IX LOTTA CONTINUA: SPONTANEITÀ E ORGANIZZAZIONE |
1. Non è che l'inizio Dal dibattito sull'organizzazione che attraversa il Potere operaio pisano sul finire del '69 prendono le mosse le tappe fondamentali che originano la fondazione del periodico «Lotta continua» e l'omonimo gruppo. Le tesi esposte da Adriano Sofri, in polemica con Luciano Della Mea, offrono la base teorica della rottura con l'area più organicamente operaista che si raggrup-pa attorno a Negri, Vesce, Scalzone, Piperno, Pace. Una separazione che risolve quel contrasto già in atto nelle lotte università-rie, emblematizzato dalle due parole d'ordine «Potere operaio»-«Potere studentesco» e più in generale dal conflitto spontaneità-direzione che aveva contrapposto il movimento ai gruppi, nella logica delle cosidette avanguardie esterne. Si congiungono e danno vita a Lotta continua: l'esperienza dell'assemblea operai-studenti di Torino, quindi Luigi Bobbio e Guido Viale; il sociologismo trentino di Mauro Rostagno e Marco Boato; lo spontaneismo operaistico dell'ala pisana del Potere operaio capeggiata da Adriano Sofri, trasferitesi a Torino già nella fase che precede gli scontri di corso Traiano e dei successivi scioperi «selvaggi».Tornando alle origini di "Lotta continua. Guido Viale scrive: «Altrettanto nuova è la pratica dell'organizzazione; non nasce da una scissione del movimento operaio ufficiale, non trova il suo cemento in un'ideologia o in un linguaggio già definiti, non si raccoglie intorno a un "corpo storico" o a un gruppo dirigente già costituiti. Lotta continua non ha ne ideologia, ne teoria, ne strutture organizzative, ne disciplina di partito, ne programma e risoluzioni che ne fissino i compiti. Vive innanzitutto come "stato d'animo" e come "pratica di lotta"...»1. Sarà proprio questa la forza e la debolezza del gruppo.Un' eclettica mescolanza di motivi teorici cementati fra loro da un vitalismo emmellista che assume a ragione del proprio dispiegamento l'antagonismo e 1'insurbodinazione sociale, come forme della nuova soggettività rivoluzionaria dentro e fuori la dimensione della fabbrica. Si manifesta così una sostanziale disponibilità a plasmarsi sui molteplici andamenti di una pratica politica vissuta senza un aprioristico modello di riferimento e quindi caratterizzata da uno sperimentalismo non esente da concessioni tattico-opportunistiche e capace di recepire trasversalmente influssi anche contrapposti fra loro senza determinare nel gruppo lacerazioni irrisolvibili. In questo modo, con un intelligente camaleontismo, pronto all'adattamento e al rovesciamento radicale delle proprie posizioni, si dialettizzano fra loro l'empiria movimentista e quelle tendenze alla costruzione del partito che, facendosi progressivamente strada, porteranno alla conferenza nazionale del '75 e forzando il precario equilibrio raggiunto, acceleraranno l'implosione dissolvente del gruppo nella seconda metà degli anni settanta.Lotta continua, al suo sorgere non risulta irretita da «principi assunti in modo rigoroso». Il leninismo nella sua versione terzinternazionalista è messo in discussione; il maoismo, a cui pure ci si riconduce, non rappresenta una gabbia dogmatica; l'o-peraismo si identifica con la più generale insurbodinazione sociale. Primi laboratori del gruppo sono la Fiat Mirafiori e l'Assemblea operai studenti. I «lottatori continui» fanno la loro comparsa a corso Traiano, proseguono il lavoro davanti ai cancelli della Fiat, organizzano il convegno delle avanguardie operaie ma non scelgono l'isolamento come Potere operaio: a loro interessa rimanere interni al movimento. Una caratteristica che verrà sempre prima di ogni ipotesi teorica e organizzativa.Accompagna lo sviluppo del gruppo una moderna capacità comunicativa che utilizzerà una grande varietà di tecniche: le campagne d'opinione, l'uso del giornale, il fumetto, la satira politica, l'invenzione grafica, passando dagli evidenti richiami alla produzione dell'Atelier populaire nel maggio francese a più raffinati mezzi espressivi.La molteplicità dei temi agitati, la disinvoltura organizzativa e la combattività consentirà al gruppo di essere forza d'attra-zione nella fase di riflusso post-sessantottesco e, in concorrenza con le altre formazioni dell'estremismo, un protagonista della punteggiatura della strategia della tensione, dalla rivolta di Reggio alla pratica della guerriglia urbana nelle grandi aree metropolitane. Tra morbose curiosità verso un campo eversivo ormai considerato «valore in sé» e aperture tattiche tese a non perdere terreno nella gara al rivoluzionarismo, finirà, pur non identificandosi col terrorismo ne con l'area delTAutonomia, a dare coperture politiche a quelli che verranno considerati i «compagni che sbagliano». Il movimentismo, ragione degli originar! successi, diverrà nel tempo un ostacolo che impedirà ogni passaggio strutturato da gruppo a partito e non permetterà la più volte annunciata trasformazione di Lotta continua in «forza politica» condannandola così ali'estinzione.Già prima della definitiva rottura con l'operaismo, le proposte avanzate nella relazione di Adriano Sofri sono assunte come un nuovo e più avanzato terreno organizzativo. Si arriva così alle Proposte per V organizzazione del movimento studentesco (documento ciclostilato del marzo '69), all'articolo Pisa, coordinamento dei comitati di base, apparso sull'ultimo numero di «Potere operaio» prima fase (n. 19 - 7 giugno) e successivamente, nel settembre '69, alle Proposte dei comitati di base di Pisa e Torino per un giornale nazionale.Il primo numero di «Lotta continua» esce il 1° novembre 1969; diventa settimanale il 22 novembre. Il giornale ha lo scopo di agevolare il collegamento fra le varie esperienze, fra le diverse fabbriche, fra la fabbrica e la scuola. Protagonisti di questo processo di coordinamento debbono essere direttamente gli «sfruttati», rompendo definitivamente «il monopolio del Pci e della Cgil», una sinistra revisionista che ormai ha rinunciato a lottare 2. Sin dall'inizio ingrossano le file del gruppo, oltre ai residui del Potere operaio pisano, settori consistenti del movimento studentesco di Torino e Trento, militanti della Cattolica di Milano, del Potere operaio pavese. Progressivamente nelle principali città, si realizza una massiccia opera di reclutamento attraverso un'ampia pubblicizzazione del giornale, una campagna favorita dal rifiuto di prospettare una linea politica «giusta» indipendentemente «dalla forza del movimento».Dopo le lotte di fabbrica e le battaglie dell' estate, lo scontro sociale è a un punto cruciale, sempre più manifesto per i promotori del gruppo il ruolo opportunistico dei partiti della sinistra e del sindacato. Spetta al giornale farsi strumento di unificazione per tutti coloro che si riconoscono in una comune «linea di classe» antirevisionista: «Siamo convinti che lo sviluppo impetuoso delle lotte stia accelerando la chiarificazione politica all'interno delle forze rivoluzionarie. L'opportunismo di alcuni gruppi, ridotti a reggere la coda al Pci o al sindacato, viene alla luce. E viene alla luce contemporaneamente, la possibilità e la necessità di unire tutti coloro che agiscono su una linea di classe, confrontando con i problemi posti dalle lotte le diverse posizioni ed esperienze. A questo deve servire il giornale, che oggi esprime una serie ancora limitata di esperienze di lavoro rivoluzionario [...]. Chi ha una parola da dire su questo è il benvenuto» 3.Le lotte contrattuali dell'autunno sono il primo appuntamento per Lotta continua: sperimentalismo e spontaneismo caratterizzano un intervento che evita deliberatamente ogni sistematizzazione organica, esaspera il momento dello scontro, del-l'impatto violento. Se Potere operaio, deluso dal recupero sindacale che si manifesta in fabbrica, preferisce lanciare la parola d'ordine della cessazione immediata della lotta con 1 obiettivo evidente di chiudere una partita ormai persa, Lotta continua vuole prolungare lo scontro, cavalcare le stesse contraddizioni delle piattaforme contrattuali, usare tutti gli interstizi che gli si offrono per giocare a un perenne rialzo. L'ostentato rifiuto di una teoria politica diviene esso stesso scelta teorica in una visione che, respinte le mediazioni di presunte avanguardie esterne, attribuisce al movimento, in quanto tale, una sua dirompente carica rivoluzionaria in una fase in cui la «crescita impetuosa della lotta di classe» scavalca ogni previsione e supera nei fatti ogni volontà soggettiva di direzione.«L'ultima settimana di ottobre ha segnato una tappa decisiva nella fase attuale dello scontro di classe. Fallita la speranza in una soluzione indolore "sindacale", delle lotte operaie, la borghesia ha fatto ricorso all'attacco violento e massiccio. Gli scontri di Pisa, la rappresaglia di Agnelli alla Fiat, e accanto ad essi le provocazioni padronali alla Rhodiatoce di Verbania e in tante altre fabbriche milanesi, sono state esemplari per due versi. A Pisa e a Torino, per la prima volta, il Pci e i sindacati si sono schierati senza più mezzi termini dalla parte della repressione. Prima di oggi il Pci ha sempre cercato di tenere i piedi in due staffe: attaccare gli "estremisti", e tentare di usarli per dare più forza alle sue battaglie parlamentari, dal disarmo della polizia, alla prospettiva di partecipazione al governo». Ma ormai, prosegue «Lotta continua», il Pci non può più giocare sull'ambi-guità. Quando la lotta di classe cresce, si fa più dura, un suo primo risultato è di fare chiarezza, di mettere ciascuno al suo posto 4.La battaglia di Pisa (25-27 ottobre) è un grande esempio da seguire. Scrive Lotta continua «non è che l'inizio!». Le manifestazioni sono sempre più cruente. A Pisa muore un giovane colpito al torace da un candelotto lanciato dalla polizia; sulla stampa si parla di «guerriglia urbana», di commandos estremisti. A giudizio del gruppo, si è in piena campagna di repressione, il Pci e il sindacato sono accomunati al blocco d'ordine dei moderati e dei reazionarii II Pci messo alle «strette sotto la critica della masse», dopo i fatti di Pisa, da un primo saggio di quella che sarà la futuribile nuova maggioranza: «II Pci oggi non esita ad accettare lo scontro aperto con il suoi stessi militanti di base, pur di offrire alla borghesia la garanzia che la borghesia gli chiede, pur di presentarsi come partito dell'ordine, anzi, l'unico in grado di assicurare l'ordine»5.La foto in prima pagina del numero unico del 7 novembre, senza neppure leggere gli articoli, vale più di un programma politico: un celerino, elmetto in testa e candelotto lacrimogeno innestato sul fucile, è appostato dietro un angolo, sullo sfondo le barricate, sul muro un manifesto: il pugno chiuso e la scritta «La lotta continua». A Pavia, una settimana dopo Pisa, otto mandati di cattura contro altrettanti militanti di Lotta continua per un «picchetto» davanti alla fabbrica Kórting. Ancora incidenti a Milano: la polizia carica durante un corteo di protesta contro la sede Rai-Tv di corso Sempione. «Lotta continua» commenta: «come si "democratizza" l'informazione lo hanno chiaramente dimostrato gli operai dell'Alfa a Milano, quando hanno rovesciato l'auto de "II Corriere d'Informazio-ne". Al giornalista del malfamato quotidiano, non è rimasto che piagnucolare tra le braccia di un sindacalista». E rivolgendosi al Pci aggiunge: «II Pci non può più illudersi di controllare e di usare gli estremisti quando questi sono le migliala di pro-letari di Pisa, o gli operai che guidano la lotta in fabbrica, come alla Fiat»6. Alla classe operaia indica la strada della «rivoluzione culturale nelle fabbriche». Basta con le gerarchle interne alla fabbrica, occorre liberarsi della paura dei capi, manifestare — anche ricorrendo alla violenza — il disprezzo degli operai nei confronti degli impiegati e dei capireparto; «ridurre all'obbedienza» i padroni, rovesciare la loro violenza repressiva praticando una nuova violenza fondata sulla rabbia, in nome di tutte le angherie subite. Alla Bussola di Viareggio, gli studenti hanno colpito i signori e la loro sfrontata ricchezza, ora spetta agli operai colpire i padroni e i loro servi. «Alla Fiat Mirafìori i dirigenti, non ancora abituati all'obbedienza, sono stati più volte costretti a sfilare tra due file di operai inferociti. Sulle loro teste calve, imperlate di sudore e cosparse di sputi, le monetine da cinque lire tirate dagli operai si incollavano come coriandoli [...]. Chi prova a fare il furbo, viene giustamente punito» 7.Il linguaggio è aspro, la rappresentazione, volutamente stereotipata, propone, «occidentalizzandole», immagini che evocano lo sconvolgimento sociale della rivoluzione culturale cinese.Il gruppo prolunga nella fabbrica i moduli della lotta contro l'antiautoritarismo e il potere capitalistico del movimento studentesco. La soggettività rivoluzionaria è decisiva rispetto ad ogni approccio economicistico. Nella totale indifferenza al sistema produttivo e alle sue compatibilita, si estremizzano tutte le rivendicazioni, unica condizione per scardinare il «piano del capitale». La contraddizione fra «operaio-massa» e capitalismo può essere risolta solo dall' autonomia operaia come rifiuto del-1 organizzazione capitalistica del lavoro e come radicale liquidazione del sindacalismo, tradizionale strumento di normalizzazione e di contenimento di un conflitto ormai insanabile. Alla ricerca di spazi politici si sfruttano gli errori del sindacato aziendale, il logoramento delle arcaiche commissioni interne, i problemi aperti dal rinnovamento sindacale. Contemporaneamente si fa leva sulle caratteristiche del proletariato delle grandi aree urbane, sulle loro diffìcili condizioni di adattamento e di inserimento, sul loro complesso e travagliato approccio alla politica. Non imprigionato da rigidi schemi interpretativi come accade all'Uci (marxista-leninista) e, per qualche verso, allo stesso Potere operaio, il gruppo di Sofri si muove con maggiore disinvoltura nel coagulo di contraddizioni delle lotte dell'autunno. Affrontandole senza una linea precostituita non risentirà della crisi complessiva che attanaglia la gruppettistica anzi, con la sua duttilità e spaziando in eterogenei campi di analisi, finirà col giovarsene.Il 19 settembre del '69, sciopero nazionale della casa, a Milano gli scontri in via Larga: muore l'agente Annarumma 8. Nel paese cresce un cupo clima di tensione. Il telegramma del presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, di fatto anticipa la teoria degli «opposti estremismi»: «Questo odioso crimine deve ammonire tutti ed isolare, e mettere in condizioni di non nuocere, i delinquenti, il cui scopo è la distruzione della vita, e risvegliare non soltanto negli atti dello Stato e del governo, ma soprattutto nella coscienza dei cittadini, la solidarietà per coloro che difendono la legge e le comuni libertà» 8.Si incrudisce la repressione: Tolin, direttore responsabile di «Potere operaio», è arrestato per reato d opinione. A Trento il 28 novembre, in contrapposizione alle contestate manifestazioni-passeggiata dei sindacati, Lotta continua indice una «manifestazione militante» contro il carovita (alloggi, trasporti, costi sociali, ecc.): obiettivo occupare l'ospedale Santa Chiara. La polizia carica, la risposta è violenta 9.Ali'operazione «opposti estremismi» si affianca la crisi di governo, mentre Pri e Psdi lanciano un duro attacco contro il sindacato. La stampa è tutta un coro contro la confusione e il disordine. Almirante in un'intervista al giornale tedesco «Der Spiegel» ammette con tracotanza che il Msi e le sue organizzazioni giovanili si preparano alla «guerra civile». Pochi giorni dopo le tragiche bombe di piazza Fontana. L'estremismo è in difficoltà, «Potere operaio» non scrive nulla. Spetta a Lotta continua il merito di iniziare la sua campagna contro la «strage di stato». Dopo tré giorni dalle bombe di Piazza Fontana è arrestato l'anarchico Valpreda, a mezzanotte dello stesso giorno, in circostanze oscure, la morte dell'anarchico ferroviere Pinelli, i giornali parlano di «suicidio». In tutta Italia una catena di fermi e perquisizioni colpisce i militanti e le sedi dei gruppi. Contro la repressione il gruppo non ripiega su se stesso, a differenza di altre formazioni estremistiche che proprio in quelle ore maturano i primi germi della clandestinità si lancia all'offensiva, unoperazione di raccordo con ambienti giornalistici e intellettuali all'insegna dello smascheramento della «strage di stato».Cresce il nuovo squadrismo fascista, un elemento della perversa spirale della strategia della tensione, strumentalmente usato dal governo e dal blocco moderato per legittimare la teoria degli opposti estremismi e imporre nel paese uno spostamento a destra. La violenza diffusa, le risposte colpo su colpo deU'anti-fascismo «militante», le complicità di un apparato statale coinvolto in torbide manovre, sono l'inquietante scenario in cui si manifestano le prime azioni terroristiche. Le suggestioni alla clandestinità e il dibattito sulla lotta armata escono dalla loro genericità libresca.Dentro questo laboratorio di confusionarismo, fra paura del «golpe» ed elogio della violenza di massa come risposta al disegno destabilizzante conservatore, Lotta continua inizia la sua opera di contro informazione cercando di interpretare i fatti e aprendo una riflessione sullo Stato, sui rapporti di forza nella società italiana, sulla magistratura, sull esercito, sulla funzione della repressione e sulle sue dinamiche: «Le bombe di Milano [...] hanno offerto uno spaccato ricchissimo della trama di potere nella società italiana, di che istituzioni e di che uomini è fatta. Non per la scoperta dell'uso vigliacco dell'assassinio da parte della classe dominante, che non è scoperta per nessuno, ma per il modo in cui su questo episodio si sono misurate e smascherate tutte le componenti istituzionali di quella società, dal presidente della Repubblica ai partiti, dalla polizia alla magistratura, dai giornalisti al sottobosco delle spie, dei provocatori, degli agenti segreti, dei fascisti, degli aguzzini ufficiali» 10.Inizia la martellante denuncia dell'assassinio di Pinelli;senza mezzi termini il commissario Calabresi è indicato come responsabile morale del delitto. Un battagc che porterà al processo Calabresi-«Lotta continua». Nel giugno 1970 alla pubblicazione della prima edizione della controinchiesta La strage di Stato. Un vero e proprio successo editoriale e giornalistico, una campagna di opinione che agisce non solo nei confronti della «gruppettistica» o della cosiddetta nuova sinistra ma influenza aree democratiche e persino moderate. Non è difficile in quella situazione per il gruppo accrescere consensi; a ciò concorrono i ritardi interpretativi delle forze di sinistra che finiscono col far assumere ai militanti di Lotta continua il ruolo di portabandiera contro la teoria degli opposti estremismi e in particolare contro la pista «rossa». Dal 3 marzo '70 in poi vengono incriminati l'uno dopo l'altro i vari direttori del giornale Marco Bellocchio, Pio Baldelli, Marco Pannella, Pier Paolo Pasolini. Attorno al gruppo cresce la solidarietà.
2. Accelerare la «crisi» II primo convegno nazionale di Lotta continua si svolge a Torino nell'estate del '70; ci si arriva dopo aver costruito nell'inverno-primavera una ramificazione organizzativa nelle principali città italiane. In tutte le università si succedono conferenze e iniziative per illustrare le ipotesi di lavoro e aggregare attorno al gruppo esperienze di fabbrica e di movimento, raccogliere i cascami del riflusso studentesco sfruttandone le disponibilità.Un processo che nelle sue linee essenziali e per l'arco di interessi che vuole sollecitare si ricostruisce agevolmente seguendo i resoconti che appaiono settimanalmente sul giornale. Sin dal numero unico del 1° novembre si parla di «centri promotori» a Torino, Ivrea, Milano, Trento, Porto Marghera, Pavia, Genova, Bologna, La Spezia, Massa, Pisa, Piombino, Latina, Napoli n. Articoli e commenti danno il quadro delle situazioni di lotta. Si generalizza la parola d'ordine sessantottesca del-l'assemblea torinese «studenti-operai uniti nella lotta», si enfatizza la battaglia di Pisa, proponendola come esempio da ripetere per estendere la guerriglia urbana. A testimonianza dell'inte-resse verso nuovi settori d'intervento appaiono materiali sulle forze armate e sulle donne; richiamandosi alla giornata del IV novembre sul numero unico del 7 novembre viene pubblicato l'articolo La guerra dei padroni e la guerra del popolo12. I riferimenti vanno alle manifestazioni americane contro la guerra, all'opposizione dei giovani e dei negri contro la chiamata alle armi. Ricollegandosi alle lotte antimperialiste si denunciano i limiti del pacifismo per prospettare uno scardinamento attivo delle forze armate. Nei numeri seguenti appaiono le lettere dei «compagni» militari: sono la premessa per l'organizzazione dei «proletari in divisa».Proseguono le riunioni del coordinamento. Il 9 novembre a Venezia, presenti circa 500 militanti, si incontrano delegazioni di Venezia, Porto Marghera, Trento, Rovereto, Udine, Verona, Schio, Trieste, Padova, Bologna, Piacenza, Rimini, Forlì, Milano, Pavia, Bergamo, Torino, Alessandria, Genova, Savona, La Spezia, Pisa, Massa, Siena, Firenze, Piombino, Cecina, Pistola, S. Benedetto del Tronto, Napoli. A titolo personale partecipano inoltre il circolo Carlo Marx di Castrovillari (Cosenza) e il circolo Lenin operante in Puglia. Si discute dello sviluppo delle lotte a Porto Marghera, Torino, Trento, Verona, Napoli e Milano; della situazione politica generale con particolare riferimento alla firma del contratto degli edili; si valutano i risultati e le difficoltà incontrate nella distribuzione del giornale; si pone la necessità di estendere la propria presenza nel Meridione, auspicando occasioni di incontro con i compagni che vi operano per stabilire collegamenti più precisi. Sul versante della scuola le varie riunioni nazionali sono accompagnate da analoghi incontri degli studenti medi ".Con puntualità procede la tessitura organizzativa, cercando di superare i limiti di un assemblearismo dispersivo che stenta a far crescere una maggiore capacità di sintesi. La settimana dopo la riunione si svolge a Firenze. Vi partecipano militanti di Milano, Torino, Genova, Pavia, Venezia, Trento, Trieste, Bologna, Firenze, Pisa, Massa, Carrara, Piombino, La Spezia, Cecina, Siena, Arezzo, S. Benedetto del Tronto, Rovereto, Forlì, Ri-mini. Pistola, Napoli, Latina. La discussione si concentra «sul-P analisi della fase attuale delle lotte», dopo la firma del contratto degli edili e dopo l'accordo alla Pirelli; ci si interroga sul significato, l'importanza e l'uso politico della giornata di sciopero generale del 19 novembre, «su che cosa sarà il dopo contratto nell'iniziativa sindacal-padronale dei riformisti e nell'atteggia-mento e nella linea dei padroni, e su quali sono i nostri compagni attuali». In particolare si insiste sull'importanza del lavoro di organizzazione, come «necessità di collegare le avanguardie» espresse dalle lotte, come «capacità di creare dappertutto punti di riferimento politico» M.È poi la volta di Roma, il 23 novembre, con l'obiettivo di «permettere ai compagni di Roma e del Sud, che nella stragrande maggioranza non sono legati al nostro lavoro, di intervenire»;quindi estendere territorialmente l'influenza del gruppo. Il bilancio del 19 novembre a Milano è al centro della riunione:la cronaca degli scontri, le reazioni suscitate nelle scuole medie, nelle fabbriche, nelle caserme di polizia, nelle sezioni sindacali e del Pci, la mobilitazione antifascista. Seguono interventi della Pirelli e dell'Italsider di Roma, molta attenzione al problema dell'occupazione delle case da parte dei baraccati romani. Nel pomeriggio, articolando i lavori dell'assemblea, si affrontano:l'organizzazione, le lotte degli studenti medi, le lotte operaie, il giornale 15.A Trento, il 30 novembre, l'assemblea è molto affollata:«Lotta continua» scrive con soddisfazione che vi partecipano oltre 1.000 persone. La riunione si apre con un resoconto del coordinamento delle Tré Venezie. Poi la relazione dei gruppi della Fiat Mirafiori sulle lotte di Torino, la relazione di Milano sulla ripresa della lotta alla Pirelli, e ancora di Napoli e di Venezia. L Assemblea si divide in cinque commissioni:lotte operaie, studenti medi, studenti universitari, organizzazione e giornale 16.A Genova, il 7 dicembre, ancora alla ricerca di una linea unificante, si insiste sulla puntualità dell'intervento politico. L'attenzione è concentrata sulla chiusura dei contratti; si fa un bilancio delle assemblee indette per la piattaforma Intersind, si verifica il lavoro a Milano e a Torino, si parla della ripresa della lotta alla Pirelli e dello sciopero a oltranza delle carrozzerie della Fiat. A Genova i rappresentanti (circa 200) delle varie sedi discutono del giornale; un'insistenza comprensibile tenendo conto del ruolo di coordinamento politico che gli si attribuisce. Si vuole conoscere la reazione che il giornale provoca nelle situazioni d'intervento, quale uso se ne fa come strumento di discussione tra i «quadri». L'analisi delle classi; l'analisi del sindacato e del Pci, della politica governativa; la valutazione del movimento studentesco; e infine l'informazione e il commento delle lotte operaie, sono i terreni su cui occorre ulteriormente definire i giudizi e le convergenze di analisi 17. Gli appuntamenti settimanali proseguono, occasioni per consolidare la presenza del gruppo e per affermarla dove è ancora inesistente. Si va oltre la fabbrica, si aprono nuovi fronti d'intervento: i militari, le donne, il Meridione. La «rivolta» di Reggio rappresenterà con tutte le sue ombre un momento cruciale di questa ricerca di rapporto col Sud.AlTindomani delle elezioni regionali iniziano quelli che Pino Ferraris chiamerà i «cento giorni» di Reggio 18. Lotta continua, incurante delle strumentalizzazioni fasciste e del qualunquismo che orbita attorno alla questione del capoluogo regionale, si getta a capofitto in quella che considera tout court una «spontanea rivolta popolare».Estensore del documento introduttivo, Situazione politica e nostri compiti al convegno nazionale di Torino (25-26 luglio 1970) è Adriano Sofri, ormai leader riconosciuto del gruppo 19. Alla relazione si aggiungono comunicazioni su vari argomenti specifici, «appunti sulla discussione sulla situazione internazionale», «lotta di fabbrica e intervento sociale», «la donna, la famiglia, la rivoluzione», «l'opposizione nellesercito», «gli studenti medi inferiori», «documento sul Mezzogiorno»18. L'analisi del capitalismo italiano è il punto centrale della relazione. Secondo Sofri, ci si trova di fronte a un rapido processo di «concentrazione del potere economico», teso a realizzare un nuovo livello d'integrazione «fra industria privata e pubblica» con un progressivo svuotamento del ruolo delle vecchie rappresentanze del potere capitalistico quali la Confindustria. Ne derivano gli obiettivi del «capitalismo imperialista italiano»: sul piano interno esso punta «ad una crescita controllata dei consumi produttivi», mentre sul piano internazionale vuole determinare una «maggiore elasticità» nei confronti della dipendenza dagli Stati Uniti per conquistare nuovi mercati e realizzare una «penetrazione impcrialistica in Medio Oriente e in Africa».L'apertura al Pci, l'alleanza coi sindacati e la disponibilità al riformismo, sono dunque del tutto funzionali a questi disegni, anche se si tratta di una prospettiva ancora non assunta con «coscienza e decisione per le contraddizioni stesse del capitalismo e i suoi legami con lo Stato» e per la controffensiva della destra economica più oltranzista. Occorre smascherare definitivamente agli occhi delle masse «il ruolo controrivoluzionario» del Pci, «strumento essenziale per ricondurre la lotta anticapitalistica nelle regole del gioco democratico-borghese della conservazione del sistema»; e del sindacato «strumento per imprigionare le lotte di classe dentro le regole dello sviluppo economico capitalistico». Compito dell'autonomia operaia la radicalizzazio-ne della lotta e l'estremizzazione di ogni rivendicazione. Non importa se già nella formulazione si è consapevoli della irrag-giungibilità, anzi è proprio questa la condizione essenziale per far saltare il progetto collaborazionista.La conferma di questa possibilità si è avuta nelle lotte del-l'autunno, punto di «massima generalizzazione» della riscossa operaia avviata all'inizio degli anni sessanta. La loro carica eversiva non è stata una semplice «ondata rivendicativa magari massiccia» ma ha travolto e distrutto il piano capitalistico teso a rimuovere la contraddizione più «esplosiva su cui la lotta di massa faceva leva» e quindi fiaccare l'iniziativa operaia per espandere il suo potere su tutta la società. «Non bloccare la lotta, ma servirsene per rafforzarsi. Questo il progetto, e l'autunno del '69, dei contratti doveva verificarne il successo». A questo scopo serviva al capitalismo, e servirà per il futuro, «ridare fiato all'opposizione delle forze di sinistra e ai sindacati» per farli diventare cardine di un'ulteriore «razionalizzazione dell'apparato produttivo» e utilizzarli per la trasformazione dello stesso apparato burocratico statale. «Di fronte al risveglio operaio e ai suoi nuovi contenuti, era impossibile praticare il vecchio metodo delle decisioni amministrative, della manipolazione padronale repressiva o paternalista, e diventava necessario appellarsi al ruolo insostituibile e "dinamico" dei sindacati, ali'ideologia della partecipazione, affrontandone, anche a nome del loro reddito a medio termine, alcuni costi immediati un'azione rivendicativa più vivace dei sindacati, qualche concezione economica, lo statuto dei lavoratori e così avanti» 21. Questo perverso piano di integrazione è stato sconfìtto dalle lotte operaie dell'autunno, i rinnovi contrattuali non sono stati uno «sfogo» della classe operaia al quale sarebbe dovuta seguire la «normalità»; al contrario essi hanno rappresentato un grande «momento di generalizzazione» dei contenuti e delle forme di lotta proposte dalle avanguardie rivoluzionarie. La forza del movimento, con il suo carattere spontaneo di rivolta, con la dirompente rottura della gabbia revisionista, come disperata risposta alla sconfìtta, ha costretto alla reazione: «la firma dei contratti, a pochi giorni di distanza, è stata suggellata dalle bombe di piazza Fontana. Scadente premessa, per il ripristino della pace sociale». Non ci può essere tregua dopo le lotte dell'autunno. L autonomia operaia non è stata fiaccata, occorre partire da questo dato, esaltarlo costruendo nuove occasioni per forzare il sistema, opporsi con forza ad ogni piano di stabilizzazione.Adriano Sofri nella sua relazione introduttiva al convegno di Torino si sofferma a lungo sulla nozione di «autonomia operaia». Contro genericità che non aiutano alla chiarezza, essa «non è un mito astratto» ma viene identificata «con il processo attraverso cui cresce la coscienza degli sfruttati di essere una classe, la classe protagonista della vita sociale». Nell' acquisizione di questa consapevolezza ci si libera dalla propria condizione di sfruttati, di «operai massa», determinando così le condizioni per l'insubordinazione alle regole imposte dallo stato dei padroni e delle classi dominanti. Per questo suo carattere antagonista «!' autonomia di classe» non coincide con «la lotta di classe», «legge permanente e indeclinabile della storia umana» fino «alla vittoria del comunismo». «La lotta di classe è anzi la molla decisiva dello sviluppo di ogni sistema sociale. L interesse della classe dominante è costantemente quello di far funzionare questa molla nel senso della estensione e del rafforzamento del proprio potere. Autonomia operaia si ha allora quando la lotta di classe cessa di funzionare da motore dello sviluppo capitalistico». Le vecchie dinamiche della lotta di classe, infatti, sono ormai fisiologicamente assunte dal piano del capitale; spetta ali' autonomia operaia introdurre la sua variabile eversiva all'interno della pianificazione dei conflitti. Da ciò i contenuti essenziali dell'autonomia: il rifiuto del lavoro salariale e lo smascheramento delle false organizzazioni operaie. Il rifiuto del lavoro è la radicale ed esplicita messa in discussione dei rapporti produttivi; è la protesta ribellistica portata al cuore della fabbrica e delle leggi che la governano; è «l'estraneità operaia» che si fa programma di lotta: «... danneggiare la produzione, abolire gli incentivi materiali tesi a corresponsabilizzare gli operai all'incremento produttivo, rifiutare le divisioni economiche e normative, e rifiutare i tempi di lavoro e le condizioni ambientali nocive, gli orari e i turni ecc...». Solo esprimendo questa forza, la lotta di classe non si fa piegare dalle leggi dello sviluppo capitalistico, anzi diventa un' «ostacolo insormontabile» al meccanismo di accumulazione rendendolo incapace di programmare e costretto unicamente a contrastare l'offensiva dirompente e distruttiva del-l'autonomia.Sopravvalutata la forza capitalistica, l'ossessione dell'ingab-biamento coincide con la negazione di ogni possibilità di trasformazione, le uniche vie d'uscita sono la rottura delle regole del gioco, e l'impazzimento delle compatibilita: «la produzione è affare dei padroni, la crisi della produzione è un obiettivo politico degli operai». Sindacati e partiti operai tradizionali vanno colpiti, erosi al loro interno, smascherati. Essi sono ostacoli che si frappongono al dispiegamento dell'autonomia operaia e al suo porsi come nuovo orizzonte della rivoluzione. Le lotte operaie con la loro violenza antistituzionale, hanno svelato il ruolo controrivoluzionario del revisionismo; con il loro impetuoso sviluppo hanno evidenziato la discriminante fra chi, come il Partito comunista, si assume la responsabilità dello sviluppo produttivo e chi, come «le avanguardie autonome» lottano per rendere «permanente» e «irrimediabile» la crisi produttiva del capitale. Nella capacità di incunearsi nelle regole capitalistiche fino a spezzarle si misura il carattere rivoluzionario delle singole lotte e la loro potenziale generalizzazione. Contestando ogni sterile disputa avanguardia esterna-interna, non vi è separatezza fra oggettività e soggettività rivoluzionaria, anzi proprio in questo intreccio matura l'acquisizione della prospettiva per il comunismo: «Che cosa rende rivoluzionaria la lotta proletaria? La sua capacità di danneggiare fino a minarle le radici economiche del sistema, di far saltare lo sviluppo economico capitalistico oppure la presa di coscienza che essa stimola nelle masse della necessità di rovesciare il potere capitalista e di instaurare il comunismo? Posta in questi termini l'alternativa è sbagliata. Isolare un presunto fatto oggettivo — il danno economico inflitto dalle lotte — e un presunto fatto soggettivo — la crescita della coscienza comunista — si può fare solo ignorando la realtà della lotta di classe».Obiettivo della lotta rivoluzionaria è dunque la crisi. Essa deve essere contemporaneamente politica ed economica. Irreversibile messa in discussione delle leggi della produttività e della disciplina politica fondata sulla «diseguaglianza» e sul «dominio», inequivoca accelerazione di quel disfacimento capitalistico che in Italia è ormai giunto alla fase della «distruzione progressiva, nelle sue mani, di tutte le armi attraverso cui il proletariato è stato piegato allo sfruttamento e alla subordinazione». La lotta operaia, prosegue Sofri, non è più riducibile alle regole del gioco democratico come vorrebbero padroni e revisionisti. Nelle fabbriche «quei teppisti», come li chiamano lor signori, non sono unilaterali non si preoccupano della «produzione in sé» o della «coscienza in sé». La loro esperienza quotidiana li ha resi dialettici. Ecco perché non rinunciano a bloccare la produzione, e a bloccarla nel modo più sicuro: «con l'azione della stragrande maggioranza degli operai».Questa visione della crisi e della dinamica interna allo scontro di classe, enfatizzando al massimo le logiche del gran «rifiuto», consente al gruppo di non rimanere imprigionato nella travagliata e incerta riflessione autocritica che investe il grup-pismo dopo le lotte dell'autunno. Per Lotta continua non vi è alcun dubbio londa montante del movimento è destinata a crescere: «E difficile riabituare la classe operaia alla normalità capitalistica una volta che si è abituata alla lotta autonoma». La possibilità di un impegno «responsabile» della classe operaia a collaborare alla ripresa produttiva, a lavorare di più, ad accettare orari massacranti, e farsi strizzare dai tempi di lavorazione, fa ridere chiunque abbia idea della tensione esplosiva che caratterizza le grandi fabbriche italiane: «In questa situazione, le incertezze padronali somigliano alle speranze di chi voglia vuotare il mare col secchiello».La crisi è irreversibile e contro ogni volontà dei padroni è destinata ad aggravarsi ulteriormente, una crisi imposta ai padroni dalla lotta operaia. Nel vano tentativo di fronteggiarla avanza nelle forze dominanti il disegno di un governo forte: «II grande capitale ha dovuto gettare la sua maschera "democratica", e ripararsi dietro le forze politiche più reazionarie, da Pantani ai terroristi-provocatori del Psu. Un governo d'ordine appare la prospettiva più probabile rispetto alle esigenze dei grandi capitalisti, sia per coprire la repressione che essi vogliono attuare rispetto all'avanguardia rivoluzionaria — militanti operai, soprattutto licenziati e denunciati, e militanti esterni — sia per condizionare fino in fondo i sindacati aprendo la discussione sulla regolamentazione giuridica del diritto di sciopero, sia, soprattutto, per rispondere efficacemente alla tensione sociale che l'aumento della disoccupazione o la svalutazione della lira o provvedimenti analoghi di riduzione del potere d'acquisto delle masse produrrebbero». Questo, tuttavia, non significa che le «riforme siano definitivamente affossate», esse continuano a corrispondere ad alcune esigenze di fondo del grande capitale e «la loro attuazione, gestita da un governo "forte", con i sindacati apertamente ricattati, potrà rispettare fino in fondo gli interessi del capitale nei contenuti e nei tempi e verniciare demago-gicamente di paternalismo sociale la svolta autoritaria». Nel ragionamento di Adriano Sofri, confermano questa duplice tendenza: la crisi di governo del luglio '70, la revoca dello sciopero generale previsto per il 7 luglio, le «spudorate» prese di posizione produttivistiche di Berlinguer e Amendola.
3. Socializzare lo scontro Contro ogni stabilizzazione l'iniziativa di Lotta continua si muove in vari campi: nell'università, in polemica con le tesi «concilianti» del Movimento studentesco di Mario Capanna; nei confronti dell'opinione pubblica e contro la repressione attraverso le martellanti campagne sulla Strage di Stato e sul fascismo; nelle caserme con l'iniziativa dei proletari in divisa. In tutte le situazioni deve vivere la consapevolezza che bisogna «aggravare la crisi del capitalismo, sferrare un'offensiva ancora più massiccia, contro il movimento operaio revisionista, estendere la dimensione nazionale dell'intervento». Occorre estendere i fronti di lotta, socializzare lo scontro, aprire contraddizioni insanabili e profonde, avanzare proposte che nella loro ingovernabilità spazzino via le ipotesi del governo d'ordine e tutte le illusioni di ricondurre la combattività operaia all'interno del sistema produttivo operando magari qualche semplice raziona-lizzazione.In previsione delle prossime scadenze contrattuali Lotta continua guarda alle grandi fabbriche: il cuore di nuove occasioni di lotta e di conflitto sociale. Non si tratta di costruire piattaforme rivendicative. Esse sarebbero limitative, finirebbero con l'essere riassorbite, piuttosto si deve precisare un programma di obiettivi fondato sulla riduzione dell orario; sulla lotta alle categorie e alle paghe di posto, sull'abolizione degli incentivi; per aumenti salariali uguali sulla paga base; sulla riduzione della fatica, sull'insubordinazione alla disciplina e alle gerarchle di fabbrica.Alla ripresa dell'autunno si deve continuare la lotta ed estenderla, determinare nuovi livelli di partecipazione e di consensi, ampliandola dalla fabbrica al sociale. Giudicato ancora insufficiente il collegamento realizzato fra lotte operaie e lotte sociali, il tema della «socializzazione delle lotte» ha ampio spazio nel dibattito del convegno torinese; ne deriva l'insistenza sul coinvolgimento dei tecnici, degli impiegati, degli studenti e dei disoccupati. In particolare si deve spezzare il controllo capitalistico su categorie impiegatizie e operai tecnici; la «proletarizzazione» di questi settori anche se «appena velata di residui dell'ideologia borghese» di fatto è già stata realizzata. Condizioni soggettive quali l'alienazione e la frustrazione rendono possibile paragonare, «salvo la maggior integrazione nel lavoro», im- piegati e tecnici alla massa studentesca prima della esplosione della lotta nella scuola. «Rovesciare nel breve periodo la coscienza politica della massa degli impiegati è indispensabile: ma riuscire ad aprire delle brecce nel loro conformismo, riuscire a con-durne una avanguardia sul terreno della lotta di classe autonoma avrebbe un grosso valore politico». La fluidità ideologica, il massimalismo mescolati al qualunquismo ribellistico hanno presa in settori non sperimentati alla lotta sindacale e politica. Parole d'ordine aggressive che evocano rapidi successi rivoluzio-nari, non richiedono sforzi interpretativi e sono indifferenti ai rapporti di forza, anzi sollecitano l'interesse individuale, il corporativismo del micro comportamento sociale.Elemento non secondario dell'intervento di Lotta continua è il tema della disoccupazione. Il conflitto occupati-disoccupati è la rappresentazione concreta e drammatica di un' irrisolvibile contraddizione interna allo sviluppo capitalistico. A Torino, Adriano Sofri indica le ragioni che rendono fondamentale questo terreno d'intervento: «la prima, ovvia, è che la contrapposizione tra occupati e disoccupati è l'arma maggiore che i capitalisti hanno contro lo sviluppo della lotta di classe. La seconda è che la questione della disoccupazione è quella su cui più esemplarmente si manifesta la natura di questa società, la distruzione, lo spreco, la degradazione di risorse e di energie di cui si nutre. Ai disoccupati ufficiali si uniscono i sottoccupati — tra questi l'enorme massa dei lavoratori dell'edilizia — le donne proletarie condannate alla più squallida e dura esistenza, i giovani che riempiono le aule scolastiche perché non c'è posto per lavoro altrove». La lotta contro l'emarginazione della disoccupazione non può essere condotta nell'ambito dei rapporti di produzione capitalistici, e modifica radicalmente, liquidando le teorie revisionistiche «della difesa dello sviluppo produttivo», la richiesta di «più posti di lavoro in nome dello sviluppo economico».Emarginazione, disoccupazione, sfruttamento, sono un prodotto delle contraddizioni capitalistiche e funzionali ai piani dello stato borghese, ma non essendo risolvibili nell'ambito di alcuna proposta organica e razionalizzatrice, possono accrescere la consapevolezza rivoluzionaria e allargare la sfera del «rifiuto», facendo esplodere la rabbia e la violenza di massa. «Rifiuto del lavoro» e «salario per i disoccupati» con la loro forza dirompente e disgregante, sono le parole d'ordine attorno alle quali si debbono unificare le battaglie degli operai e quelle dei disoccupati. La sottoccupazione è il terreno privilegiato dell'«organizzazione proletaria», condizione per il suo prolungamento nel sociale: lotta proletaria contro la scuola, contro gli affitti, contro il carovita.Con la rivolta di Reggio, il Meridione si ripropone ali estremismo nostrano come un fertile laboratorio dell eversione. L' in-terpretazione che ne da Lotta continua è la coerente conseguenza delle tentazioni sovversive che attanagliano il gruppo, effetto dell'ormai consumata rottura con la tradizione del movimento operaio e la sua cultura della democrazia. Al tempo stesso, proprio in occasione della rivolta di Reggio si manifestano, offrendo così un terreno inesplorato e denso di rischi, i limiti della stessa cultura politica della sinistra sulle forme inedite che stanno assumendo i conflitti sociali e di come reversione, di destra e di sinistra, cerchi di darsi nuove basi sconfinando dai suoi storici steccati e facendo saltare i vecchi stereotipi ideologici. Scrive «Lotta continua»: «La rivolta di Reggio si esprime in un così gran groviglio di contraddizioni, che bisogna guardarsi da ogni facile schematizzazione. Essa costituisce proprio per questo un'occasione fondamentale di chiarimento della nostra linea sul terreno stesso dei principi generali che la qualificano» 22. Gli aspetti localistico-qualunquistici presenti nello scontro, così come le strumentalizzazioni neo-fasciste, una categoria liquidata come un residuo del costituzionalismo resistenziale, sono del tutto secondari; quello che preme rimarcare è il dispiegarsi spontaneo del movimento, il suo carattere immediatamente eversivo e anticostituzionale. Attraverso questo dichiarato e praticato sovversivismo passano i rischi cui è esposta Lotta continua, con l'esasperato elogio e la pratica del micro-comportamento conflittuale, con la fenomenologia della gestualità rivoluzionaria, con la violenza di massa come esempi da generalizzare. A Reggio, il rifiuto di schierarsi con i partiti democratici è prima di tutto una scelta ideologica. Non vengono prima i partiti, tutti messi nello stesso mucchio, e poi le masse; i partiti sono stati motivo e strumento della loro divisione, si deve partire solo dal carattere della protesta. Per questo è importante essere dentro il flusso del movimento, acquisirne gli aspetti violen-temente antagonisti al sistema. La «rivolta di Reggio» dunque non è ne «parto esclusivo dell'agitazione fascista e maliosa» ne «la riedizione di un moto meramente campanilistico di «plebi» alla mercé di qualunque pastore. Invece: «noi abbiamo detto che alla radice della rivolta popolare a Reggio e'era il rifiuto, ormai incontrollabile, della miseria, dell'oppressione e della degradazione che lo sviluppo capitalistico ha imposto al proletariato meridionale in genere e a quello reggino e calabrese con particolare acutezza e brutalità. E abbiamo anche detto che questa rivolta era giusta e importante, che era il passo necessario e preliminare perché il proletariato di Reggio acquistasse fiducia nella propria forza, superasse la propria disgregazione, imparasse a distinguere i propri nemici dai propri amici». La lotta di classe non si può ridurre «dentro gli schemi idilliaci di una bella commedia in cui ciascuno recita le battute che il copione gli assegna, e tutto va come il regista ha stabilito»; contro ogni «opportunismo» o astratto «legalitarismo» occorre «essere dalla parte delle masse in lotta». A Reggio «condizione indispensabile» per acquistare diritto di parola all'interno della ribellione di massa significa accettare e scatenare la «violenza proletaria»; ed essere dentro la lotta delle masse significa esserne l'«espressione più cosciente, e non i noiosi e inutili precettori». Ma subito «Lotta continua» precisa: «ma se questo è vero e decisivo, è vero anche che la funzione dell'avanguardia non ne è sminuita o mortificata, che la fiducia nelle masse niente ha a che vedere con l'omag-gio codista e passivo ai movimenti attraverso cui le masse esprimono le loro ribellioni. I compagni che si schierano dalla parte della lotta di Reggio, perché ne individuano giustamente la potenzialità rivoluzionaria, ma si limitano ad aspettare che la lotta di massa faccia giustizia di tutto ciò che oggi la devia, la ostacola, la inquina, abdicano al loro compito: il loro ottimismo è infantile, la loro concezione del processo rivoluzionario è spontaneista, la loro consapevolezza della forza del nemico di classe è scarsa ed erronea».La rivolta di Reggio col suo svolgimento, con la scesa in campo delle masse sottoproletarie del Sud, è la conferma della incapacità del Pci di «interpretare» la rabbia proletaria. Afferma Sofri a Torino: «Ma la cosa più significativa nei fatti di Reggio è il rapporto che si è stabilito fra la rivolta e il Pci, di estraneità assoluta quando non di uso diretto, da parte della destra locale, della rivolta stessa contro il Pci. Si è ripetuto a Reggio, più pienamente, quello che era già avvenuto a Battipaglia». Una protesta «violentemente spontanea», indifferente alle forze politiche, preoccupata solo del proprio svilupparsi, incurante tanto della strumentalizzazione fascista che dei notabili locali della De. «Il Pci si copre di ridicolo facendo passare per fascista tutta una popolazione che si batte per mesi con le armi in pugno. Ma la nostra risposta non è che i fascisti non ci sono o che i proleta-ri reggini possiedono una piena coscienza ed autonomia di classe nella loro lotta. La lotta di Reggio è una manifestazione imponente della lotta di classe in una società di capitalismo avanzato. Essa impone uno scontro politico che tagli le gambe al controllo che la borghesia esercita sul suo sviluppo e ne faccia una tappa fondamentale nella crescita del processo rivoluzionario». Proseguendo nell' enfasi della rivolta, afferma: «II processo rivoluzionario è ormai aperto, abbiamo saputo liberarci del primo e più forte strumento di cui la borghesia dispone nei nostri confronti il movimento operaio controrivoluzionario, i sindacati e il Pci-Psiup».La lotta di Reggio accredita e conferma la linea dell'illegali-tà contro lo Stato lanciata da Sofri a Torino e lungo la quale si va sviluppando la pratica dell'intervento del gruppo. Sono gli anni della mobilitazione democratica contro il rigurgito fascista, la penetrazione occulta negli apparati dello Stato, le torbide manovre eversive che arrivano ai complotti della Rosa dei venti e al tentato «golpe» Borghese. Contro quest' offensiva si muove l'iniziativa del Pci e del movimento sindacale, liquidata da Lotta continua come una farsa retorica rispolverata dalle antiquate tesi dell'unità antifascista e che sfugge consapevolmente al vero nodo politico: il fascismo del cosiddetto stato democratico.Per Lotta continua non ci sono sfumature di analisi; esistono solo il capitalismo coi suoi piani, il disegno repressivo e una sinistra tradizionale funzionale ad esso; dall'altra parte esistono la rabbia, la protesta antideologica, costruita sui bisogni, immediatamente eversivi. La nozione del fascismo si dilata, comprende tutto e tutti: lo Stato, la falsa democrazia, la democrazia cristiana, l'apparato statale. Si succedono le manifestazioni autodifese, lo stile militare, la logica della risposta «colpo su colpo» contro l'ondata di squadrismo fascista. La De, ha buon gioco con la sua strumentale teoria degli opposti estremismi. Dai servizi d'ordine, dalla pratica di autodifesa, dalla guerriglia urbana, la storia individuale e collettiva che per tanti militanti significherà invaghirsi del mito della lotta armata come inevitabile approdo di un attivismo barricadero che mette al primo posto un'astratta idea di rivoluzione invece della politica.In questo clima non è casuale che proprio sull'analisi della repressione e della svolta a destra il foglio «Sinistra proletaria», nella fase di passaggio dal Collettivo metropolitano alle Brigate Rosse, apra la sua polemica con Lotta continua. La critica, secondo uno stereotipo del gruppismo, è ancora una volta di anarco-sindacalismo. Ma non ci si limita a questo, si pone direttamente la questione della lotta armata. Quello che si vuole sollecitare è la coerenza fra verbalismo rivoluzionario e fatti. L'e-sempio scelto è illuminante: «bene, i Fedayn sparano, noi limitiamo la produzione, così poi arriverà anche il nostro turno di sparare»; questo, secondo Sinistra proletaria è l'«idealismo puro» 23 di Lotta continua. Divisi sul piano delle analisi e delle linee organizzative, fra i due gruppi si stabilisce una osmotica consonanza sulla parola d'ordine «Prendiamoci la città». Con questo slogan Lotta continua lancia il suo secondo convegno nazionale: «Noi abbiamo un programma. E innanzitutto quello dell'unificazione di tutto il proletariato, della lotta armata contro lo stato borghese, dell'abolizione delle classi».
4. Prendiamoci la città
Nella sua generalizzazione «prendiamoci la città» per Lotta continua rappresenta lo sbocco politico delle lotte operaie autonome, delle lotte studentesche e nei quartieri che avevano contrassegnato gli ultimi due anni24.«Sinistra proletaria», nel numero zero del luglio '70, si era chiesta «Chiedere o prendere?». La risposta era secca e inesorabile: «Prendere! [...] contro il regime non sta chi chiede ma chi prende! — prende la casa — prende i trasporti — prende i libri [...]. In una parola si prende ciò che è suo, si prende la città» w. A Bologna, Adriano Sofri precisa ulteriormente: non si tratta di un invito al saccheggio e all'insurrezione, «è invece un programma strategico di formazione e di consolidamento di avanguardie proletarie all'interno di un processo rivoluzionario di lunga durata». Confermando nelle linee generali l'analisi di Torino, la classe dirigente non è più disposta a concedere nulla e si attrezza alla svolta a destra. L'iniziativa dell'autonomia, per contrastarla deve estendersi a «tutto l'arco dei problemi sociali»:la scuola, la casa, i prezzi, i rapporti tra i sessi, il problema della salute, l'amministrazione della giustizia. «Prendiamoci la città» dunque significa intervenire in tutti i campi, portare ovunque la forza della rivoluzione, socializzare lo scontro.Nel suo articolo Proletari senza comunismo, apparso su «Giovane critica» (n. 28, 1972), Luciano della Mea considera la parola d'ordine un tentativo di superare sia le «ipotesi insurrezionali» del maggio francese, sia le teorie maoiste della «guerra di popolo». «Ma che cosa significa, in pratica "prendersi la città"? Significa partire dai bisogni che si sono manifestati in masse proletarie, con la coscienza che tali bisogni non potranno essere mai soddisfatti come si deve dal sistema nel quale viviamo».Levi e Manconi nell'articolo Ripresa della lotta studentesca a Milano - da viale Tibaldi a città Studi, apparso su «Quaderni piacentini», esemplificano il significato politico dello slogan:riappropriarsi violentemente della realtà, occupare col vitalismo del movimento e l'aggressività di parole d'ordine irragiungibili la metropoli, legarsi al sovversivismo ancora inespresso, al rifiuto del capitalismo organizzandolo nella lotta, imporre i nuovi bisogni «proletari» sul vecchio tessuto della stantia e logora democrazia. «Il "prendersi la città" comporta una successione di atti "violenti" per il padrone, di giustizia reale per il proletariato. Il fatto importante è che si occupano delle case di cui si ha bisogno e ci si rifiuta di pagare l'affitto; se si usano allo stesso modo trasporti e supermercati affermando, quando e'è n'è il bisogno, nient'altro che il diritto alla vita, non solo si compie un atto di giustizia antiriformistica, nei confronti del sistema, ma anche e forse soprattutto un atto di violenza contro se stessi, contro le vecchie abitudini mentali, legalitarie, ed è precisamente questo atto di violenza la base necessaria per la nascita e la crescita di quel dualismo di potere, tutto esterno al sistema e alle sue istituzioni, da cui dipende l'esito della rivoluzione. La stessa cosa, volendo esemplificare di più, avviene nelle fabbriche, nelle scuole, negli uffici, dovunque»26. E ancora:«"Prendersi la città" consiste, dunque, in tutta una serie di azioni giuste nei confronti dei padroni, e violente nei confronti della mentalità tradizionale, che, per essere valide, non possono ne debbono essere l'impresa avanguardistica di un gruppo staccato dalle masse o che le masse vorrebbe guidare secondo le proprie astratte intenzioni, ma un'azione di massa che forma e cresce nell'azione stessa la propria avanguardia o riconosce quella che, da esterna che era, ha avuto la capacità di diventare interna. "Prendersi la città" non significa, come qualcuno ha voluto dare ad intendere, la conquista e la difesa armata dei territori» 27.In sintonia con la riflessione che avanza in Potere operaio per Lotta continua l'autonomia operaia dalle grandi fabbriche si sviluppa in tutta la società. «Prendiamoci la città» è l'estensione dell'illegalità di massa, è l'invito alla violenza contro la normalizzazione degli equilibri politici, contro i disegni capitalistici e il progetto di collaborazione sociale dei revisionisti; è lo snodo decisivo di un «processo rivoluzionario di lunga durata». Obiettivi: l'autoriduzione degli affitti, delle bollette della luce o del telefono, la lotta per l'ambiente; la difesa del tempo libero e il rifiuto degli straordinari; la gratuità del trasporto pubblico;la battaglia contro il carovita e quindi aumenti salariali e salario garantito per tutti. Un inventario di possibili lotte, in cui si ritrovano le originarie caratteristiche del gruppo, nonché i nuovi adattamenti, il confronto-scontro con Potere operaio, la prefigurazione dell'Autonomia organizzata.Il pericolo di concepire il combattivo slogan come un programma «immediatamente insurrezionale per la conquista, anche militare, della città, già avvertito da Luciano Della Mea, prenderà il sopravvento nella pratica di Lotta continua determinando le sue scelte nel comitato nazionale contro la strage di Stato e i presupposti di quella che, al III convegno nazionale, sarà definita la necessità di «preparare il movimento ad uno scontro generalizzato» contro lo Stato da cui deriva «l'esercizio della violenza rivoluzionaria di massa e di avanguardia» 28.A Bologna, non tanto nel dibattito ufficiale — costruito come una formale platea per interventi di delegati «proletari» a dimostrazione dei collegamenti del gruppo — quanto nelle riunioni che lo precedono e nelle discussioni che accompagnano le sue conclusioni si confrontano le diverse concezioni che convivono nel gruppo. Gli operaisti della tradizione dei «Quaderni rossi» e di Potere operaio, privilegiano l'intervento nelle fabbriche e, pur non rifiutando la necessità di una presenza nel Mezzogiorno, respingono fermamente l'ipotesi, portata avanti dai militanti delle organizzazioni meridionali, di una ormai compiuta integrazione della classe operaia a cui contrappongono lo spontaneismo della lotta sociale delle popolazioni del Sud.Non sanano i contrasti i tentativi di partitizzazione del gruppo, una forzatura che risulta in quella fase del tutto sovrapposta alla natura fluida dell'oiganizzazione e che solo dopo l'erosione autonomista del '72-'73, troverà una sua temporanea quanto effimera sistematizzazione. Per Lotta continua la giornata del 12 dicembre '71 spazza via l'equivocità del fantasma ancora presente di una presunta «sinistra di classe» e delle false concezioni antisettarie, aspetti di un opportunismo duro a morire. In quella occasione, si legge nel documento preparatorio per la III conferenza, si è verificato come «le etichette della sinistra extra-parlamentare» altro non siano diventate che emblemi «di un' insurrezione» e solo «uno sviluppo ulteriore sul terreno del-l'illegalità armata contro lo stato borghese» farà giustizia del confusionarismo e restituerà valore alla formula di «sinistra rivoluzionaria». Solo su questo terreno è possibile un confronto con gli altri gruppi. Come nello slogan «Prendiamoci la città», nel linguaggio e nelle esemplificazioni agitatorie si evocano pratiche di giustizia proletaria presentate come esercizio di un cupo e violento potere proletario. «Dopo ogni azione, corteo, blocco merci, blocco del grattacielo» scrive «Lotta continua» commentando le lotte contrattuali alla Pirelli «ogni reparto si trasforma in un tribunale proletario: quelli che pur potendo non hanno partecipato vengono fatti uscire dalla fabbrica [...]. Non si tratta solo di difesa dell'unità, gli operai imparano ad esercitare il potere e ci prendono gusto» 29. Avevano scritto, sempre sulle lotte della Pirelli, i militanti di Sinistra proletaria: «Inutile spendere troppe parole; meglio dire subito che chi interviene o si adopera contro la lotta e gli interessi dei lavoratori è un nostro nemico e come tale va colpito!» 30.Proprio alla Pirelli prendono corpo le prime azioni delle Br: il 27 novembre '70 l'incendio della macchina del capo dei servizi di vigilanza Ermanno Pellegrini; 1'8 dicembre di quella di Enrico Loriga, capo del personale; e infine il 25 gennaio '71 le 8 bombe alla pista di Lainate. Lotta continua prende le distanze «noi crediamo che azioni del genere [...] siano sbagliate [...]» ma non elude la questione della lotta armata: «l'organizza-zione militare delle masse non si costruisce perché alcuni gruppi cominciano ad attuare azioni militari [...]. Si costituisce a partire dalla realizzazione di organismi politici di massa stabili e autonomi» 31. La lotta armata viene assunta, dunque, come tema ineludibile per le organizzazioni rivoluzionarie, il problema è il dibattito sui modi e sulle forme.Nelle piazze Lotta continua si scontra con la polizia. Dietro la parola d'ordine dell'antifascismo militante prosegue un continuo stillicidio di atti di violenza. Sul giornale non si perde occasione per documentare l'azione del neosquadrismo e per enfatizzare la lotta dei propri militanti e la dura repressione cui sono sottoposti32. Nella sua rincorsa sovversiva Lotta continua sembra anticipare le altre formazioni dell'estremismo. Lo slogan è «irlandizzazione» delle lotte. Iniziano le attenzioni critiche ai Gap. L'interesse si accompagna alle osservazioni polemiche. Per comprendere la natura della disputa è interessante soffermarsi su un tema ricorrente nella pubblicistica delTestre-mismo: «le basi rosse». Scrive «Lotta continua» nel giugno '71 :«La costruzione di "basi rosse" cioè di un retroterra politico organizzativo a partire dal quale si sviluppi la lotta armata, è indispensabile per chi vede la rivoluzione come guerra di popolo, come processo di lunga durata e non come sollevazione insurrezionale». E prosegue: «questa retrovia della lotta armata non può più essere l'Autonomia operaia come si è andata sviluppando...» 33. E troppo poco perché i proletari sentano il bisogno di impugnare le armi per difenderla, è troppo precaria per resistere a tutti gli attacchi che il padrone le sferra contro, è troppo limitata rispetto alle forze proletarie che la rivoluzione dovrà mobilitare per vincere. Di «basi rosse» in quello stesso periodo parlano con accenti diversi Potere operaio, i Gap e le Br. Quello che sembra essere la preoccupazione prevalente di Lotta continua e dello stesso Potere operaio è coniugare lotta armata e movimento, saldare politica e militarizzazione. Attorno a questo snodo decisivo si svilupperà il sinuoso andamento e la crescita del sovversivismo rosso.Per il gruppo di Sofri è proprio dentro il movimento che si realizzano i presupposti per dispiegare la rivolta di massa contro lo Stato. Nelle dinamiche concrete dello scontro, infatti, si viene sempre di più a realizzare quella coincidenza fra «avanguardia politica» e «avanguardia militare», espressione della fase di «maturità» cui è giunta la lotta. Ed è questo passaggio che impone ai militanti la coerenza fra la propaganda di massa, lo smascheramento del revisionismo e «la spiegazione, l'educazione e l'organizzazione delle masse sul terreno della forza diretta della violenza di classe». Nella sua suggestione illegalista, quasi impossibilitata a esprimere una secca condanna per effetto delle sue elaborazioni sull'autonomia. Lotta continua inizia il suo equivoco pendolarismo nei confronti dei primi inquietanti episodi di terrorismo.Rovesciando la posizione assunta sulle bombe di Lainate prima azione firmata dalle Br, l'esecutivo milanese del gruppo considera il sequestro di Idalgo Macchiarmi, dirigente della Sit Siemens, un atto «coerente» con la volontà delle masse considerate ormai pronte a sviluppare la lotta di classe sul fronte della violenza illegale 34. All'insegna di una fantomatica «giustizia proletaria», il foglio quotidiano «Processo Valpreda», assimilando il sequestro Macchiarini a quello di Robert Nogrette, dirigente della Renault, scrive: «la giustizia rivoluzionaria comincia a far paura - viva la giustizia rivoluzionaria» ".Sono emessi 11 mandati di cattura nei confronti dell'esecutivo milanese, l'accusa è istigazione a delinquere. L' 11 marzo '72, incuranti del divieto, oltre diecimila militanti si radunano nei pressi della manifestazione «autorizzata» del Movimento sociale, scandiscono gli slogan «Valpreda libero subito! La strage è di Stato! Spazziamo via i fascisti!». Per quattro ore scontri duri con la polizia al quartiere Garibaldi. Lotta continua partecipa insieme ad Avanguardia operaia, Potere operaio, Gruppo Gramsci, i militanti della IV Internazionale, il Collettivo autonomo di Architettura e Viva il comunismo. Non aderiscono al Comitato nazionale di lotta contro la strage il Manifesto e l'Unione dei comunisti italiani. Un candelotto lacrimogeno sparato dalla polizia uccide il pensionato Giuseppe Tavecchio, bombe molotov sono lanciate contro la sede del «Corriere della sera». Per Lotta continua vi è un rapporto inscindibile fra la «battaglia di piazza» sostenuta contro la «pretesa dello stato di polizia» di impedire il «diritto all'esistenza politica» delle avanguardie rivoluzionarie e la necessità di rappresentare con la «forza dell'organizzazione» i bisogni proletari contro la crisi e per la ripresa delle lotte operaie in fabbrica e nella società. Un rapporto che «colpisce al cuore la strategia repressiva».La morte di Feltrinelli, anche in considerazione delle posizioni assunte da Potere operaio, impone al gruppo un'ulteriore accelerazione verso le posizioni della lotta armata. Avanguardia operaia, anche se riconosce le diverse accentuazioni, attacca Lotta continua e Potere operaio dichiarando avventuristica la loro esaltazione di azioni militari esemplari del tutto separate dalla lotta di classe. Lotta continua solidarizza con Potere operaio affermando «qualunque tentativo poliziesco e giudiziario di colpire Potere operaio colpisce alla stessa maniera noi» 3&.Il questore Ferruccio AUitto Bonanno nel rapporto Milano:attività dei gruppi extraparlamentari, inviato al Ministero degli Interni il 15 luglio, così descrive Lotta continua: «Attualmente ha una consistenza di circa millecinquecento aderenti ai quali vanno aggiunti centinaia, se non qualche migliaio, di simpatizzanti del Movimento studentesco [...]. Lotta Continua sostiene che le strutture borghesi devono essere combattute senza timore, determinando al più presto le condizioni necessario per trascinare nella lotta i vari ceti popolari. Certamente Lotta continua è il gruppo che più scopertamente ha portato avanti le sue istanze rivoluzionarie, ponendo in essere azioni materiali del tutto incompatibili con le norme di diritto che regolano Fattuale società» 37.Intanto aumentano, i dissensi interni; a nulla servono le mediazioni della III conferenza d'organizzazione. L «autonomia» diventa il grimaldello delle microscissioni a cui segue il poliforme articolarsi delle sue trame organizzative. A Milano tra il '72 e il '73, l'assemblea autonoma dell'Alfa rompe con Lotta continua e con i vari gruppi che hanno preso parte e sono stati interni ali esperienza. L assemblea rifiuta la logica dell'inter-gruppo. Fra bisogno del partito e movimentismo la contraddizione non è sciolta: «Noi abbiamo posto alcune discriminanti; non crediamo che il partito operaio rivoluzionario possa formarsi nel modo tradizionale: gli intellettuali che danno una linea che poi scende nelle fabbriche a cercare le avanguardie che portino avanti questa linea. Questo non è possibile» 38.Se il gruppismo post-sessantottesco cerca di darsi un assetto «partitico», l'autonomia, al contrario, non vuole separarsi dalla fluidità etereogenea di un movimento che considera sempre più disponibile allo scontro, in cui avverte l'esistenza di un bisogno eversivo che vuole sfruttare per distruggere un' obsoleta concezione della lotta di classe regolata o in dialettica con le leggi del progresso capitalistico. In varie situazioni locali si avvia l'erosione del gruppo; mentre attorno al giornale «Rosso» cresce il processo di centralizzazione dell' Autonomia. Si criticano aspramente le sottovalutazioni di quelli che vengono definiti i «compiti di dirczione politica da parte dell'avanguardia rivoluzionaria sul movimento» e le nascenti attenzioni che si manifestano nei confronti delle contraddizioni interne alla sinistra e in particolare al sindacato. Contro queste suggestioni e scivolamenti che per i settori più oltranzisti porterebbero il gruppo nell'orbita del revisionismo, si proclama come continuità con la propria origine la validità della nozione di autonomia e la forza intrinseca alla cultura e alla pratica del rifiuto. La polemica investe il tentativo di revisione che percorre Lotta continua. Se ne contestano: il gradualismo nella concezione del processo rivoluzionario; le tesi secondo cui i rapporti di forza internazionali e interni non consentirebbero nel medio periodo uno sbocco rivoluzionario, da cui deriva l'attesismo nella lotta contro il potere e la maggiore attenzione all'azione verso le istituzioni, sia pure in vista di uno scontro futuro. In sostanza, secondo queste critiche, Lotta continua rimanderebbe a «prospettive fantasiose compiti che sono dell'oggi, "al contrario" si tratta di scuotere in modo generale l'assetto dello stato e delle sue istituzioni». Non si vince lo scontro in atto con parole d'ordine come: «Fuori legge il Msi», «Sciogliere il Sid», ne con gli scioperi per la contingenza e contro l'attacco all'occupazione. Certo occorre anche avanzare e conquistare questi obiettivi, ma la condizione essenziale è lottare per scontri decisivi in fabbrica e costruendo non solo «rapporti di forza più favorevoli, ma una di-rezione politico-militare della classe». Nell' incertezza della prospettiva, nell'ossessione di rimanere prigionieri di analisi che possono convergere con quelle dei revisionisti, la discussione interna è aspra e il gruppo è sottoposto a spinte contrastanti. La polemica toccherà l'apice nel '75 a ridosso della convocazione del primo congresso nazionale di Lotta continua.Dal convegno di Torino dell'aprile '73 verrà la riprova del travaglio del gruppo. I materiali preparatori e lo svolgimento dei dibattito tentano una rilettura complessiva dell'intervento nelle fabbriche: si esprime la volontà di uscire da ogni pragmatismo e, sia pure in modo discutibile, si cerca una legittimazione che vada oltre il contingente del «movimentismo» 39. Intanto alla sua «sinistra» già si sono avute le prime principali defezioni. I militanti più oltranzisti hanno denunciato le morbidezze del gruppo e fatto altre scelte.
5. La Commissione carceri Fra i settori di intervento su cui si concentrano l'attenzione e l'impegno di Lotta continua, la «questione carceri» acquista un particolare rilievo. Il tema è già presente nelle lotte del Ses-santotto e fa parte integrante della cultura del movimento. Rientra a pieno titolo in tutto il filone delle marginalità sociali a cui le riviste hanno dato ampio risalto. Per i nuovi ribelli non esiste devianza che non sia recuperabile alla lotta contro quella società capitalistica che, dopo averla prodotta, se ne vorrebbe liberare ghettizzandola. Con maggiore coerenza rispetto ad altri gruppi, Lotta continua da forma organizzata al lavoro interno-esterno alle carceri portando avanti un'intensa e sistematica opera di politicizzazione. Sin dai primi numeri il giornale da ampio risalto alla situazione dei vari istituti penitenziari, fornendo ampi resoconti delle rivolte carcerarie. Nella primavera del 1971 nasce la Commissione carceri.Molti militanti hanno transitato per le camere di sicurezza delle questure, hanno scontato brevi o più lunghi periodi di prigione, molti sono in attesa del processo. Il militante ha conosciuto la condizione carceraria e ha vissuto, col fervore ideologico di quegli anni, insieme a detenuti comuni. «Finire in galera» è quasi una medaglia, un attestato alla propria milizia. L'«eroismo» del combattente rivoluzionario si fa pedagogia; con curiosità e interesse l'ex studente ormai divenuto quadro di partito si avvicina al detenuto comune per convertire il suo istintivo ribellismo alla causa della rivoluzione. Nelle carceri si sviluppa una vera e propria pratica politica che mette alla prova le teorie di Fanon sui «dannati della terra», che si illumina di slancio ideale richiamandosi ai «Fratelli di Soledad».Siamo agli inizi degli anni settanta e la riforma carceraria è ancora un'utopia; del tutto incivile e arretrata si presenta la condizione del detenuto. Nei vari istituti di pena si formano nuclei e collettivi di discussione legati a Lotta continua. Il giornale pubblica lettere e testimonianze dirette, da voce alle rivendicazioni singole e collettive dei detenuti. Da vigore a questo impegno organizzativo e politico il susseguirsi delle rivolte carcerarie.Lotta continua non è la sola organizzazione dell'estremi-smo a seguire quello che accade nel mondo carcerario. «Nuova resistenza» di Renato Curcio nel suo ultimo numero, ali'inizio del '71, così commenta la rivolta delle Nuove di Torino: «La rivoluzione moderna accumula i suoi elementi pescando nel torbido, avanza per vie traverse e si trova degli alleati in tutti coloro che non hanno nessun potere sulla propria vita e lo sanno [...]. Il gesto "criminale" isolato, il furto, l'espropriazione individuale, il saccheggio di un supermercato non sono che un messaggio ed un accenno del futuro assalto proletario alla ricchezza sociale [...]. In una società in cui la legge è l'espressione della classe dominante, quella borghese, in una società in cui i prole-tari sono criminali, le galere si riempiono di proletari. Ma ormai da tutti i luoghi della segregazione sale la minaccia mortale alla totalità delle condizioni esistenti [...]. La rivolta delle carceri non è la crisi del sistema "carceri" in questa società, ma la crisi di questa società che si manifesta inizialmente nei settori più separabili della sua organizzazione (ghetti, carceri, manicomi, bidonvilles, i quartieri di Sbarre e di S. Caterina) [...]. I detenuti sono i negri della società di classe. Accantonati dal lavoro ed esclusi dal consumo essi ripagano tutto ciò con il rifiuto del lavoro e con la sete spaventosa del consumo assoluto: il bisogno di riprendere tutto. Questi uomini potrebbero saccheggiare per dieci anni e non riprendere la metà di quello che gli viene quotidianamente sottratto [...]. La "feccia" della società è così l'a-vanguardia della rivoluzione» 40. Dunque il riconoscimento di un nuovo soggetto del processo rivoluzionario che prende le mosse da nuove inquietanti dinamiche sociali. Esempi clamorosi sono le rivolte del Meridione e, su un piano diverso, l'impres-sionante aumento di criminalità che si realizza in quegli anni. La vicenda di Sante Notarnicola, ex componente di quella banda Cavaliere che aveva gettato nel terrore la città di Milano, fa molto discutere. Le sue dichiarazioni, al processo che si svolge nel 1971, hanno il tono del proclama rivoluzionario, la testimonianza diretta di una trasformazione individuale: da criminale a rivoluzionario. Nella prefazione all'autobiografia di Sante Notarnicola, pubblicata nel 1972 per le edizioni Feltrinelli, Pio Baldelli così sintetizza il processo di politicizzazione che si sta verifìcando nelle carceri italiane: «Nelle carceri due linee di lavoro politico procedono parallele senza incontrarsi (l'incontro avviene solo in casi di emergenza). Per un verso, "la rivolta" che propone uno scontro immediato e punta sull'insofferenza dei ragazzi più giovani, provenienti quasi sempre dai settori di mobilità di classe, ragazzi che entrano ed escono dalle galere;per l'altro verso 1' "organizzazione" ossia il momento sindacale rivendicativo che ha come protagonisti i detenuti politici o detenuti che hanno parecchi anni di carcere che tenta di impostare un lavoro organizzativo a lunga scadenza capace di cogliere una serie di nodi centrali...»41.Lotta continua si colloca al centro di questo parallelismo, tende a organizzarsi per affrontare i vari aspetti del problema, incoraggia ogni occasione di protesta e di rivolta. Nascerà da questa contraddizione il sentimento di delusione che progressivamente sposterà su un terreno sempre più oltranzista alcuni dei militanti più attivi della commissione carceri, fino al loro approdo alla lotta armata con la costituzione dei Nuclei armati proletariiVengono raccolti numerosi materiali, le denunce dei nuclei interni e la puntuale radiografìa della condizione carceraria. Documenti che saranno pubblicati, nel giugno del '72, nel volume Liberare tutti i dannati della terra. Nella prefazione si chiarisce l'intento pedagogico di Lotta continua: «trasformare le galere da scuole di delinquenza e di individualismo a scuole di lotta contro i padroni, scuole di comunismo...». Dopo le elezioni del giugno '72 la legge Valpreda consente a molti detenuti di lasciare il carcere. Per Lotta continua crescono le difficoltà. Le prospettive rivoluzionarie indicate sono del tutto astratte, hanno creato aspettative che non si è in grado di risolvere. Descrivendo questa fase Alessandro Sii] scrive: «Al tempo stesso, l'appari-zione di tutti questi ex detenuti, sbandati, alla ricerca di un tetto e di una parola d ordine che dia loro un segnale della rivoluzione, mette in crisi i militanti di Lotta continua. Dubbi mai interamente sopiti esplodono. La crisi diventa reale, quando, scaduti i termini della scarcerazione, molti ex detenuti decidono di darsi latitanti. Ecco che diventano compagni che scottano, che possono veramente "compromettere" l'organizzazione. Che cosa farne? I malintesi si ingrandiscono; il solco tra chi vuole buttarsi nella mischia e chi opera nella legalità si approfondisce. Certi compromessi e certe sfumature, pure possibili sulla carta nella realtà si rivelano improponibili» 42.AU'inizio del '73, per effetto della cosidetta legge «Valpreda», Luca Mantini torna libero: ha scontato solo nove dei tren-tadue mesi di condanna attribuitigli per i fatti di Prato. Nel-l'aprile '72, in seguito ai violenti scontri fra fascisti ed extraparlamentari, era stato arrestato insieme ad altri due militanti di Lotta continua. Le posizioni del gruppo non lo convincono più; dopo 1 esperienza in carcere la sua linea gli appare astratta e troppo distante dall'immediatezza dei problemi più acuti. Esce da Lotta continua e a Firenze entra a far parte di un collettivo carceri, postazione da cui nel '74 formerà il collettivo Jackson e infine, insieme a Sergio Romeo e Fiorentino Conti, fonderà i Nap.Proseguono le rivolte. L'originaria parola d ordine «liberare tutti» si sfuma. Lotta continua si acconcia a una linea più accomodante. Sceglie, più realisticamente, di concentrare la sua attenzione su una serie di rivendicazioni che, commisurate alla radicalità iniziale, per alcuni militanti, hanno il sapore della revisione riformista: diritto di assemblea, assistenza legale, condizioni igieniche, diritto al lavoro, qualità di rapporti con lester-no, diritti sessuali dei detenuti. In questa fase di transizione si incontrano fra loro figure diverse di militanti. Alcuni si sono formati nella milizia politica come Luca Mantini e Fiorentino Conti, altri come i fratelli Abbatangelo e Sergio Romeo dalla criminalità sono passati alla politicizzazione. La marginalità sociale si da una spiegazione politica della sua condizione ed origine, ma non abbandona la sua radicalità anzi l'estremismo finisce con 1 esaltarla in una drammatica finalizzazione. Contemporaneamente la milizia politica si appropria della violenza armata come scelta risolutiva.Sergio Romeo: alletà di 13 anni le prime reclusioni in riformatorio, una vita difficile di ragazzo emarginato del Meridione. In carcere rincontro politico con l'anarchico Giovanni Marini, detenuto per omicidio. Il 7 luglio 1972 a Salerno, infatti, Marini era stato aggredito da una squadra armata fascista; durante lo scontro era rimasto ucciso il fascista Carlo Favella. L' a-narchico esercita un forte fascino sul ragazzo, per Sergio Romeo è l'occasione delle prime letture politiche. Uscito dal carcere, l'impegno attivo cresce insieme alla passione politica. Dopo un breve incontro con la redazione romana della rivista «Rè Nudo», a cui l'ha indirizzato lo stesso Marini, Romeo si trasferisce in cerca di lavoro in Belgio. Intesse rapporti con alcuni militanti della IV Internazionale, e sarà proprio la politica la causa della sua espulsione dal paese. Tornato in Italia, è a Napoli dove dirige il servizio d'ordine di Lotta continua e si attivizza nella Commissione carceri.Per tutto il 1973 nel paese cresce la violenza politica diffusa. Lotta continua è presa in una duplice morsa, cavalca il sovversivismo di piazza all'insegna dell'antifascismo militante e al tempo stesso si avvita nel dibattito sulle forme della lotta armata. A marzo, in presenza del sequestro Macchiarini, l'organizza-zione sembra prendere le distanze dal terrorismo. Torna indietro rispetto alle precedenti esaltazioni del sequestro Mincuzzi. Potere operaio è pronto a sottolineare criticamente la revisione di Lotta continua: «per giustificare la propria scelta di un diverso referente di organizzazione (in particolare i delegati della sinistra sindacale) si inventa che il movimento è in una situazione troppo diffìcile, che è necessario attestarsi sulla difensiva, il che è come dire che ci si deve fermare a due passi dalla sconfitta...». E prima ancora, nello stesso articolo, «Potere operaio» ricorda a «Lotta continua» i suoi precedenti e i suoi slogan: «Che altro è l'assenteismo, il sabotaggio, il corteo violento, la funzione quotidiana dei capi (...) se non la pratica materiale che sottrae la ristrutturazione dalle mani del padrone sul suo stesso terreno, quello del comando?...» 43. Un invito alla coerenza quello di Potere operaio! Si può discutere e si deve discutere sulle Br e sui loro metodi, ma una cosa è certa: esse cercano di dare una risposta al problema della lotta armata.Anche sul fronte delle carceri prevale il ripensamento critico di Lotta continua. Sarà la crisi della Commissione carceri. Dopo aver osannato la teppa ribelle, il gesto violento, l'esproprio e la rapina, è difficile tornare indietro. Nella pubblicistica di Lotta continua i toni durissimi di «liberare tutti» si sfumano. Alla fine del '73 un nuovo testo sulla situazione delle carceri Ci siamo presi la libertà di lottare è molto più cauto. Un ripensamento autocritico che assume il terreno delle riforme come aspetto qualificante delle lotte del movimento dei detenuti. Ma per molti militanti la situazione è già a un punto di non ritorno.I Nap, nel loro primo documento programmatico del marzo '74, commentando questa fase scrivono: «Si sentiva infine l'esigenza di strumenti e strutture (ma queste cose vanno conquistate) clandestine, atte a sottrarre alla giustizia borghese i compagni proletari indebitati con essa, e quindi lo scioglimento della commissione carceri che esisteva, per ricostituirla su un piano proletario, dotandola cioè di strutture autonome e clandestine (cosa che noi ora stiamo facendo)» w.Lotta Continua respinge la proposta dei suoi settori più intransigenti di darsi una struttura clandestina, una scelta che riguarda sia il settore carceri che l'insieme delle lotte, nelle fabbriche come nei quartieri. Un ripensamento tardivo, ancora pieno di incocrenza e oscillazioni, che crea disillusione, scarto fra la violenza verbale e la pratica. Per quello che riguarda il mondo carcerario la riflessione investe le forme di lotta interna e in particolare denuncia come dannoso l'uso della violenza: una scelta che porterebbe solo all'insuccesso e al fallimento.Sono ancora i Nap nel loro documento programma, a sottolineare il divario ormai prodotto dal male oscuro del sovversivismo. Riferendosi al clima interno alle carceri scrivono: «Queste lotte espressero dall'interno delle masse detenute vere e proprie avanguardie militari che si posero alla testa delle rivolte a dirigere ed organizzare la resistenza e l'attacco. Giorni e giorni di lotta, con barricate, bottiglie incendiarie di alcool, candelotti fumogeni sottratti ai celerini e ambulatori all'interno dei padiglioni per curare i contusi. Lotte di massa per la libertà, per la scoperta della propria dignità umana e sociale. Il dato fondamentale che si era impresso in ciascuno di noi in quei giorni, e che tutti indistintamente avevamo vissuto, era la presa di coscienza di essere stati vivi nella violenza collettiva, organizzata di aver vissuto un momento — giorni e notti — di libertà, conquistata attravreso l'autodeterminazione e l'autogestione; la coscienza di aver superato le divisioni interne determinate dalle differenziazioni dei reati; cioè la coscienza di aver superato il nostro decadimento di classe, morale e sociale, attraverso l'ac-quisizione del dato di una unica realtà di miseria e corruzione che ci accomunava, nella scoperta di essere semplicemente — contro l'astrazione borghese della delinquenza comune — soltanto dei proletari particolarmente oppressi perché emarginati e umiliati da secoli di storia borghese [...]. Noi entriamo nella storia rivoluzionaria in qualità di proletariato, perche "popoliamo" le carceri che sono senz'altro l'abitazione di carattere definitivo e irreversibile destinata al proletariato del mondo capitalistico» 45.Attraverso vari passaggi Lotta continua precisa i termini della nuova fase respingendo nel suo convegno nazionale del dicembre '73 le tentazioni alla clandestinità e la riduzione del lavoro politico ai moduli dell'illegalità. La rottura è inevitabile. Inizia il lavorio che porta alla costituzione dei Nap. Sulla loro formazione influirà lo sviluppo delle azioni delle Br e la natura della discussione in atto sul partito combattente e sulla violenza armata. I vari collettivi carcere si distaccano da Lotta continua, non si riconoscono più ne nel suo farsi partito ne nei suoi moduli organizzativi.Luca Mantini troverà la morte nell'«esproprio» di autofinanziamento alla Cassa di Risparmio di Firenze. Attorno ad Anna Maria Mantini, sorella di Luca, si formano nuove condizioni organizzative. Saliranno alla ribalta della cronaca come organizzazione terroristica il 7 maggio '75 con il sequestro del magistrato Giuseppe Di Gennaro, direttore dell'Uffìcio ricerche e studi del Ministero di grazia e giustizia. L'azione è gestita in concomitanza con la rivolta del carcere di Viterbo. La liberazione del magistrato avverrà dopo 5 giorni di sequestro-processo e sarà condizionata al trasferimento in altro carcere dei nappisti Mario Zicchitella, Pietro Sofia e Giorgio Panizzari.
6. Partito o movimento?
Il '72 è stato un anno complesso per Lotta continua: lo scontro nel comitato per la strage di Stato, le posizioni assunte di fronte alla morte di Feltrinelli, le vicende che seguono l'ucci-sione del commissario Calabresi, l'inquietante accreditamento del sequestro Macchiarmi. La gruppettistica appare invecchiata di fronte alla natura dei nuovi conflitti, il sovversivismo non governa più i mostri che essa stessa ha creato. Guido Viale così commenta questa fase della storia del gruppo: «AU'inizio del 1972 Lotta continua non è più che il fantasma di se stessa. La sconfìtta dell'autonomia operaia alla Fiat le ha tolto ogni ragione di esistere. Risorge dalle sue ceneri radicalmente trasformata. Un dibattito sulla violenza la porta a rompere i ponti con il nascente terrorismo. Uno sull organizzazione la conduce, correttamente ad individuare nei delegati lo strumento di riunificazione della classe: tra i nuovi operai, protagonisti delle lotte autonome e quelli tradizionali, base della forza organizzata del Pci. Infine un dibattito sulla tattica la porta a vedere nella conquista della maggioranza (cioè della base sociale del movimento operaio ufficiale) il compito principale di questa fase della rivoluzione. Questo dibattito sfocia nella formula del "Pci al governo" »46. Ma la transizione è lenta e non indolore, lungo la strada molti i distacchi, le polemiche e le brusche involuzioni.«Contro il governo del fermo e dell'omicidio di polizia con i metalmeccanici» scrive «Lotta continua» lanciando i suoi slo-gan: «via la polizia dalle fabbriche, no ai licenziamenti, al carovita, all'attacco alla libertà di sciopero, no alla divisione fra "pubblici" e privati, no alla "piena utilizzazione" della fatica di chi lavora» 47. Le forze del gruppo si sono molto assottigliate. Fra l'altro, come si riconoscerà nel convegno di Torino del-l'aprile '73, non e'è convinzione sulla possibile ripresa del movimento. Un fraintendimento che nasce dall'incapacità a comprendere quello che sta accadendo in fabbrica e in particolare, come si dovrà ammettere, nel rapporto sindacati-lavoratori attraverso i consigli dei delegati.Alla Fiat la lotta è dura. Agnelli, utilizzando il quadro politico conseguente alla formazione del governo Andreotti-Malagodi minaccia unondata di licenziamenti; 600 denuncie colpiscono i lavoratori, riprendono le manifestazioni di piazza. Dopo il loro totale passaggio alla clandestinità, a Torino ricompaiono le Br: «Schiacciamo i fascisti a Mirafiori e Rivalla, cacciamoli dalle nostre fabbriche e dai nostri quartieri!». In fabbrica si succedono cortei interni, la polizia denuncia 800 operai, Agnelli licenzia 5 lavoratori. L'accordo contrattuale, strappato dal sindacato, è duramente contestato da Lotta continua. Sfruttando zone di parziale malessere, tensioni interne, divisioni nello stesso estremismo sulle forme di lotta, tornano le Br che incendiano sei auto di dirigenti del sindacato giallo. Il 23 gennaio '73 muore a Milano, nel corso di una manifestazione, lo studente Roberto Franceschi. Nuovi scontri a Torino: la polizia spara contro un corteo che protesta per la morte del giovane. AH'indomani 25 mandati di cattura, fra questi Guido Viale, della segreteria nazionale di Lotta continua.Tra rappresaglia padronale, mobilitazione operaia, durezza dell'intervento della polizia, nella peculiarità della situazione Fiat si colloca il sequestro-gogna del sindacalista della Cisnal, Bruno Labate. «Lotta continua» mutando posizione rispetto al caso Macchiarmi, definisce nell'articolo Non basta mordere l'azione «irresponsabile ed esibizionistica». E polemica aperta con «Potere operaio». Il gruppo di Sofri, tuttavia, rimane in un'area di confine, denuncia l'azione ma non la lotta armata, contesta il carattere esemplare del sequestro, ma rimanda ad un' azione militare fondata su un generico, quanto assurdo, programma complessivo; un'ambiguità che gli consente di galleggiare sulla crisi del «gruppismo». L'approccio di Lotta continua al tema della violenza rimane confuso, provoca le prime delusioni come nel caso della Commissione carceri, ma lascia ancora margini, non tronca definitivamente col mito della lotta armata e della sovversione; seguiranno altre delusioni e insieme altri distacchi come nel caso dei transfughi di Prima linea.Sul giornale proseguono le adesioni all'appello per l'immediata scarcerazione di Guido Viale, definito «intellettuale e militante marxista» 48. Per replicare contro la «provocazione di Stato contro Lotta continua» e contro la «fascistizzazione», il gruppo lancia una serrata offensiva nelle fabbriche e nelle scuole. Il comitato centrale del Pci è durissimo nella critica alle parole d'ordine e alle caratteristiche di una mobilitazione in cui permangono forti tratti di illegalismo. Diverso è l'orientamen-to delle organizzazioni giovanili dei partiti di sinistra. Per la Fgci, la solidarietà al gruppo si esprime spesso in atteggiamenti individuali e periferici, mentre più complessa si presenta la posizione della Fgsi. Nel loro congresso nazionale di Venezia nel '73 i giovani socialisti mostrano interesse e apertura, Lotta Continua dal canto suo commentando il «libertarismo» di provenienza socialista scrive: «"al libertarismo" anche nella sua accezione riduttiva, non ci sputiamo su, anzi: sia che si tratti del rigore della protesta contro i meccanismi repressivi, sia che si tratti della motivazione a un antifascismo militante, sia che si tratti della sensibilità a rivendicazioni "civili" che non sono affatto contrapposte o estranee ad una battaglia di classe, dal divorzio all'aborto, all'antimilitarismo ecc., temi che hanno contraddistinto positivamente i compagni radicali» w. Si avvia la polemica fra le organizzazioni giovanili della sinistra tradizionale. Apparentemente l'analisi della Fgci sembra rimanere termalmente ancorata alla lettura operata dal partito, ma anche fra i giovani comunisti è in corso un ripensamento per effetto delle modifiche che stanno intervenendo nellestremismo. La svolta verrà coi comitati unitari di base, una svolta sofferta e portata avanti fra molti sbandamenti.Seguendo il percorso di Lotta continua, il '73 è un anno di aspre lotte articolate su fronti diversi mentre nel paese cresce l'opposizione al governo Andreotti-Malagodi. Il giornale è un bollettino di guerra: appelli alla scarcerazione dei compagni arrestati, notizie di cariche e aggressioni poliziesche, notizie sulle trame di Stato.Renzo Imbeni, segretario nazionale dell'organizzazione giovanile comunista, commentando le ipotesi di rifondazione dei giovani socialisti e le loro «simpatie critiche» nei confronti dell'estremismo respinge duramente le accuse mosse al Pci di «insensibilità democratica». Durissima la replica di Lotta continua: «Guido Viale è in galera. Tonino Miccichè operaio comunista è in galera, Manconi, Aromando, Ferino, Collo, Costanzia, Malone, Natale, militanti comunisti sono in galera. E ce nesono tanti altri. Quando Cossutta chiede al ministro di polizia di "agire contro gli estremisti" sta "favorendo oggettivamente l'azione repressiva"? L'unico dubbio riguarda il termine oggetti-vo» 50. Non solo il numero degli arrestati ma anche i morti nelle manifestazioni sono una drammatica componente della lotta operaia. Le cicatrici ideali sono profonde, per alcuni militanti saranno inguaribili. Roberto Franceschi è stato ucciso dalla polizia. A Napoli, nel corso dello sciopero del 21 febbraio '73, la polizia riduce in fin di vita il diciannovenne Vincenzo Caporale. Assente alla manifestazione la Fgci, al contrario vi ha aderito la Fgsi. Dal corteo si leva lo slogan: «il Pci non è qui, fa la corte alla De» 51. Mentre Vincenzo Caporale lotta contro la morte, nelle grandi città nuove manifestazioni. Drastico, il commento di «Lotta continua»: «La politica parlamentare e la politica della lotta di massa seguono ormai due percorsi opposti» 52.A Milano le forze politiche democratiche chiedono di regolamentare l'agibilità nell'università, ma l'assemblea promossa dal Comitato interpartitico per i problemi per l'università non si dimostra un'iniziativa di successo, anzi accentra ulteriormente la separazione fra movimento studentesco e forze politiche 53.Salvatore Toscano, leader del Movimento studentesco milanese, è arrestato alla vigilia dello sciopero nazionale della scuola indetto per il 21 febbraio 1973. Fra i gruppi la polemica non è più solo verbale: a Genova si parla di scontri a fuoco fra Stella rossa e Lotta continua, a Torino gruppi «comontisti» provocano la rissa entrando nella locale sezione di Lotta continua. La situazione interna al gruppo è molto mossa, accanto ad un oltranzismo duro a scomparire, si affacciano segni di ragionevolezza politica. Espressione della riflessione in atto, prendono avvio alcuni tentativi di raccordo con le istituzioni e con le forze della sinistra tradizionale; un esempio la manifestazione di Torino del 10 marzo, trentennale degli scioperi del '43.Dalle fabbriche numerosi segni di malessere. Le assemblee autonome hanno espulso i militanti del gruppo, il sindacato sembra manifestare una crescente capacità di ripresa e di iniziativa. E possibile continuare a ignorare la questione «delegati»? Fra l'altro numerosi operai aderenti a Lotta continua sono già impegnati nei Consigli. Come debbono regolarsi i militanti del gruppo: essere interni, stare dentro ma non dichiararsi, stare fuori perdendo ogni rapporto con i lavoratori?La lettera di un operaio a «Lotta continua» rende pubblico questo disagio. E l'occasione per aprire un dibattito, che troverà una sua parziale sistematizzazione nel convegno di Torino del 14-15 aprile '73. L'iniziativa si colloca sul crinale di un'ampia revisione del lavoro di Lotta continua. Punti fondamentali della conversione: la questione dei delegati e il rapporto con la sinistra. Avvicinamenti che, senza sottovalutazioni sulla loro attendibilità, contengono una forte dose di tatticismo conseguenza dello stato di difficoltà reale che attraversa il gruppo. Complementare alla riflessione politica la questione partito: «Lotta continua riscopre — senza formule — il "leninismo" e il centralismo democratico. E senza dirlo, si costituisce in partito» 54.NelTautunno '73 il dramma cileno. Lotta continua segue con attenzione la vicenda, per i teorici del gruppo è la conferma dell'impraticabilità di ogni linea di confronto. AUende è rimasto prigioniero dell'utopia della ragione: contro i nemici di classe e la De non e'è altro che la forza. Il gruppo lancia una sottoscrizione per le armi al Mir, organizza manifestazioni e convegni, pubblica documenti della resistenza cilena.Continua inesorabile il lavoro dell'Autonomia, una programmatica disarticolazione del gruppismo tradizionale; nell'a-gosto si svolge il convegno di autoscioglimento di «Potere operaio» e attorno a «Rosso» quindicinale prende corpo un nuovo modello d'organizzazione. La riflessione politica in corso non argina le fughe dal gruppo, lo strabismo fra una linea troppo inquinata da tatticismi e l'ostinata rincorsa al sovversivismo non attenua i contrasti ma al contrario li accentua. Attraverso il movimentismo di Lotta continua passano le suggestioni del-l'Autonomia, una condizione soggettiva e politica che facilita fluttuazioni e, in presenza di organiche convergenze teoriche, consente quelle più o meno deliberate coperture mimetiche che troveranno il punto di massima equivocità politica nella plumbea stagione del terrorismo.Nelle pubblicazioni dell'autonomia, «Rosso», «Rivolta di classe» e gli altri fogli locali, sempre più frequenti saranno i riferimenti alla variegata esperienza di Lotta continua: operaio massa, convenienza operaia, rifiuto del lavoro; l'attenzione alla marginalità sociale, alle carceri, alla violenza luddistica e antista-tuale fino all'elogio delle forme di violenza del terrorismo. Un assemblaggio che nasce dal fallimento politico-organizzativo del gruppismo e tenta di bloccarne ogni possibile riconversione.Dall'interno e dall'esterno, dunque, le molte insidie a cui è esposta Lotta continua. In questo accidentato percorso il suo farsi partito è fortemente osteggiato. A molti militanti, sembra un accomodamento per seguire su una linea moderata le altre formazioni dell'estremismo, Manifesto e Avanguardia operaia, che ormai sono diventate «ruote di scorta» del revisionismo.Sulla necessità di una svolta organizzativa, commentando la scelta compiuta da Potere operaio. Lotta continua aveva affermato: «Non si tratta della clandestinità proposta da Potere operaio nel suo convegno del '71, pur tuttavia di operare un salto qualitativo sul piano organizzativo, assicurando il massimo di centralizzazione col massimo di decentramento, avere una capacità di risposta di fronte alla svolta di destra in atto nel paese che tenderà sempre di più ad acutizzarsi» 55. Il gruppo di So-fri già sul finire del '72, nello scenario di un'ipotizzata «lotta dura e illegale contro lo stato, di fatto opera secondo lo schema del partito, sezioni, federazioni su base provinciale e regionale. La questione, tuttavia, rimane indeterminata e non troverà una sua sistematizzazione neppure nelle tesi che lanciano il primo congresso nazionale del partito, appuntamento più volte rinviato per il permanere di aggrovigliati nodi non sciolti. «Negli anni scorsi il problema della costruzione del partito rivoluzionario ha ricevuto due risposte fondamentali. Una metteva al primo posto non la classe, ma la sua organizzazione storica, e vedeva la nascita del partito come il prodotto di una trasformazione o di una rottura all'interno delibrganizzazione storica del movimento operaio. Ignorando l'autonomia della lotta di classe, o considerandola subalterna rispetto ai suoi riflessi nella organizzazione tradizionale del movimento operaio, questa risposta metteva al primo posto una soluzione istituzionale al problema della fondazione del partito, da attuarsi attraverso ipotesi come il "recupero" del partito riformista, lentrismo, la scissione o la conquista di quote di controllo nel sindacato» 36.Criticata questa impostazione, da cui sono sorte formazioni guidate solo dal loro soggettivismo, Lotta continua non rinuncia alle ragioni di fondo che hanno animato la sua scelta di origine, non ignora il peso delle modificazioni nell'organizza-zione tradizionale della classe operaia, ma fonda la possibilità del partito sulle trasformazioni nella struttura, nella lotta e nella coscienza della classe. Il rifiuto di autoproclamarsi partito e il rifiuto di impegnare le nuove energie rivoluzionarie in una lotta interna al movimento operaio organizzato, secondo il giudizio del gruppo, si sono tradotti in un lungo periodo di costruzione di un rapporto con le masse, di stimolo all'espressione autonoma alla classe. La scelta di andare davanti alle fabbriche significava allora, il capovolgimento di una vecchia e stantia tradizione politica e restitutiva alla classe, fuori dal filtro delle sue consolidate rappresentanze politico-sindacali, il ruolo di protagonista. Il parziale consolidamento di alcune formazioni a «sinistra del Pci, anche se altre, come nel caso di Potere operaio, si sono autosciolte per confluire nel magmatico campo dell'autonomia, non ha risolto il nodo ultradecennale del partito rivoluzionario contrapposto al Pci» 57, anzi, secondo Lotta continua, quest'ultimo si è dimostrato ancora in grado, insieme al sindacato, di una sua presa egemonica sulle masse. Rifiutata la tesi della risposta «istituzionale». Lotta continua rimane in bilico fra lo schema della costruzione del partito e il «mettere al primo posto il rapporto diretto con la classe». Ne intende seguire la strada scelta dal Pdup-Manifesto e da Avanguardia operaia che con la loro teoria della costruzione del partito, fondata sul modificarsi degli schieramenti istituzionali della sinistra, coltivano inutilmente l'illusione del coinvolgimento del Pci, del Psi, del sindacato, della «sinistra cattolica», e delle stesse organizzazioni extraparlamentari anch'esse ormai istituzionalizzate. Non si tratta dunque di avviare un processo di «rimescolamento della sinistra», di «aggregazione» o «unificazione» ma — come preciserà Adriano Sofri nella sua relazione al convegno del '75 — acquisire una «crescente conquista di un punto di vista del partito» da parte delle nuove avanguardie nel concreto dello sviluppo della lotta di massa. Permane quel pendolarismo fra «movimento» e «logica di partito» che offre il fianco alla permeabilità di Lotta continua ed è origine delle sue spregiudicatezze tattiche nei confronti della gruppettistica «istituzionalizzata». Mentre si assiste a quella che può considerarsi una vera mutazione genetica dell'estremismo, il pragmatismo e il movimentismo di Lotta continua, se sono le ragioni che impediscono il raggiungimento di un orientamento univoco del gruppo, sono contraddittoria-mente l'effimera condizione del suo continuare ad esistere.Nelle federazioni si stanno discutendo i materiali preparatori per il congresso nazionale, quando sospinto dalla brutalità degli eventi il dibattito ripiomba sui temi della lotta armata. Nel dicembre '73 le Br rapiscono Ettore Amerio, capo del personale del gruppo automobili della Fiat, passano a una più raffinata gestione «politica» dei sequestri.In polemica col Manifesto e con Avanguardia operaia, Lotta continua non accetta di «buttare via con l'acqua sporca del-l'avventurismo piccolo-borghese il problema vivo e serio della violenza proletaria»; pur ammettendo che nelle Br vi sono «deviazioni militaresche piccolo-borghesi» non ha alcuna esitazione: le Br sono «di sinistra» 58. Significativo il giudizio espresso dalla rivista «Controinformazione»: «fra i vari organi di stampa, solo "Lotta continua" mantiene una sua autonomia rispetto alle veline del Ministero degli Interni». L'analisi sviluppata sul quotidiano del gruppo finisce così, al di là delle volontà soggettive, con l'essere del tutto organica all'azione delle Br, ne rappresenta, si può dire, l'aspetto propagandistico legittimandone le finalità politiche all'interno dello scontro di classe che è in atto alla Fiat. In sintonia con le Br la ricostruzione della carriera di Amerio, tappe sincroniche con la repressione operaia della fabbrica, dei suoi legami con l'organizzazione sindacale di destra. Si enfatizza il ruolo dell'autonomia operaia quasi a spiegare il clima che giustifica un'azione che cinicamente rientra nell'assurdo schema di una violenta «giustizia proletaria». Le accuse all'avanguardismo dell'iniziativa terroristica, definita come una «pazzesca distanza dalla lotta di classe e dalle sue scadenze», e alle esasperazioni militaristiche si riducono alla polemica su due diverse risposte da dare al comune problema del movimento rivoluzionario della violenza proletaria 59. Alternandosi nella sequenza degli eventi varie componenti si agitano nel gruppo senza trovare una loro sintesi: le spinte verso la militarizzazione e il movimentismo convivono con i tentativi di approccio al partito.Nella prima metà del '74 l'attività di Lotta continua come per il Manifesto e Avanguardia operaia si incentra sulla campagna referendaria; il «No» si carica di una forte valenza anticapitalista. Il «No» del 12 maggio è un voto rosso scrive «II manifesto» 60 e dopo il risultato Luigi Pintor commenterà «un 18 aprile rovesciato» 61. Per «Lotta continua»: «La lotta di classe ha costruito la sua maggioranza. Questa maggioranza deve battere i suoi nemici anche con il voto» 62.Nel difficile contesto della campagna elettorale, mentre la De di Pantani e la destra agitano il più vetusto anticomunismo, scatta il primo dei «grandi» sequestri, obiettivo il giudice Mario Sossi. Il magistrato è arcinoto alla sinistra extraparlamentare, protagonista dal '72 delle principali inchieste sulla «pista rossa». Il suo nome è legato all'arresto dell'avvocato Lazagna nel '72, alle rumorose e spavalde affermazioni sull estremismo, agli avvisi di reato per Franca Rame e Darlo Fo per l'assistenza ai carcerati e infine alla sentenza pronunciata nel processo contro il gruppo 22 ottobre 63. Proseguendo nel suo pendolarismo, con un nuovo aggiustamento di linea, anche da parte di Lotta continua si leva una voce di condanna: «Questa azione ha uno squisito sapore di provocazione [...]. Si tratta di un personaggio scelto su misura per accreditare la tesi di un sequestro politico programmato e compiuto dalla sinistra» 64. Richiamandosi ai toni integralisti della campagna elettorale prosegue «che ad esso collaborino imprese firmate Br è un'aggravante di cui non si sentiva il bisogno a sinistra» ". Tuttavia la lettura complessiva della vicenda-sequestro è tesa a evidenziare il conflitto apertosi nell'apparato statale e nelle forze politiche, insiste sul concetto di un blocco dominante che puntando su una generale revisione autoritaria delle istutizioni persegue progetti d'ordine. Nel-l'intento di evidenziare contraddizioni dello Stato, anticipando l'atteggiamento che «Lotta continua» seguirà nel corso del sequestro Moro, il gruppo si dichiara per la linea della trattativa.Salutato il risultato del referendum come una vittoria anticapitalistica, espressione del potenziale rivoluzionario della società italiana, le successive elezioni regionali che si svolgono la settimana dopo in Sardegna segnano un radicale mutamento dell'atteggiamento astensionista del gruppo. Sviluppando ragionamenti già embrionalmente presenti nelle tesi, Lotta continua decide di votare per il Pci. Dalla gruppettistica un coro di critiche, nel dibattito fra Manifesto e Pdup la questione elettorale è ancora motivo di divergenze, il primo prudenzialmente cauto mentre il Pdup si era pronunciato sin dall'aprile per proprie liste; dissensi vengono dal Partito comunista (marxista-leninista) italiano che ha presentato proprie liste e durissimi i commenti dei trotskisti che denunciano la grave involuzione di Lotta continua. «Il manifesto» ironizza sulla «lotta interrotta». Avanguardia operaia giudica negativa la scelta, i trotstkisti dichiarano il gruppo «a rimorchio del Pci» 66; i radicali lo accusano di grave scorrettezza. Critiche che si aggiungono a una situazione già molto tesa nei rapporti dopo la decisione di Lotta continua di uscire dal comitato degli otto referendum e che riprendono polemiche già sviluppate all'indomani della pubblicazione delle tesi congressuali quando aveva dichiarato la propria disponibilità verso un presunto governo del Pci.In realtà per il gruppo di Sofri non si tratta di nessun avvicinamento al Pci, anzi si accentua il giudizio sul suo ruolo antirivoluzionario e da ciò deriva la strumentalità di dimostrare alle masse attraverso un governo del Pci, il suo carattere di «partito d'ordine» funzionale allo stesso disegno repressivo del grande capitale. Infatti mentre la parola d'ordine del «governo delle sinistre» esprime l'ipotesi di un necessario coinvolgimento della sinistra tradizionale «il Pci al governo» considera chiusa ogni speranza di «rifondazione» e vede nella soluzione istituzionale, la condizione vitale per una nuova opposizione rivoluzionaria 67.Dopo il referendum e le elezioni in Sardegna, le bombe di piazza della Loggia a Brescia. Il gruppo riprende con vigore la campagna per lo scioglimento del Msi a cui si affianca la lotta contro i decreti economici. Mentre sembra concretizzarsi il progetto di unificazione fra Pdup e Manifesto, Lotta continua attraversa un momento di isolamento. Intervenendo al congresso di scioglimento del Manifesto (12-14 luglio 1974) Guido Viale definisce la linea del gruppo di Magri «una concezione tecnicamente gradualistica ed eclettica, politicamente opportunista». Il leader di Lotta continua non risparmia critiche ad Avanguardia operaia e al dogmatismo dei marxisti-leninisti. Alla fine del '74 in tutto il paese esplode la «disobbedienza civile». Si entra in una nuova fase della pratica di lotta: esplode la questione del-l'autonomia. Dopo la lunga incubazione, a Roma dal 7 all'll gennaio del '75, si svolge il primo congresso nazionale di Lotta continua. Vi partecipano circa 1000 delegati eletti da 85 congressi provinciali, sono presenti osservatori del Pdup, Ao, Psi, Gioventù aclista, Firn, e fra le delegazioni estere rappresentanti del Mir, Mapu, Olp, organizzazioni inglesi, francesi e tedesche. Adriano Sofri svolge la relazione introduttiva e il dibattito si articola in cinque commissioni di lavoro: questioni internazionali, alleanze, scuola, questione femminile, questione dei ceti medi. Per la prima volta le strutture nazionali del gruppo, segno del processo di acquisizione organizzativo, si riuniscono per delega. Anche se non si è parlato di fondazione del partito o di nuova aggregazione il dibattito nei vari congressi federali ha insistito sulla esigenza di una ristrutturazione organizzativa e della necessità di ridefinire figure come militante, aderente, quadro, vari livelli di dirczione politica.L'appuntamento nazionale non scioglie le questioni fondamentali che sono di fronte al gruppo. La partitizzazione risulta una forzatura rispetto ali'eterogeneità delle presenze che sono confluite in Lotta continua, per alcuni settori rappresenta addirittura la negazione dell'esperienza del gruppo e la volontà di imprigionare dentro un sistema rigido la complessa realtà del movimento, le sue fluttuanti disponibilità e i suoi metamorfismi. Nonostante le intenzioni Lotta continua non si fa partito, anzi sempre più predominano le aree movimentiste, e si inaspriscono i momenti di rottura, anche violenta, con gli altri settori del gruppismo. Poco prima di subire il listone elettorale del 1976, Lucio Magri dirà di Lotta continua: «la linea di quella organizzazione è, rispetto alla nostra, e nella fase attuale, non solo diversa ma antagonista; e quella linea rappresenta, e continuerà a rappresentare, spinte reali quanto pericolose presenti nell'area rivoluzionaria e tali da compromettere l'esito dello scontro politico e sociale verso cui il movimento operaio si avvia...»68. Nelle sue conclusioni, al congresso, Adriano Sofri, al di là del trionfalismo di maniera, tenta di introdurre elementi autocritici rispetto alla presenza organizzata del gruppo e alla sua capacità di iniziativa, in particolare si sofferma sui rapporti fra sindacato e masse. «Il rapporto fra azione di massa e ricerca del recupero sindacale si è interrotto, radicalizzando l'impotenza politica e pratica delle istanze di base, e costringendo le avanguardie di massa della classe operaia a contare sulle proprie forze privandole di una dimensione generale di lotta...» 69.Non può risolvere la crisi del gruppo la spericolatezza della parola d'ordine delle «sinistra al governo», una tesi che porta Lotta continua a non riconoscersi nel cartello elettorale di Democrazia proletaria e invitare i suoi militanti a votare Pci sulle amministrative del 1975. La prospettiva del Pci al governo, ormai inarrestabile dopo la sconfitta De al referendum, comporterebbe nuove dinamiche sociali. Il revisionismo non sarebbe stato più in grado di contenere l'antagonismo operaio e di massa, aprendo così un vuoto politico che solo la sinistra rivoluzionaria avrebbe potuto colmare. Presentazione alle liste scolastiche, campagna per il Msi fuorilegge, voto al Pci, occasioni che servono per accelerare questa prospettiva. Ma il rocambolismo non piace. L'unica crisi che si accelera è quella di Le, solo ritardata dalla scaltra gestione della operazione «listone» del 1976.Un concorso decisivo alla crisi del gruppo viene dal femminismo. Lotta continua, come quasi tutta la nuova sinistra, ha rigettato ogni forma di separatismo. Su questo aspetto la prima rottura con le militanti del gruppo. Il 6 dicembre '75 a Roma, una manifestazione di massa delle donne è aggredita, si sfondano i cordoni gridando «il femminismo non è separatismo ma lotta di classe per il comunismo». Dura la reazione delle militanti che minacciano di dimettersi tutte dal gruppo e chiedono la sostituzione della segreteria romana. L'autocritica di Sofri serve solo a rimandare il conflitto che esploderà nel '76.Ma ormai nelle lotte sono alla ribalta i gruppi delTautono-mia. Il movimento sindacale discute animatamente come rispondere ali'offensiva sul terreno delle autoriduzioni e della «disubbidienza civile» 70. Intanto i militanti di Lotta continua, hanno ingrossato in modo massiccio le file dell'Autonomia, nel-l'azione pratica le differenze tendono a smarrirsi. Lotta continua risulta stretta fra due differenti processi: il modulo aggregativo del Pdup-Avanguardia operaia e il movimentismo sovversivo dell'Autonomia operaia, un concorrente pericoloso per un gruppo come Lotta continua costantemente proteso alla sperimentazione e allentasi della gestualità rivoluzionaria.
NOTE 1 G. Viale, «II sessantotto: tra rivoluzione e restaurazione», Mazzetta, 1978, pp. 213-214. 2 Troppo o troppo poco, «Lotta continua», n. 1, 22, novembre, 1969. 3 «Lotta continua», numero unico, 7 novembre 1969. 4 ibidem. 5 ibidem. 6 «Lotta continua», numero unico, 14 novembre 1969. 7 La rivoluzione culturale nelle fabbriche, «Lotta continua», numero unico, 7 novembre 1969. 8 «La strage di Stato - Dal golpe Borghese ali'incriminazione di Calabresi», Samonà-Savelli, 1970, p. 28. 9 A Trento risposta di massa alla polizia, «Lotta continua», n. 3, 6 dicembre 1969. 10 «Comunismo», n. 1, autunno 1970, p. 41. 11 «Lotta continua», numero unico, 1° novembre 1969. 12 «Lotta continua», numero unico, 7 novembre. 13 «Lotta continua», numero unico, 14 novembre 1969. 14 «Lotta continua», n. 1, 22 novembre 1969. 15 «Lotta continua», n. 2, 29 novembre 1969. 16 «Lotta continua», n. 3, 6 dicembre 1969. 17«Lotta continua», n. 4, 13 dicembre 1969. 18 Cfr. «Giovane critica», n. 25, inverno 1971. 19 Gli atti del Convegno sono pubblicati in «Comunismo» materiali di lavoro a cura di Lotta continua, n. 1, autunno 1970. 20 Cfr.: G. Viale, «S'avanza uno strano soldato», Edizioni di Lotta continua, 1973, pp. 104-117. 21 «Comunismo» n. 1, autunno 1970, p. 39. 22 «Lotta continua», n. 19 ,30 ottobre 1970. 23 «Sinistra proletaria», rivista 1/2, settembre 1970. 24 «Lotta continua», 11 dicembre 1970. 25 Foglio di lotta di Sinistra proletaria, 21 novembre 1970, in Soccorso Rosso, «Brigate rosse. Che cosa hanno fatto, che cosa hanno detto che cosa se ne è detto», Feltrinelli, 1976, p. 67. 26 S. Levi - L. Manconi, Ripresa della lotta studentesca a Milano - da viale Tibaldi a città Studi, «Quaderni piacentini», n. 44/45, ottobre 1971. 27ibidem. 28 Documento ciclostilato per uso interno all'organizzazione, distribuito nel marzo 1972. 29 «Lotta continua», 28 gennaio 1971. 30 Foglio di Lotta di Sinistra proletaria, 28 ottobre 1970. 31 Cfr. Leopoldo l'incendiario, «Lotta continua», n. 3, 17 febbraio 1971. 32 Rapporto sullo squadrismo pubblicato su «Lotta continua» sui numeri 18, 21 del 1970 e sui numeri 2, 6 del 1971; «Lotta continua del 17 febbraio '71 fa un lungo elenco di militanti arrestati e sotto processo. 33 «Lotta continua», n. 10, 11 giugno 1971. 34 Cfr.: Soccorso Rosso, Brigate rosse, cit., p. 115. 35 «Processo Valpreda», quotidiano 10 marzo 1972. 36 «Processo Valpreda», quotidiano a cura di Lotta continua, 21 marzo 1972. 37 T. Barbato, «II terrorismo in Italia», Editrice Bibliografica, 1980, p. 203. 38 «Autonomia operaia», Savelli, 1976, p. 25. 39 Cfr.: Gli operai, le lotte, l'organizzazione, Analisi, materiali e documenti sulla lotta di classe nel 1973, (materiali per la formazione politica a cura della Commissione nazionale scuole quadri di Lotta continua), Edizioni Lotta continua. 40 Cfr.: A. Silj, «Mai più senza fucile! alle origini dei Nap e delle Br», Vallecchi, 1977, p. 126. 41 Cfr.: ibidem, p. 121. 42 ibidem. 43 «Potere operaio» del lunedì, n. 61, 16 luglio '73. 44 A. Silj, «Mai più senza fucile!», cit, p. 127. 45 ibidem, p. 128. 46 Cfr.: G. Viale, «il sessantotto», cit., p. 244. 47 «Lotta continua», 9 febbraio 1973. 48 Provocazione di stato contro Lotta continua, «Lotta continua», 6 febbraio 1973. 49 I giovani socialisti, il Pci e gli estremisti, «Lotta continua», 4 maggio 1973. 50 Sulla polemica Imbeni «Lotta Continua», cfr. Diario Extraparlamentare «L Espresso», maggio 1973. 51 «Lotta continua», 22 febbraio 1973. 52 «Lotta continua», 24 febbraio 1973. 53 «Lotta continua», 18 febbraio 1973. 54 G. Viale, «II sessantotto», cit., p. 244. 55 «Lotta continua», 1971. 56 Le tesi. Edizioni di Lotta continua, 1975, ora in «La sinistra rivoluzionaria in Italia», Savelli, 1976, p. 103. 57ibidem. 58 «Lotta continua», 18 dicembre 1973. 59 Cfr.: «Lotta continua», 11 dicembre 1973 e 18 dicembre 1973. 60 «II manifesto», 12 aprile 1974. 61 «II manifesto», 14 maggio 1974. 62 «Lotta continua», 12 maggio 1974. 63 Cfr.: Ilcomunicato n. 1 delle BR diffuso il 19 aprile 1974. 64II caso Sassi e la campagna elettorale di ordine, «Lotta continua», 28 aprile 1974. 65Referendum a che punto siamo, «Lotta continua», 28 aprile 1974. 66 Cfr.: P. Mieli, «Una cura di voti ultrarossi», «L'Espresso», 2 giugno 1974 e Lotta continua? lo dice lei, «L'Espresso», 16 giugno 1974. 67 R. Rossanda, Sinistre al governo, «II manifesto», giugno 1974. 68 «II manifesto», 28 aprile 1976. 69 Concluso il congresso nazionale, «Lotta continua», 14 gennaio 1975. 70 G. Invernizzi, Allora io non pago, «L'Espresso», 29 settembre 1974.
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