaudi. Iniziano i contatti col Psi torinese, con giovani militanti del Pci, con rappresentanti della Fiom; gli incontri si estendono ad altre città e intanto matura l'idea di una nuova sinistra più libera dalle regole e dalle influenze dei partiti. Nel '59, in una lettera ad Alberto Asor Rosa, Panzieri sintetizza le linee programmatiche di una nuova rivista: «1) necessità di esprimere ed articolare una posizione unitaria al di fuori delle beghe delle lotte delle correnti e dei gruppi nei partiti e nel sindacato; 2) questa posizione unitaria esige la prospettiva di politiche e strumenti unitari della classe operaia, constatate senza reticenze le involuzioni e deformazioni delle attuali politiche e modi d'azione e nello stesso tempo intende influenzare esplicitamente gli organismi esistenti, considerandoli disponibili per una politica rivoluzionaria; 3) il rifiuto della falsa alternativa riformismo-catastrofismo (nelle versioni recenti) si sostanzia nella rivendicazione e linea della democrazia diretta (controllo operaio); 4) i temi della democrazia diretta debbono emergere da una analisi determinata delle condizioni della lotta di classe sul piano interno e sul piano internazionale (in questo senso è da considerarsi superata l'esperienza del nostro “Mondo operaio”); 5) al centro delle ricerche deve essere quindi l'esame positivo delle condizioni materiali e di coscienza della classe operaia in Italia e la distruzione precisa e documentata dei miti correnti del neo-riformismo (ideologie del “consumo”, ideologie “sociologiche”. etc.)» . Caduta l'illusione di condizionare ideologicamente i partiti e i sindacati, l'intervento si sposta ali'interno del movimento, per sperimentare concretamente le forme di un nuovo modo di fare politica, per dialogare con la sinistra tradizionale partendo dai fatti che si è saputo costruire. Il confronto è ormai tutto proiettato in una logica esterna al partito: «Se la crisi delle organizzazioni-partiti e sindacato, è nel divario crescente tra essi e il movimento reale di classe, quindi nel divario tra condizioni oggettive della lotta e ideologia e politica dei partiti, il problema può essere affrontato soltanto partendo dalle condizioni, strutture e movimento di base, dove l'analisi si compie soltanto nella partecipazione delle lotte. Naturalmente tutto questo non è nulla di nuovo, di nuovo c'è la constatazione delle contraddizioni in cui molti di noi sono caduti cercando di operare sul piano tattico degli organismi ufficiali o accettando per questo compromessi fallimentari, o rivendicando, in quanto intellettuali, un' autonomia che può realizzarsi solo nella forma di azione piena e diretta» . Panzieri promuove incontri e riunioni in varie città con militanti dei partiti operai e del sindacato (per lo più si tratta di giovani quadri intellettuali). Tuttavia in Panzieri l'ancoraggio al partito è presente come contraddizione, infatti oscilla fra l'idea di una potenzialità rivoluzionaria frenata dai partiti e il riconoscere a essi il carattere di strumento di cui servirsi. Così scrive a Tronfi nel dicembre '60: «Emergono sempre gli elementi comuni fondamentali che ormai conosciamo e non ci sorprendono: una spinta “spontanea” che precede e sopravanza il sindacato, l'esprimersi — naturalmente confuso e disordinato — dei giovani operai come avanguardia, l'aspirazione ad una prospettiva politica che non si individua mai nelle politiche proposte dai partiti e quindi la grande difficoltà di dare consistenza e valore di continuità sicura a queste lotte e di precisare una vera avanguardia. Si potrebbe dire che il tipo di lotte che oggi si registra contiene immediatamente e come essenziale un elemento politico, una richiesta di potere e che nello stesso tempo questo elemento non viene alla luce o addirittura si smarrisce a causa del discorso politico fatto ufficialmente dal Psi e dal Pci. Si intuisce benissimo che tutto potrebbe acquistare una chiarezza e una forza ben diverse in una prospettiva rivoluzionaria. Invece allo stato attuale gli operai si “servono” anche dei partiti e del sindacato contro l'alienazione capitalistica, ma sentono insieme, come alienazione, il loro rapporto con partiti e sindacati» . Nella stessa biografia del militante una conflittualità non risolta: siamo ancora alle contraddizioni interne alla cultura organizzativa del partito. Nella «riscossa operaia» che caratterizza gli anni sessanta si esprime, sia pure contraddittoriamente, una fuoriuscita dagli alvei tradizionali della lotta operaia. Si tratta, come è stato più volte sottolineato, di una fase complessa di sindacalizzazione di una classe operaia nuova per esperienza e per tradizione. La rabbia degli immigrati, ex contadini proiettati nella dimensione della grande fabbrica, diventa coscienza di classe nell'approccio con forme nuove di lotta e di rivendicazione. La lotta operaia supera i suoi ambiti, non sopporta la mediazione delle vecchie commissioni interne, esige una radicale socializzazione. Se questo è il dato nuovo della situazione italiana occorre partire da questa nuova soggettività, per rompere il piano di asservimento al neocapitalismo. Mentre i partiti della sinistra rimangono trincerati nelle loro rispettive posizioni e prigionieri della loro struttura burocratica, il sindacato sembra più aperto, più disponibile a confrontarsi con le novità e a sperimentare forme diverse di azione politica per una prospettiva autenticamente rivoluzionaria. Intanto Panzieri consolida i rapporti con la Fiom di Torino, e coinvolge nel suo progetto vari nuclei locali interni ed esterni ai partiti. In questo contesto nascono i «Quaderni rossi», definiti «organo di coordinamento di tutti i gruppi orientali nella stessa dirczione, qualunque sia la loro collocazione politica o extra-partitica». Il primo numero della rivista esce nell'ottobre 1961, se ne stampano duemila copie. E la sintesi del lavoro di un anno: il convegno all'Olivetti del dicembre '60, il convegno Fiat del gennaio '61, l'intervento nella lotta dei Cotonifìci Valle di Susa. La direzione della rivista è affidata a Raniero Panzieri. Il comitato di redazione è composto da Emilio Agazzi, Romano Alquati, Alberto Asor Rosa, Giuliano Boaretto, Luciano Della Mea, Dino De Palma, Liliana Lanzardo, Mario Miegge, Giovanni Mottura, Giuseppe Muraro, Vittorio Rieser, Emilio Soave, Mario Tronti. L'editoriale è di Vittorio Foa. Fino al dicembre 1965 la rivista pubblicherà sei numeri. Ad essi si aggiungono come strumenti di lavoro le «Cronache dei Quaderni rossi» (un contributo all'analisi dello sciopero alla Fiat del 1962) e, dal novembre 1963, «Le lettere dei Quaderni rossi», l'ultimo numero delle quali sarà pubblicato nel gennaio 1967. Per l'eterogenea composizione del gruppo redazionale e per la variegata esperienza teorica e pratica sarebbe improprio ricostruire una sintesi organica dell'elaborazione dei «Quaderni rossi», sembra più corretto inquadrarla in una zona di confine fra impasse della sinistra ufficiale e prospettiva di quella che sarà la gruppettistica. Con i «Quaderni rossi» ha inizio la rete organizzativa che in modo policentrico porterà alla formazione delle varie sigle dell' operaismo. Nascono gruppi e collettivi locali che si riconoscono nella rivista e portano le sue indicazioni nel lavoro davanti alle fabbriche. È la fase dell'apprendistato di un nuovo militante che cerca il contatto diretto con la classe operaia, fa l'inchiesta, il volantinaggio, da vita ai bollettini e ai fogli di fabbrica: non gli basta l'esperienza locale e settoriale, vuole sentirsi dentro un flusso generale. La sua provenienza è studentesca e intellettuale, qualcuno ha fatto il luglio '60 e di fronte alle violenze di piazza Statuto a Torino si è schierato dalla parte di quelli che «l'Unità» ha definito «teppisti». Alcuni non hanno mai fatto politica, altri sono ancora iscritti al partito: non si riconoscono nella sua linea, ma credono sia ancora possibile cambiarla. Proprio la questione del rapporto con le organizzazioni ufficiali della sinistra sarà un nodo irrisolto dell’ esperienza dei «Quaderni rossi»: attorno ad esso si verificheranno la rottura di «Classe operaia», le osmosi e le aperture verso il Psiup e gli altri gruppi. Alla fine del '67 si imporrà una scelta, poiché ormai si saranno determinate tutte le condizioni per una diversa centralizzazione. Si avvierà così la fase che porterà a «Potere operaio» e successivamente, per ulteriore scissione sempre attorno al nodo dell'organizzazione, a «Lotta continua». Nella scelta della rivista si esprime un salto di qualità rispetto alla precedente riflessione di Panzieri: dalla fase di «Mondo operaio» e delle Tesi sul controllo, si passa alla fondazione di uno strumento autonomo, un laboratorio-ricerca finalizzato al progetto di rifondazione di una strategia alternativa. Concludendo il dibattito sulle Tesi era stata definita ingannevole la logica di un' identificazione nel partito dell' «elemento politico generale», quasi che tutto il resto fosse solo «disintegrazione anarchica». In polemica con gli esponenti comunisti intervenuti nel dibattito si era contestato lo schema «tutto nel partito, nulla fuori del partito», espressione, secondo Panzieri, «del più schietto stalinismo, dove fiorisce la teoria e la pratica del partito-guida, depositario del dogma rivoluzionario» . Pur senza prospettare una soluzione alternativa si cercano modi organizzativi nuovi, capaci di superare sia il centralismo dei partiti comunisti, che lo sfaldamento provocato dalle correnti nel Partito socialista. Per raggiungere questo obiettivo, contro la concezione del partito come garante ideologico, si deve puntare al dato soggettivo immediato: la «condizione operaia» come leva fondamentale per una nuova unità di classe. Centro teorico del primo numero della rivista è l'analisi delle Lotte operaie nello sviluppo economico, come titola l'editoriale di Vittorio Foa, lotte che sono rimaste nell' ambito sindacale non trovando «una loro compiuta espressione politica» . Affiancano il saggio di Foa e quello di Panzieri su L'uso capitalistico delle macchine, resoconti e studi sull' organizzazione del lavoro e sulla natura delle rivendicazioni operaie: Cronaca delle lotte ai cotonifici Valle Susa;Esperienza e resoconti sindacali; Dati sulle lotte a Torino; Documenti sulla lotta di classe alla Fiat. Il campo d'indagine è la fabbrica moderna con il suo ciclo produttivo, come luogo di formazione ed esperienza della nuova figura sociale dell'operaio degli anni '60; una ricognizione finalizzata alla conoscenza delle possibilità di un'azione di massa antagonista ali'ordine capitalistico, da contrapporre ali'arretratezza e ai limiti dell'azione sindacale e politica della sinistra. Dall'«uso capitalistico delle macchine» Panzieri fa discendere la proposta del controllo operaio, una prospettiva rivoluzionaria per evitare lo «scadimento» sindacale dell' azione operaia e il suo riassorbimento nello sviluppo capitalistico. L'ipotesi di fondo da cui muove è la capacità del capitalismo di realizzarsi nella sua totalità inglobando definitivamente le lotte operaie: è un capitalismo capace ormai di risolvere le sue contraddizioni. Se il rischio è 1'ingabbiamento, ne consegue il rifiuto di ogni logica di piano. È infatti proprio nella pianificazione che si realizzano i meccanismi di integrazione della classe operaia da parte di un capitalismo ammodernato nelle tecniche e nell'ideologia. Alle lotte spetta il compito di rottura dell' ordine capitalistico: «Dacché, con l'organizzazione moderna della produzione aumentano teoricamente per la classe operaia le possibilità di controllare e dirigere la produzione, ma praticamente attraverso il sempre più rigido accentramento delle decisioni di potere si esaspera la alienazione, la lotta operaia, ogni lotta operaia, tende a proporre una rottura politica del sistema» . La normalizzazione e i meccanismi di stabilizzazione del capitalismo vanno rovesciati, ponendo la classe operaia fuori dalla logica di piano e determinando le condizioni per un'«azione operaia» proiettata verso il «rovesciamento totale dell' ordine capitalistico». Solo in questo modo saltano le possibilità di razionalizzazione, gli «indefinibili margini di concessione» che servono a imporre il «dominio» capitalistico. Non solo le macchine, ma anche i metodi e le tecniche organizzative sono tutti aspetti di un medesimo disegno. Scrive Panzieri: «Per ostacolare il piano capitalistico si deve dunque padroneggiare lo specifico tecnologico e produttivo», in questo riconoscimento non vi è nessuna esaltazione modernista, al contrario si vuole far esprimere nelle lotte un «uso socialista delle macchine» tale da scardinare ogni «razionalità tecnologica». Ridotti a una funzione stabilizzante, i partiti e il sindacato di classe vanno superati dalla forma del «controllo», intesa come «preparazione di situazioni di dualismo di potere in rapporto alla conquista politica totale». La combattività che si esprime nelle lotte sembra avvalorare questa ipotesi strategica. La polemica di Panzieri è contro ogni interpretazione riduttiva della nozione di controllo. Non si tratta — a suo avviso — di una riedizione della consumata esperienza dei Consigli di gestione di morandiana memoria, il cui limite era stato proprio la subordinazione delle spinte al «controllo» alla logica della collaborazione per la ricostruzione nazionale e al rispetto del quadro istituzionale, al contrario ne rivendica la totale autonomia dalla «tradizionale linea nazionale-parlamentare democratica». Inoltre considera mistificatoria una visione del «controllo» come punto di tolleranza fra «correzione ali' estremismo» e «prospettiva di autogestione». Nel suo obiettivo di «rottura rivoluzionaria» e di «prospettiva di autogestione socialista» si esprime la volontà di superare il quadro di collaborazione che ha originato il patto costituzionale e l'interclassismo strisciante dei partiti della sinistra. Nell'assetto democratico postresistenziale si è introdotta un'insanabile frattura fra la soggettività rivoluzionaria e le organizzazioni tradizionali: spetta alla linea alternativa del «controllo» il compito di colmare questo distacco, interpretando la natura di classe delle rivendicazioni operaie. In questo modo essa diventa «fattore di accelerazione dei tempi della lotta di classe, strumento politico per realizzare tempi ravvicinati per rotture rivoluzionarie» non un surrogato della conquista del potere, ma una «minaccia portata alle radici del sistema». Ricomponendo ogni presunta separazione fra rivendicazione di fabbrica e lotta politica, il «controllo» deve contrapporsi alle nuove tecniche di assoggettamento, di organizzazione del lavoro e più in generale, scardinare le regole della pianificazione capitalistica. Ma la manifestata volontà di non rimanere stretti nel-l'ambito aziendale non troverà soluzione e sempre più si avvertiranno i limiti e le contraddizioni fra l'ampiezza degli obiettivi proposti e la pratica realizzata in concreto. Da ciò lo scontro di posizioni e le scelte divergenti che seguiranno il dibattito sull'organizzazione avviato nel comitato di redazione di «Quaderni rossi» da Mario Tronti. I processi di ammodernamento, con l'introduzione di più avanzate tecniche produttive, i mutamenti politico-ideologici del padronato sembrano essere i pericolosi veicoli e le forme di una manovra capitalistica tesa a spezzare l'emergere di una più ampia e rivoluzionaria consapevolezza operaia. In questo senso l'eccessivo privilegio sociologistico rimproverato ai «Quaderni rossi», vuole essere un'indagine sulla soggettività della classe operaia come condizione decisiva per non farla cadere nella trappola tesa, è la ricerca di una diversa fenomenologia dell'intervento e della strategia politica. Ne risulta però una costante oscillazione fra la sopravalutazione del livello di consapevolezza operaia e un' endemica sfiducia nel suo reale procedere e nel suo incidere nei processi di trasformazione. Pur attribuendo ai partiti (in particolare al Pci) e alle organizzazioni sindacali la responsabilità di frenare il potenziale rivoluzionario, Panzieri non vuole fratture con la sinistra tradizionale. Non ne condivide l'impostazione e lavora per avviare il suo superamento, ma avverte come il confronto critico sia indispensabile per la fondazione di una nuova strategia per tutto il movimento operaio. Per questo rifiuterà ogni opportunistico entrismo e privilegerà un processo in cui lo schema interno o esterno ali'organizzazione resta secondario rispetto all'esigenza di una totale ridefìnizione della politica e dell'unità della classe. Giudicandoli non inseriti in un progetto di cambiamento politico generale, Panzieri e l'insieme della redazione dei «Quaderni rossi» considerano gli obiettivi sindacali delle lotte '61-'62, il «salario a rendimento» e la «politica rivendicativa fondata su una struttura delle mansioni e delle qualifiche», un successo del neocapitalismo, una «nuova forma di partecipazione al profitto tecnologico» e un avanzato tentativo di «integrazione aziendale», in sostanza una mera operazione di normalizzazione . Mentre il modello capitalistico unifica i meccanismi produttivi dilatandoli nel sociale, l'autonomia e la separazione dei ruoli caratterizzano sempre di più l'esperienza del sindacato e del partito, si indebolisce così ogni capacità di resistenza e di contrasto al progetto di pieno dominio del capitale. Si determina un vuoto strategico e le singole lotte smarriscono l'orizzonte della battaglia politica generale. Panzieri respinge le indiscriminate accuse di anarco-sindacalismo rivolte ai «Quaderni rossi» e a coloro che cercano una verifica della prospettiva politica nelle lotte operaie: a suo giudizio sono proprio queste ultime a costituire l'unica strada possibile, perché «esprimono la replica operaia alla fabbrica nella sua realtà, cioè a quello che oggi è il momento che caratterizza l'intero sviluppo sociale». Punto di partenza di ogni ricerca critica è il «rifiuto di qualsiasi oggettivismo economico», in quanto «la schematica separazione di lotta economica e lotta politica, di lotta di fabbrica e azione parlamentare, il relegare il sindacato a compiti rivendicativi (o all'agitazione tout court, che spetterebbe poi ai partiti di utilizzare a fini politici), porta all'esaurimento della stessa lotta rivendicativa, comunque alla sua chiusura corporativa, che la priva di comunicativa di classe, la isola e ne prepara la subordinazione al potere borghese capitalistico nella fabbrica e nella società». Per Panzieri, «operaisti» sono coloro che, come vorrebbe la sinistra ufficiale, considerano la fabbrica solo come sede di lotte rivendicative. Nella pratica si evidenziano invece una forte tensione verso la politica e il bisogno di superare i vecchi tradizionali metodi di lotta, si manifesta, uno scollamento fra apparati e base, un atteggiamento operaio nuovo e non transitorio. Le lotte si sviluppano in settori non tradizionali, dove l'organizzazione è debole o inconsistente. I giovani, i nuovi assunti, con la loro «autonomia operaia», danno l'unica risposta possibile allo sfruttamento capitalistico: 1'«organizzazione permanente dell'insubordinazione operaia» 26. Occorre partire da tutto ciò per cogliere la forma e la consapevolezza della soggettività operaia e il nuovo che si manifesta con caratteri totalmente mutati e contraddittori. Emblematica l'interpretazione dei fatti di piazza Statuto a Torino: si respinge ogni preoccupazione sulla «rispettabilità democratica delle forme di lotta», si esaltano le motivazioni sociali che sono alla base delle manifestazioni di protesta e infine si apre la discussione sulla violenza, criticandone il rifiuto in sé e contrapponendo «violenza rivoluzionaria» al riformismo del Pci e dei sindacati . Si parte dal dato sociale, i nuovi immigrati, le difficoltà del loro inserimento e si passa al difficile rapporto con i partiti ufficiali della sinistra per arrivare alla loro critica radicale e violenta e alla legittimazione della «rabbia», anche se non si nega la presenza nell'episodio di provocatori elementi di destra. È dalle esperienze di lavoro e di vita che nasce la carica di rabbia antistituzionale, un vissuto che porta i giovani che hanno partecipato ai fatti di piazza Statuto a «sentirsi partecipi di una più vasta coscienza di classe» da cui si origina il loro antistatualismo, il loro ribellismo prepolitico. Senza una prospettiva sindacale e politica autenticamente rivoluzionaria non ci potrà essere che «scadimento di tipo anarchico della lotta operaia»: è questa la «contropartita di una linea e di una prassi riformista che non riconoscono l'alto livello di tensione di classe oggi esistente». La risposta critica viene dagli sviluppi successivi, da quanto del patrimonio di quella elaborazione e quella pratica è divenuto parte integrante della storia del movimento operaio e della sinistra e di quanto si è ulteriormente separato, fino a fuoriuscirne totalmente.
In R. Panzieri, «La ripresa del marxismo-leninismo in Italia», a cura di D. Lanzardo, Edizioni Sapere, 1972, pp. 14-15.
Lettera di Panzieri a Adelaide Salvaco, dopo una riunione con un gruppo di compagni romani; ibidem, p. 16.
Lettera di Panzieri a Tronti, del dicembre '60, ibidem, p. 17.
L. Libertini - R. Panzieri, Conclusioni al dibattito sul controllo operaio, «Mondo operaio», marzo 1959.
R. Foa, , Lotte operaie nello sviluppo economico , «Quaderni rossi» n. 1,1961.
R. Panzieri, L'uso capitalistico delle macchine «Quaderni rossi» n. 1,1961.
Cfr. Osservazioni sulla piattaforma contrattuale dei metalmeccanici del 1962, in R. Panzieri, «La ripresa del marxismo-leninismo in Italia», cit., pp. 237-239.
R. Panzieri, L'uso capitalistico delle macchine, cit.
Un giornale all'Alfa Romeo, «Cronache dei Quaderni rossi», settembre 1962.
Sulle vicende di piazza Statuto cfr. A. Asor Rosa, Tre giorni a Torino, in «Cronache» cit. e ancora, nello stesso fascicolo, Lettera ai compagni socialisti sull'intervento dei Quaderni rossi nel corso dello sciopero alla Fiat; Volantino agli operi della Fiat; Lettera al Comitato centrale della Fiom.
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3. Piazza dello Statuto
All'inizio del 1962 si forma il primo governo aperto ai socialisti, è il quarto governo Fanfani, che segna il superamento della fase delle «convergenze» verso il centro-sinistra organico. I tratti anticomunisti del discorso programmatico del presidente del Consiglio si accompagnano a vaghe enunciazioni riformatrici, e l'astensione socialista è presentata come una autonoma scelta. La costituzione del nuovo governo è una sconfitta delle forze più retrive della Confindustria, quelle che non più accanimento avevano contrastato lo spostamento politico in atto. Nel nuovo clima il padronato sceglie la linea morbida, principale interprete di questa conversione lo stesso direttore della Fiat Vittorio Valletta. In una sua intervista a «II Messaggero» arriverà ad affermare: «il governo di centro-sinistra è un frutto dello sviluppo dei tempi. Non si può e non si deve tornare indietro» . Sono aperture e disponibilità contingenti; di lì a poco di fronte alla ripresa della combattività operaia alla Fiat, Valletta tornerà ad applicare la mano forte e il ricorso alla repressione padronale. Proprio in quei mesi, dopo il lungo periodo di stagnazione seguito alla sconfitta operaia del '54, la classe operaia torna a farsi sentire in tutto il paese. Nenni, al momento del voto d'astensione al governo Fanfani, respinge le pressioni per una rottura coi comunisti del sindacato. Tuttavia le spinte in tal senso rimangono forti, una concessione al nuovo quadro politico sarà «l'intesa sindacale» firmata nell'agosto fra i responsabili sindacali del Psi, Psdi, e Pri. Anche se nei fatti non avrà conseguenze, testimonia le vocazioni scissioniste presenti nelle forze del centro-sinistra, nonché le contraddizioni di un sindacalismo ancora troppo partitizzato e su cui si riflettono vecchie e nuove divisioni politiche. L'operazione di centro-sinistra ha bisogno di presentarsi diversa agli occhi dei lavoratori e di imprimere un connotato più moderno all'insieme delle relazioni industriali. In questo contesto anche la repressione muta qualità. Le lotte, intanto, riprendono con vigore: le ore di sciopero, che nel 1961 sono state 79 milioni, nel 1962 salgono a 181 milioni. Non mancano momenti di asprezza. A Ceccano, in provincia di Frosinone, la polizia uccide un lavoratore nel corso di un duro intervento repressivo. La richiesta di disarmo della polizia nei conflitti da lavoro è unitaria. Numerose categorie entrano in agitazione. Si susseguono gli scioperi dei braccianti, dei chimici, dei lavoratori del settore della gomma, dei tessili, dei navalmeccanici, dei conservieri, dei cartai, degli edili, e dei poligrafici. Fra tutte emerge, per il suo ruolo trainante, la vertenza dei metalmeccanici. Ben presto dalle singole realtà aziendali la lotta si sposta ad una dimensione nazionale e si intreccia profondamente con le vicende politiche del paese. Sarà proprio questa duplicità di piani di lettura a determinare la differenza di giudizio sulla conduzione e sulle conclusioni contrattuali. Per i gruppi che si riconoscono in Quaderni rossi, una «politicità» non sfruttata. Già all'indomani della formazione del governo Fanfani, il Pci lanciava la parola d'ordine di un'effettiva svolta a sinistra nel paese. Prudente, la Fim-Cisl dichiarava che la vertenza sindacale non aveva alcun rapporto col quadro governativo. Inaspettatamente, pratica che si ripeterà nella storia delle lotte operaie italiane, la Uilm il 17 marzo 1962 chiede alla Confindustria di anticipare le trattative per il rinnovo contrattuale, scadenza fissata per 1 ottobre. La scelta dell'Uilm è un regalo alle organizzazioni padronali. Infatti in tutte le aziende metalmeccaniche sono aperte vertenze per l'integrativo e quindi la centralizzazione della trattativa tende a frenare la forza del movimento e ridurre le potenzialità di una sua estensione. Contro la mossa dell'Uilm si accende la protesta della Fim-Cisl e della Fiom-Cgil che dichiarano lo sciopero generale. A maggio la mediazione sindacale. Unitariamente le tre organizzazioni dei metalmeccanici accettano l'anticipazione del contratto nazionale anche se non considerano esclusiva la contrattazione nazionale e lasciano in vita le singole vertenze aziendali (cottimo, premi di produzione, ritmi di lavoro, organici). Da parte padronale inizia una guerra di logoramento: rinvii, frantumazione del fronte di lotta operaia. A giugno una prima battuta d'arresto. I sindacati dei metalmeccanici contro le resistenze e i rinvii proclamano lo sciopero generale. In tutto il paese la mobilitazione è un successo, ma ali'interno di questo risultato il fallimento alla Fiat di Torino. Nel più grande complesso industriale italiano la scesa in campo dei lavoratori procede per fasi alterne, un indice dei problemi interni, del rapporto fra sindacato e classe operaia, della eterogenea composizione operaia. Nello stesso mese seguiranno altri due scioperi a Torino, al primo seguirà una lenta ripresa, il secondo vedrà una ripresa della partecipazione. Nel luglio proprio in uri forte momento della tensione operaia si arriva alla firma tra sindacati e Intersind dell'accordo preliminare per il contratto. Ripercorrendo la storia di quegli anni lo stesso Luciano Lama afferma: «abbiamo fatto concessioni che, viste adesso sono drammatiche» . Il protocollo Intersind, infatti, riconosceva accanto alla contrattazione nazionale quella articolato, assegnando a essa non un carattere «integrativo» ma «applicativo», cioè nelle singole aziende del settore pubblico si potevano discutere i modi di applicazione del contratto nazionale senza tuttavia inserirvi elementi aggiuntivi. L'Uilm coglie l'occasione: si dichiara pronta a firmare un accordo separato con la Fiat purché l'azienda torinese accetti lo spirito dell'intesa con l'Intersind. Per il 7 luglio 1962 è fissato uno sciopero di 72 ore; nella notte che lo precede, con un grave atto scissionista, l'Uilm insieme alla Sida, il sindacato aziendale dell'automobile firma un accordo separato con la Fiat. Le due organizzazioni rappresentano la maggioranza dei lavoratori sindacalizzati alla Fiat, infatti nelle elezioni per le commissioni interne avevano ottenuto il 62% dei voti. La loro indicazione di disertare lo sciopero del 7 luglio cade nel vuoto, la mobilitazione investe tutta la grande azienda, si calcola che vi partecipano il 92% dei lavoratori. Nel pomeriggio centinaia di operai, contro la firma dell' accordo separato, si raccolgono a piazza Statuto di fronte alla sede provinciale dell'Uilm. Il clima si fa pesante: inizia il lancio di pietre, segue il primo carosello della polizia. La situazione si aggrava in serata. Questo il resoconto de «II Giorno»: «Mentre defluiscono gli operai subentrano al loro posto dei ragazzi giovanissimi, alcuni, affermano oggi i sindacalisti, "scesi nelle strade vicine da lussuose auto targate Cuneo, Torino e Ferrara". Sono proprio questi 200 e 300 ragazzi a buttarsi verso le 22,30, all'assalto della polizia con la cieca furia di kamikaze». E ancora: «Adesso (e poi fino all'alba) l'obiettivo non è più la sede dell'Uilm ma la polizia. Viene disselciata la piazza, grandinano i cubi di porfido, vengono divelti pali segnaletici». La segreteria torinese della Cisl attribuisce la responsabilità «a gruppi di teppisti, prevalentemente formati da gruppi estranei alle formazioni sindacali, assoldati da chi ha interessi a determinare nell'opinione pubblica il discredito sui sindacati». La Cgil invita i lavoratori a respingere ogni tentativo teppistico e provocatorio. Altri scontri il 9 luglio. La polizia interviene ripetutamente. Sono colpiti cittadini inermi, operai, sindacalisti. «l'Unità» scrive: «Abbiamo assistito a selvagge cariche dei carabinieri che col calcio dei moschetti si sono avventati contro persone, donne, bambini che stavano aspettando il tram. Si sono verificate scene che non possono trovare giustificazione alcuna, e che si verificano evidentemente perché si vuole creare un clima di esasperazione e distorcere completamente l'atmosfera di lotta democratica determinata dagli scioperi alla Fiat e nelle altre aziende metallurgiche» . Ricostruendo le varie posizioni della stampa, del sindacato e dei partiti si ricava un modello interpretativo che sarà paradigmatico nel giudizio sui conflitti sociali degli anni successivi. Un riduzionismo interpretativo che al di là dei limiti di analisi, delle strumentalizzazioni, ben rappresenta la difficoltà a dare voce politica alla nuova conflittualità sociale, allo scontro che si esprime nel crocevia fra vecchi e nuovi comportamenti sociali e politici, in sostanza al conflitto prodotto dalle contraddizioni della modernità. La stampa moderata e padronale attribuisce la responsabilità dei disordini ai comunisti e al sindacato. La sinistra, il Pci e la Cgil inseguono, con una ossessiva volontà giustificativa, lo schema della provocazione esterna, provocazione voluta e assoldata dal padronato. La nuova sinistra si dimostra più attenta a indagare l'origine reale della rabbia e della protesta, quella nuova sinistra che, nonostante errori e precipitazioni, costruirà la sua storia e le sue ragioni attorno al difficile dilemma di un nuovo agire sociale e politico. Una sfida difficile, i cui esiti polidirezionali vanno rintracciati nella mutazione dei comportamenti individuali e collettivi, nella mutazione della società italiana quale si realizzerà alla fine degli anni sessanta e per tutto il decennio successivo. La provocazione non è esclusa, vi fanno riferimento tutti i commenti della stampa, tuttavia il processo a carico dei dimostranti arrestati non ne darà conferma. Scrive Sergio Turone: «Evidentemente i provocatori motorizzati avevano saputo sfuggire agli agenti e in ogni caso non devono essere stati riconosciuti. Due terzi degli imputati erano meridionali, giovani ma non giovanissimi; non mancavano gli operai iscritti ai sindacati; alcuni avevano la tessera della Uil, l'organizzazione contestata» . L'analisi dei fatti di piazza Statuto sviluppata dai «Quaderni rossi» come da altre riviste della sinistra, polemizza con il giudizio dato da comunisti e dal sindacato. Non basta liquidare, come risulta dai loro comunicati, l'accaduto come prodotto da «elementi incontrollati ed esasperati», «provocazione preordinata», «provocazione del battaglione mobile di Padova», «piccoli gruppi di irresponsabili e di provocatori professionisti», «giovani scalmanati», «anarchici», «internazionalisti». Questa sequela di accuse non basta, non spiega il tutto. «Se infatti — si legge sui «Quaderni rossi» — è da escludersi senza alcun dubbio un'organizza-zione comunista dei fatti, comoda spiegazione del governo e della polizia sulla scia delle accuse padronali, non bastano a spiegare i gravi disordini di piazza, squallida degenerazione di una manifestazione che era iniziata come protesta operaia verso il tradimento sindacale della Uil, la presenza dei soliti gruppetti de “L'Ordine nuovo” e di “Pace e libertà” e di qualche delinquente pagato da loro o isolato» ma questi — prosegue la rivista — non rappresentano che in piccola parte i giovani di piazza Statuto». Il problema è comprendere, e questo sarà un terreno mai compiutamente esplorato dalla sinistra ufficiale, perché «la provocazione», pure possibile, trascini con sé una rabbia reale che non si identifica più con tempi, linguaggio, normalità della politica tradizionale. Ecco quindi emergere i limiti dell'azione sindacale, i limiti dell'azione sociale, le caratteristiche di un immigrazione tumultuosa, di un impatto contraddittorio fra generazioni, esperienze e culture operaie. La necessità di un diverso modo di pensare la contrattazione sarà riconosciuta dalla stessa Fiom all’ indomani di piazza Statuto: «Con coraggiosa autocritica il Cc della Fiom ha individuato le responsabilità della presente situazione nell'insufficiente posto che la rivendicazione sul potere di contrattazione ha avuto fra le altre richieste dei metallurgici». E ancora «uno scarso legame con i lavoratori durante la trattativa, ha nociuto alla possibilità di mobilitare le categorie e quindi di riferire sugli altri sindacati», per concludere che «le future fasi della vertenza dovranno portare infine ad una più costante presenza delle categorie, attraverso consultazioni di massa, con l'obiettivo di non firmare più nessun contratto senza il pronunciamento dei lavoratori» . Nella cultura politica del sinistrismo piazza dello Statuto diventa il paradigma di una nuova soggettività rivoluzionaria e di una protesta inedita quanto imprevedibile. I giovani di piazza Statuto non sono liquidabili come «teppa». Un discorso su loro non può prescindere dalle condizioni di lavoro, dalle condizioni di vita dal precario rapporto con la sinistra tradizionale e col sindacato. Uno status di precarietà non interpretato dalla politica ufficiale; una condizione prepolitica, se si vuole, ma proseguono i «Quaderni rossi»: «La carica di rabbia e di aggressività che questi giovani hanno dimostrato è causata da esperienze di lavoro e di vita che li isolano e non li aiutano e sentirsi partecipi di una più vasta coscienza di classe, questa carica non ha trovato altro modo di esplicazione che nella rabbia contro gli elementi più appariscenti, più ovvi e generici del potere: la distruzione degli oggetti del “bene pubblico” e la rivolta contro quello che è ancora per loro il primo simbolo dello stato e del potere: la polizia» . Rabbia e aggressività che mettono in crisi ogni identificazione tradizionale con partiti e sindacato, anch'essi considerati parte del «potere», creano sospetto e diffidenza con le loro aspirazioni a entrare nelle cosiddette «stanze dei bottoni». Identificazione e legittimazioni sono da reinventare, in altre condizioni, senza alcuna delega ad una presunta sfera politica e sindacale capace di rappresentare la natura del loro disagio. Si ripresenta alla cultura della sinistra, tradizionale e non, l'antico dilemma fra gestione o rottura violenta del sistema, un dilemma nel quale si logorerà senza trovare rapidamente una coniugazione più moderna: solo alla fine degli anni sessanta sembrerà profilarsi una parziale sintesi. «Non a caso — scrivono i «Quaderni rossi» — la valutazione negativa della stampa socialista e comunista dei fatti di piazza dello Statuto è sembrata coinvolgere un generale rifiuto della violenza in sé (dunque anche della violenza rivoluzionaria); e quei fatti sono stati anzi occasione per riesumare una rappresentazione caricaturale di posizioni di sinistra nel movimento operaio. Questa sinistra “inventata” è precisamente la posizione simmetrica del riformismo attuale con la sua pretesa di interpretare l'azione politica della classe operaia contro gli schemi della “via democratica”: la sinistra è rappresentata come rozza negazione della politica, blanquismo, e così via». E proseguono «la deformazione della sinistra esiste nella prassi di un partito operaio la cui linea dominante sia riformista, la sinistra che vi si produce tende ad assumere effettivamente quei tratti di “rozzo blanquismo” che il gruppo egemone le attribuisce» . Una deformazione che porta a giudicare come affermazione «dell'insurrezione istantanea» qualsiasi rifiuto degli schemi «democratici» . Considerazioni premonitrici di una doppia polarità in cui viene a svilupparsi la dialettica fra ribellismo e politica, fra tradizionalismo e modernità dei conflitti sociali. Emblematico il telegramma di Togliatti a Ugo Pecchioli, allora segretario della federazione comunista di Torino. Il leader comunista esordisce con il suo plauso per la compattezza, la combattività dello sciopero dei metalmeccanici torinesi e per la ricostruita unità degli operai della Fiat. Dopo aver invitato i lavoratori a prendere «il posto che loro spetta nelle prime file della battaglia per il progresso politico e sociale», il monito: «siate fermi nel respingere atti di inutile e dannosa esasperazione, uniti nell' azione disciplinata, sindacale e politica, per realizzare le rivendicazioni operaie e dare impulso nuovo alla lotta di tutto il popolo, per una svolta a sinistra, per la democrazia e per il socialismo» . Ma il virtuale circuito lotta, rappresentanza politico-sindacale, prospettiva politica, è entrato in crisi; fra lavoratori, sindacati e partiti occorre reinventare il rapporto soggettività, legittimità e rappresentanza. Dopo i fatti di piazza Statuto la Fiat licenzia per «punizione» 84 operai che sono definiti «agitatori facinorosi e violenti»: sono attivisti della Fiom, della Fim, della stessa Uilm. Lo sciopero unitario per protesta non riesce. A livello nazionale, alla fermata simbolica di 10 minuti, non aderisce l'Uilm. In autunno riprendono le agitazioni. Ancora un accordo con l'Intersind, il 2 ottobre. Si fa un altro passo in avanti: è riconosciuta la contrattazione aziendale per cottimi, lavorazioni a catena, premi di produzione. Nel settore privato la Fiat e 1'Olivetti tentano la carta dell' accordo sul futuro rinnovo. Una mossa tesa al recupero dell'immagine politica della grande azienda torinese, e un implicito sostegno al governo di centro-sinistra. La reazione delle altre organizzazioni imprenditoriali è notevole. L'Assolombarda invita le aziende associate alla più ferma intransigenza: «Amici industriali, attenzione! Trattare un accordo qualsiasi col sindacato significa riconoscergli nei fatti il potere di entrare nella nostra azienda. Con ciò viene ad essere compromesso definitivamente il più elementare e fondamentale diritto dell'industriale; quello di essere il solo a dirigere la vostra azienda» . La «marcia silenziosa» dei metalmeccanici del 5 ottobre a Milano, le lotte nel paese, piegheranno l'intransigenza padronale e la Confindustria arriverà a concedere l'acconto del 10%. La qualità della vertenza, della mobilitazione hanno ormai spostato il valore della lotta dalle questioni rivendicative ai temi normativi generali. Alle lotte dei metalmeccanici si aggiungono le lotte degli edili; altri scontri si sono avuti a Roma e a Bari. A Milano lo studente comunista, Giovanni Ardizzone, è ucciso dalla polizia durante una manifestazione antiamericana per Cuba. Solo alla fine dell'anno si chiude con 1'Intersind. Resta incerta la conclusione col settore privato. Piegherà definitivamente la Confindustria l'imponente sciopero nazionale di tutto il settore dell'industria, 1'8 febbraio '63. Sono passati nove anni dall'analogo sciopero del '54. Il contratto metalmeccanico si chiude con consistenti miglioramenti: riconoscimento della contrattazione aziendale, aumenti economici valutati nell'ordine del 32% rispetto ai precedenti trattamenti.
«II Messaggero», 26 giugno 1962.
Dieci anni di processo unitario, intervista di L. lama a «Rassegna sindacale», «Quaderno» n. 29, marzo-aprile 1971.
Cfr. «Cronache e appunti dei Quaderni rossi», settembre 1962.
«l'Unità», 10 luglio 1962.
S. Turone , «Storia del movimento sindacale in Italia», 1943-1969, Laterza, 1977, p. 359.
«l'Unità», 13 luglio, 1962.
Alcune osservazioni sui fatti dipiazza Statuto, «Cronache e appunti dei Quaderni rossi», settembre 1962.
«l'Unità», 12 luglio 1962.
«Ragguaglio metallurgico», febbraio 1963; Cfr. S. Turone, «Storia del movimento sindacale in Italia, 1943-1969», cit., p. 362.
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4. Contro il piano del capitale
Dopo i fatti di piazza Statuto la polemica con i partiti e con il sindacato diventa acutissima. Il gruppo dei «Quaderni rossi» è indicato come provocatore e da alcune parti viene accomunato a Pace e Libertà, un gruppo di estrema destra finanziato e sostenuto dai settori più retrivi della direzione Fiat. A pochi giorni di distanza dagli incidenti si impedisce a Panzieri di partecipare all’assemblea cittadina dei lavoratori della Fiat. Intanto attorno alla rivista in varie città si formano collettivi e comitati di intervento. Alla presenza davanti alle fabbriche si accompagna una fitta attività di studio e di analisi, nascono i fogli di fabbrica: all'Alfa Romeo, nel corso della lotta contrattuale, appare «Potere operaio» . Per Panzieri è difficile rompere col sindacato, lo considera inadeguato, ma continua a ritenerlo essenziale più dei partiti nel poter coniugare insieme lotta politica e lotta economica. Prosegue dunque l'attenzione critica alle vicende sindacali, ma preme sempre più sul gruppo redazionale la questione dell'organizzazione: come si verifica l'esigenza di una ricerca autonoma con l'insieme della classe? come si unificano le diverse situazioni e le pratiche di lotta? occorre o no costruire un nuovo partito della classe operaia? che atteggiamenti vanno assunti nei confronti dei tradizionali partiti operai? Da una logica di pressione si passa a quella dell'alternativa. Interrogativi che saranno la premessa della differenziazione Panzieri-Tronti. Le lotte dei metalmeccanici del 1961-62, mettendo in evidenza i limiti del sindacato, vengono assunte dal comitato di redazione dei «Quaderni rossi» come conferma delle proprie ipotesi. Si apre però un sostanziale conflitto fra Panzieri e il resto del gruppo sul giudizio da dare sull'insieme del movimento operaio tradizionale. È presente in Panzieri, sia pure in modo alterno, la paura del vuoto, la forte preoccupazione che, a fronte della complessità della fase e senza un adeguamento corrispondente, estremo limite dell' esperienza del gruppo possa diventare la perdita di ogni referente unitario. In una lettera ad Asor Rosa della fine del '62, esplicita questi temi di riflessione: dalla crisi delle organizzazioni devono emergere fattori di unificazione, non la disgregazione degli elementi di classe che dalla crisi emergono . Di qui la sua critica al «disordinato attivismo» e il suo concentrarsi sull' inchiesta operaia quasi che la sua realizzazione possa divenire un tassello della ricomposizione unitaria del movimento operaio. Il giudizio sulla conclusione della lotta contrattuale del '62 accelera la frattura del comitato di redazione: nel gruppo che si raccoglie attorno a Tronti si afferma con forza la necessità del partito. Il secondo numero dei «Quaderni rossi» non si presenta più come frutto della collaborazione con la Camera del lavoro di Torino, ma nella sua piena autonomia, vuole essere «espressione di un lavoro teorico e pratico di militanti impegnati nelle lotte sindacali e politiche del movimento operaio. Il programma dei Quaderni si svolge sul terreno della formazione di una strategia politica di classe» . Il saggio editoriale di Mario Tronti La fabbrica e la società, è un momento importante nell'elaborazione del gruppo. Come già aveva fatto Panzieri in L'uso capitalistico delle macchine, Tronti rivisita Marx con l'obiettivo di una sua attualizzazione finalizzata a una ipotesi politica. L'autore parte dai due diversi punti di vista da cui si può considerare la forma capitalistica di produzione delle merci: il processo lavorativo e il processo di valorizzazione. Lo sviluppo capitalistico e le sue forze produttive tenderanno sempre più a integrare questi due aspetti. Tale processo tanto più si realizzerà quanto più la forma capitalistica della produzione si impadronirà delle varie sfere della società, quanto più riuscirà a riassorbire il processo lavorativo-sociale dentro il processo di valorizzazione del capitale, quanto più si compirà l'integrazione della forza lavoro. Se per le classi dominanti l'obiettivo è annullare ogni originaria distinzione, per le forze rivoluzionarie si tratta di esaltare le distinzioni fino a una netta contrapposizione come processi contraddittori che si escludono a vicenda e quindi come «leva materiale di dissoluzione del capitale piantata nel punto decisivo del sistema». Di fronte al progressivo sviluppo delle forze produttive del capitalismo, le tradizionali categorie (lavoro, salario, fabbrica) risultano arcaiche e richiedono una sostanziale rilettura se si vuole costruire una strategia rivoluzionaria ali'altezza dei compiti. Progressivamente il capitale estende il suo dominio. L'ammodernamento tecnologico e la razionalizzazione di tutte le fasi della produzione sono funzionali e, al tempo stesso, condizioni per realizzare lo sfruttamento capitalistico della forza lavoro. Il mero ambito della sfera produttiva falsa la visione unitaria del processo lavorativo e del processo di valorizzazione, presentando all'operaio solo il processo lavorativo semplice: «L'operaio riesce a cogliere la globalità del processo di produzione solo attraverso la mediazione del capitale: forza lavoro non più soltanto sfruttata dal capitalista, ma integrata dentro il capitale». La combattività operaia costringe il capitalismo a modificare le forme del suo tradizionale dominio. La pressione della classe operaia interviene e trasforma la produzione capitalistica. Per contrastare questa possibilità nascono nuove sofisticate tecniche e si verifica un trasferimento verso un totale «dominio sociale». Richiamandosi al concetto scientifico di fabbrica introdotto da Lenin, Tronti considera il rapporto fabbrica-società come un prolungamento dei rapporti di produzione: «Al livello più alto dello sviluppo capitalistico il rapporto sociale diventa un momento del rapporto di produzione, la società intera diventa una articolazione della produzione cioè tutta la società vive in funzione della fabbrica e la fabbrica estende il suo dominio esclusivo su tutta la società». Dunque lo Stato, nei suoi meccanismi politico-istituzionali, si identifica sempre più come stato del capitalista collettivo. Risulta dunque impraticabile ogni strategia che veda lo stato come terreno neutro nel conflitto capitale-lavoro. Il piano, la programmazione democratica altro non sono che raffinate varianti di una nuova fase del dominio capitalistico, momenti dell' integrazione operaia. Se convergenti con Panzieri sono le analisi e le elaborazioni sulla fase cui è giunto il capitalismo moderno, divergenti sono le conclusioni sull'organizzazione e sugli strumenti politici della classe. Come si è visto, si tratta di un nodo irrisolto in Panzieri, mediato nella formulazione del «controllo» ma stretto fra due poli inconciliabili: la ricomposizione con i tradizionali strumenti del movimento operaio e l'individuazione di un momento alternativo di organizzazione. Panzieri si colloca con cautela rispetto al dibattito interno, oppone un rifiuto a chi sostiene la necessità di costruire subito un nuovo partito, a chi vuole forzare i tempi passando dalla pressione alla realizzazione di un'organica alternativa ai partiti operai, ma nello stesso tempo cerca la mediazione. La pubblicazione delle «Cronache dei Quaderni rossi» va in questa direzione. Ma i tentativi di trovare una sintesi fra le diverse posizioni, come egli stesso ammetterà autocriticamente, si dimostreranno impraticabili: nell'agosto del 1963 l'inevitabile rottura. Testimoniano la natura dello scontro gli articoli di Panzieri e di Trenti, rispettivamente intitolati, Piano capitalistico e lotte operaie e II piano del capitale, che appaiono sul terzo numero dei «Quaderni rossi». Tronti sulla questione dell'organizzazione è drastico: «L'analisi marxista del capitalismo non andrà più avanti se non troverà una teoria operaia della rivoluzione. E questa non servirà a niente se non avrà da incarnarsi in reali forze materiali. E queste non esisteranno per la società se non quando verranno politicamente organizzate in classe contro di essa». Il ragionamento di Panzieri si snoda attraverso alcuni passaggi essenziali: il giudizio sulla lotta dei metalmeccanici, sulla formula di centro-sinistra e sui limiti delle organizzazioni tradizionali e una proposta di lavoro e di ricerca. La lotta dei metalmeccanici è espressione della svolta politica del capitalismo italiano. Nel corso del suo svolgimento il fronte padronale, si è unificato in un medesimo disegno, spostando in avanti la sua strategia. Sono prevalse le forze illuminate del capitalismo maturo che hanno perseguito con coerenza il loro obiettivo di integrazione della classe operaia. Il riconoscimento del ruolo del sindacato è interno a questa logica, in quanto esso è stato scelto come l'interlocutore fondamentale di ogni programmazione democratica. I risultati conseguiti dai sindacati nella lotta contrattuale sono già stati messi nel conto dal capitalismo e dimostrano il «vuoto teorico e politico delle organizzazioni». Si è preferito avere come contropartita una maggiore partecipazione alla pianificazione democratica, piuttosto che rendere quanto più possibile difficile il passaggio del capitalismo alla nuova fase, ritrovare e consolidare l'unità di classe, porre le basi, attraverso lo sviluppo coerente di una lotta sindacale che rivelava importanti implicazioni politiche, della costruzione di una valida strategia di classe. Il capitalismo ha sperimentato le possibilità di un nuovo disegno politico, ma ha dovuto verificare l'esistenza di una «forza terribile di spinte di classe, che in momenti decisivi tendono a comporsi in una dinamica anticapitalistica». In questo contesto risulta aggravarsi la crisi dei rapporti fra classe operaia e organizzazioni tradizionali, quest'ultime ormai portatrici di una linea tutta interna alla strategia dello sviluppo capitalistico. Ma Panzieri distingue fra partito e sindacato: «Mentre il rovesciamento della linea riformistica, a livello dei partiti appare assai difficile, almeno a breve scadenza (quanto più si cristallizza la linea "democratica" tanto più si accentua l'e-stremità burocratica delle organizzazioni rispetto alla classe), un problema ricco di importanti implicazioni nell' immediato futuro, potrà probabilmente essere riaperto: quello dei rapporti della Cgil con la programmazione». Né si può scambiare la «feroce» critica alle organizzazioni esistenti, che si esprime nei comportamenti operai, per un' «immediata possibilità di sviluppo di una strategia rivoluzionaria». Così facendo si prescinderebbe totalmente dai contenuti, col grave rischio dell'«accumularsi di una serie di rifiuti frammentari, non collegati tra loro in un disegno politico unitario, ma soltanto idealmente unificati in uno schema interpretativo del capitalismo contemporaneo». Per evitare «settarismi anarchici» o pericolose accelerazioni, Panzieri ribadisce la necessità di proseguire nella ricerca e nella verifica della teoria nella pratica politica, non coltivando illusioni nello schema ormai logoro secondo il quale sarebbe sufficiente fornire una teoria alla classe per costruire una nuova fase organizzativa. Vengono meno le possibilità di una ricomposizione del gruppo redazionale. La rottura nel campo socialista (è dell' estate '63 lo scambio delle lettere-accusa fra i Comitati centrali dei partiti comunisti sovietico e cinese), le condizioni in cui, alla fine del 1963, nasce il centro-sinistra organico e l'impronta moderata con cui si presenta il primo governo a partecipazione socialista, spingono alla scelta. Intervenendo a commentare l'esito negativo di «Cronache dei Quaderni rossi», Panzieri precisa ulteriormente le sue posizioni. Considera hegeliana l'impostazione di Tronti, definita «una filosofia della classe operaia»; giudica impraticabile la fondazione di un giornale nazionale e ribadisce il carattere di sperimentazione dei «Quaderni rossi», un lavoro finalizzato alla costruzione di un'avanguardia rivoluzionaria; vede il problema del partito in una prospettiva di lunga durata. Contro ogni ipotesi frettolosa, insiste sul carattere graduale del processo: «Ma bisogna tener conto che questo non può a breve scadenza coordinarsi in un movimento unitario, politicamente determinato. Ci sono una serie di tappe, e se non le si vede si finisce per mistificare le sconfitte in successi e, al limite, si finisce per scambiare come forma di lotta politica di avanguardia il sabotaggio che da decine di anni la classe operaia conduce in diverse situazioni, in diversi momenti, e che è l'espressione permanente della sua sconfìtta politica» . Attorno al gruppo di Tronti prende corpo l'esperienza di «Classe operaia». Il primo numero della rivista è del gennaio '64, nel comitato di redazione: Toni Negri, Alberto Asor Rosa, Romano Alquati. Le strade divergono, tuttavia la comune analisi del capitalismo e la comune metodologia d'intervento saranno la base per molteplici incontri nelle situazioni locali. Dopo il '67, l'anno delle espulsioni ma anche dell' ambiguo «ritorno al partito» di «Classe operaia», tutto si ridiscuterà nel crogiolo di Potere operaio e del movimento. Ma ormai il tema «partito» è punto d'incontro e di divaricazione, di mediazione e di conflitto di una dialettica mai definitivamente risolta fra avanguardia e movimento, una dialettica tanto più esasperata quanto più si fa netta la rottura col «revisionismo» del movimento operaio tradizionale. L'attenzione di Panzieri si concentra sull'«inchiesta operaia»; non sarà mai realizzata, tuttavia i numerosi materiali preparatori offrono l'interessante inventario di un'ipotesi ricognitiva sulla classe operaia italiana ed europea. Contemporaneamente si infittiscono i rapporti fra i collettivi e i gruppi che in vario modo si riconoscono nella impostazione della rivista. Le «Lettere dei Quaderni rossi» e il «Notiziario politico» offrono lo spaccato di una sperimentazione che si ramifica su tutto il territorio nazionale, si incontra con il dissenso, aperto o endemico, al «revisionismo», si arricchisce nella presenza nelle lotte e nel dibattito politico-sindacale. Si tratta di strumenti collaterali ai «Quadèrni rossi», finalizzati a una maggiore integrazione fra ricerca e lavoro politico, condizione necessaria per accelerare i tempi della «costruzione ex novo», conseguenza necessaria della crisi ideologica e teorica del movimento operaio che ha reso impraticabili «soluzioni che rispettino una continuità e si inseriscano in una tradizione» . Le «Lettere», il cui primo numero è del gennaio-febbraio 1964, con pubblicazione a cadenza quindicinale hanno il carattere delle schede per argomento, il «Notiziario politico» svolge invece una funzione di coordinamento operativo, anticipando in qualche misura il ruolo dei giornali nazionali del dopo Sessantotto. Il «Notiziario politico» diventa dunque un bollettino delle attività dei gruppi facenti capo ai «Quaderni rossi» di tutte le esperienze di lavoro politico che possono essere utili per la ricerca e l'elaborazione di una strategia socialista. Non importa da quale ambito nascano, dentro o fuori dalle organizzazioni ufficiali «purché il metodo che guida tali esperienze e i risultati raggiunti presentino elementi di critica e di diversità rispetto alla linea politica riformistica che ha dominato il movimento operaio italiano in questi anni» 43. Scorrendo il primo numero del «Notiziario politico» troviamo informazioni sulle situazioni di Biella, Catania, Ivrea, Pisa, Roma, Sassari e Torino. Lo schema metodologico è comune alle varie realtà, e il modello si ricava facilmente dalla scheda dedicata a Torino: il corso politico con lettura di testi e relazioni sui classici e sulle caratteristiche del capitalismo moderno, il parallelo intervento politico in fabbrica. Dalla descrizione degli interventi si possono trarre delle vere e proprie tipologie di lavoro politico. Sulla base di quanto emerge dall'inchiesta-colloquio si assume come occasione di lotta un problema direttamente sentito e da questo si parte per una azione, anche se coinvolge un numero ristretto di operai. Non importa l'esito parziale o se la partecipazione risulta limitata «a causa della mancanza di una organizzazione operaia in fabbrica», la lotta è comunque vista dagli operai «come occasione per manifestare una protesta più generale», il suo valore consiste nel «tener viva» una tensione, serve per individuare «gli operai con cui svolgere un lavoro di elaborazione politica più approfondita». Sono le premesse della microconflittualità della fase matura dei gruppi. Nel singolo intervento si vorrà ritrovare la totalità degli obiettivi strategici, ma proprio in questa dilatazione è l'origine del costante scarto fra i risultati conseguiti e il disegno generale. A questa irrisolta contraddizione si risponderà, per tappe alterne, con le forzature organizzative o con 1'esplosione disgregatoria dei vari momenti parziali. Nell'elencazione del «Notiziario», la gamma delle occasioni di lotta: il cottimo, l'organizzazione del lavoro, l'elevata trattenuta sulla busta paga, la linea e le scelte del sindacato. Si presta molta attenzione alla nascita del Psiup, si cercano contatti e in molte situazioni l'intervento è comune. Esperienze integrate, importanti per i loro sviluppi, si realizzano a Torino, a Biella, a Roma, nel Veneto e in Toscana. Le aperture del Psiup sembrano essere un ponte verso lo spostamento del Pci: la linea del nuovo partito ancora non è precisata ma è caratterizzata da una piena disponibilità e nello stesso tempo da una forte critica al riformismo e allo stalinismo burocratico. Contemporaneamente si affronta la questione cinese, ormai esplosa in tutta la sua carica dirompente. Un ruolo decisivo spetta a Edoarda Masi, la cui ricerca rappresenta un serio contributo alla comprensione dei tratti caratteristici e originali dell'esperienza cinese. Nel giugno del 1964 appare il «piano di lavoro» e lo schema di un questionario per un'inchiesta operaia in Europa. E l'ambizioso progetto lasciato incompiuto da Panzieri. Per il fondatore dei «Quaderni rossi» obiettivo principale dell' inchiesta è «la conoscenza degli atteggiamenti della classe operaia». Non si nega il carattere di «fermento politico» interno alla dinamica dell' inchiesta, nel reciproco coinvolgimento fra intervistato e intervistatore, ma in primo luogo interessa a Panzieri 1'oggettività del sondaggio. L'inchiesta deve rimanere nell'ambito rigorosamente sociologico, essere strumento di conoscenza, non trasformarsi in propaganda politica, poiché solo dall'oggettività dei dati acquisiti può nascere la proposta politica. Alla riflessione sullo strumento si accompagnano le schede illustrative, le caratteristiche tecniche dell'inchiesta: lo schema di colloquio, la scelta della situazione e il tipo di elaborazione, i criteri della scelta del campione da intervistare. Nell'ambito dell'indagine, la condizione oggettiva e soggettiva della classe operaia, si parte dalle condizioni di lavoro e dall' organizzazione aziendale, affrontando temi come le mansioni, l'intensità del lavoro, il salario, le qualifiche, per passare poi al giudizio sulla politica aziendale e infine alle lotte. Interessa capire come si vivono le esperienze di lotta, come si è partecipato alle decisioni e quali giudizi si sono formulati sulla conduzione e sulle conclusioni delle azioni sindacali, quale giudizio si da del sindacato. L'ultima scheda riguarda i problemi politici generali: il centro-sinistra, la politica economica europea, e il socialismo. Il «Notiziario» di luglio esce con un ricco palinsesto di materiali preparatori del numero 5-6 dei «Quaderni rossi», dedicato a «la disponibilità della forza lavoro». L'articolo di Panzieri dovrebbe trattare: accumulazione, tecnologia, organizzazione produttiva e classe operaia (problemi teorici di una prospettiva socialista). In ottobre, la morte di Panzieri: il comitato redazionale è destinato a entrare in una fase delicata. L'orizzonte teorico tracciato da Panzieri si prolungherà nella preparazione del convegno ideologico di Torino, ma ormai le vicende politiche spingono in altra dirczione. Gli stessi caratteri dell' inchiesta mutano, si punta di più al lavoro politico. Nell'ottobre 1964, su «Notizie e documenti di lavoro», illustrando il programma di lavoro dei «Quaderni rossi» per il 1964-'65 si fa il bilancio dell'attività svolta e si individuano i caratteri del necessario «salto» di qualità. In sostanza si deve spostare l'asse teorico: se in una prima fase il centro del lavoro era stato «la definizione di un modello di capitalismo (e del suo sviluppo), da cui si ricavano le indicazioni dei problemi», ormai «occorre rendere esplicita la base positiva su cui la nostra posizione si fondava: cioè la concezione del socialismo che era finora implicita in quel discorso». Questa premessa ha le sue conseguenze immediate nella trasformazione del lavoro di gruppo, nel rapporto «tra l'elaborazione teorica e la rivelazione empirica, tra elaborazione teorica e lavoro pratico di formazione e organizzazione dei quadri». Non si tratta più di formulare ipotesi rigorose e di descriverle, ma di costruire attorno al «modello di socialismo» una «presa di posizione di valore». E un processo che richiede non solo un maggior coinvolgimento di forze e di militanti, ma anche un profondo aggiornamento nella metodologia di ricerca e di intervento, che deve «vertere direttamente sulla classe operaia, sulle prese di posizione di valore che si verificano tra gli operai, sui problemi centrali della fabbrica e della società; e la elaborazione deve essere compiuta collettivamente con i quadri operai (non l'intera classe, né sue avanguardie di massa) con cui intendiamo formare dei nuclei permanenti». L'attività teorica si concentra sulla preparazione del convegno ideologico, mentre cresce il lavoro di coordinamento e di espansione dei vari gruppi orbitanti attorno ai «Quaderni rossi». L'ipotesi di lavoro del convegno ideologico, arrichita da seminari e riunioni preparatorie, si articola in quattro punti fondamentali: elaborazione di un modello di società socialista, problema del processo di transizione, analisi critica delle società socialiste esistenti, analisi critica delle linee del movimento operaio occidentale. A questo schema teorico si aggiunge, finalizzata al lavoro quotidiano e alla iniziativa politica, l'inchiesta operaia. Sulle caratteristiche di quest'ultima già il seminario a Torino nel settembre 1964 rappresenta un superamento del modulo originario tracciato da Panzieri. Le modifiche riguardano due passaggi essenziali: l'oggetto della inchiesta e il suo rapporto con il lavoro politico. Non è decisiva la ricognizione sulla condizione operaia in fabbrica ne quella sui comportamenti sindacali in sé: ma importa piuttosto quali giudizi si esprimono sulla fabbrica e sulla società capitalistica. Solo in questo modo il rapporto fra inchiesta e lavoro politico non risulta statico, e l'inchiesta non è semplice osservazione di valori operai, conoscenza da utilizzare per un successivo intervento politico. L'inchiesta operaia, già nella fase dell'intervista-colloquio, diventa intervento politico intenzionale e finalizzato. Obiettivo del colloquio non è la registrazione delle contraddizioni, ma la loro evidenziazio-ne. La ricerca delle contraddizioni serve, nella reciproca interferenza fra operaio contattato e intervistatore militante, ad acquisire e tradurre in termini di propaganda socialista «valori ed esigenze che devono diventare la base di una azione politica». Con il documento redatto nella riunione a Massa Carrara nel gennaio 1965, si compie un ulteriore passo in avanti nella definizione dei temi del convegno, aggiungendo ai temi già indicati e come punto da chiarire «la costruzione di un partito e di una strategia». Si avverte la difficoltà di dare risposta alla crescente domanda organizzativa, mentre la ricerca teorica rischia una progressiva frammentazione. La relazione di Vittorio Rieser, al seminario di Torino dell'aprile 1965, che in pratica sostituisce il convegno ideologico, è indicativa del cumulo di suggestioni e di problemi che sono di fronte al gruppo dei «Quaderni rossi». Secondo Rieser il capitalismo italiano ha maturato al suo attivo, oltre al sostanziale controllo sul costo del lavoro e sui comportamenti della forza lavoro, una generale iniziativa di razionalizzazione. Le organizzazioni del movimento operaio, se formalmente hanno rifiutato la proposta riformistica di fatto l'hanno legittimata concorrendo, con la tregua sociale, al mantenimento in chiave moderata del centro-sinistra. Un mascheramento che si dimostra addirittura meno efficace di un'aperta accettazione, che almeno avrebbe portato a un sistema di contropartite. La relazione non offre molte novità per quello che riguarda l'analisi del capitalismo italiano. Vi si ripetono le linee teoriche già sviluppate nei «Quaderni rossi». Più interessanti per comprendere la fase che attraversa il gruppo risultano le indicazioni di bilancio e di lavoro. Davanti alle fabbriche, nella pratica politica, si sono dovuti fare i conti con le proposte, anche se velleitarie, di «Classe operaia» e con la capacità organizzativa dei marxisti-leninisti. La ricerca teorica non procede con il sufficiente rigore e nelle situazioni concrete si manifesta lo scarto fra le sperimentazioni teoriche e la reale incidenza delle proposte politiche. Nel bilancio d'attività e proponendo le linee del programma futuro, Rieser elenca una serie di obiettivi pansidacali: eguaglianza salariale, lotta contro l'intensificazione dei ritmi, democrazia nella formazione delle decisioni. Sul partito il discorso è appena sfiorato, si rimanda a ulteriori momenti di precisazione e approfondimento, si insiste però sull'urgenza di una definizione della questione, tema non eludibile nel confronto con le varie esperienze che stanno nascendo fuori dalla sinistra tradizionale. La ricognizione operata su queste ultime testimonia la preoccupazione di una perdita di ruolo del gruppo, così come la riproposizione di una funzione di polo esterno nei confronti del Pci e del sindacato appare stanca e rituale. Non si può rispondere alla linea amendoliana dell'unificazione delle sinistre tradizionali con un'accelerazione di segno contrario, rivolta alle varie esperienze dei gruppi. Tuttavia le tappe del processo devono delinearsi, pena la frammentazione. Nella relazione esse si muovono in varie direzioni: verso il Pci, lavorando sul dissenso interno, verso il Psiup, arrivando a un chiarimento di fondo, verso tutte le formazioni estremistiche manifestando attenzione e disponibilità. Sono indicazioni che rimangono generiche e rimandano a un ambizioso «programma comunista» come massimo punto di unificazione. Prosegue il lavoro d'analisi, ma i progetti di Panzieri di rifondazione della sinistra si frantumano nei rivoli dello sperimentalismo locale e nelle frenesie delle rotture storiche. La scissione di «Classe operaia» conclusasi, con l'entrismo di parte del comitato di redazione nel Pci e nello Psiup, porta quasi a un riflusso della vocazione scientifico-analitica nella fretta organizzativistica e nell'astratto propagandismo. Per molti dei militanti dei «Quaderni» il «casino» rimproverato a «Classe operaia» da Rieser sembra dinamismo a fronte di un utopico e non definito modello di socialismo. Dopo la morte di Panzieri la direzione della rivista viene affidata a Salvatore Sechi. Usciranno altri due numeri: nel marzo «Intervento socialista nella lotta operaia»; nel dicembre 1965 «Movimento operaio e autonomia della lotta di classe». Si conclude così, estinguendosi ma al tempo stèsso alimentando tanti e diversi percorsi intellettuali e politici, una delle esperienze più interessanti e innovative della nuova sinistra. Il carattere originale dei «Quaderni rossi», il loro porsi come nuova frontiera verso una modernizzazione delle teorie della lotta di classe, costituisce un patrimonio a cui le diverse formazioni dell' estremismo si ricondurranno come a una nuova tradizione. Non sarà una forzata operazione di appropriazione, ma la ricerca di una continuità che accumunerà, nelle reciproche differenze, Potere operaio, Lotta continua, il Manifesto, Avanguardia operaia e tutta la geografia dei gruppi di più o meno dichiarata provenienza operaista fino alle conseguenze estreme dell' autonomismo operaio.
Cfr. Un giornale operaio all'Alfa Romeo, in «Cronache e appunti dei Quaderni rossi», cit.
Cfr. R. Panzieri, «La ripresa del marxismo-leninismo», cit.
Collaborano al secondo numero: Emilio Agazzi, Romano Alquati, Alberto Asor Rosa, Bianca Beccalli, Giuliano Boaretto, Luciano Della Mea, Dino De Palma, Rita Di Leo, Pierluigi Gasparotto, Claudio Greppi, Dario Lanzardo, Liliana Lanzardo, Gabriele Lolli, Mario Miegge, Giovanni Mottura, Giuseppe Muraro, Antonio Negri, Massimo Paci, Raniero Panzieri, Vittorio Rieser, Edda Saccomani, Michele Salvati, Emilio Soave, Mario Tronti.
R. Panzieri, Intervento alla riunione della redazione, “Quaderni rossi - Cronache operaie”, in «La ripresa del marxismo-leninismo», cit., p. 301.
II comitato di redazione del quarto fascicolo è composto da: Emilio Agazzi, Bianca Beccalli, Vittorio Campione, Dario Lanzardo, Liliana Lanzardo, Edoarda Masi, Mario Miegge, Giovanni Mottura, Raniero Panzieri, Vittorio Rieser, Edda Saccomani, Michele Salvati, Renato Solmi.
Cfr. «Notiziario politico», n. 1, gennaio-febbraio 1964.
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