XI AVANGUARDIA OPERAIA |
1. Unificare le avanguardie rivoluzionarie
Alla fine del '69, dopo le lotte contrattuali, sia l'emmelli-smo che l'operaismo attraversano una profonda crisi di indentila; incapaci di esprimere una dirczione politica credibile, non hanno offerto all'insieme dell'estremismo una teoria e una pratica unificanti, i rispettivi schemi interpretativi si sono dimostrati inadeguati a comprendere la fase politica e le proposte avanzate non hanno corrisposto allo sviluppo delle lotte. La realtà delle lotte non si è modellata ne sul vetero idealismo dei marxisti-leninisti, ne sul ribellismo economicistico; il superamento di questa strettoia è il principale presupposto della nascita di Avanguardia operaia. Come primo passo in questa dirczione, è necessario sottoporre a verifica critica le teorie e le esperienze dei gruppi già esistenti, nasce da questa esigenza la tendenza del gruppo a storicizzare la formazione delle nuove avanguardie, a indagare sulle ragioni del revisionismo, a capire i processi del movimento studentesco e i fallimenti del primo minoritarismo. L'ambizioso obiettivo di Avanguardia operaia è arrivare a una «fondazione teorica» capace di dar vita, attraverso la necessaria battaglia politica, a un' aggregazione delle varie esperienze e coagulare attorno a sé le «avanguardie rivoluzionarie». Occorre sistematizzare il groviglio di motivi antirevisionisti ormai largamente acquisiti, e gettare le premesse per una metodologia d'intervento e per una proposta razionalizzante rispetto al con-fusionarismo della fase, conseguenza di una sconfitta che sollecita nei militanti un bisogno di maggiore politicità. In questo passaggio si spiega il significato del primo pedagogismo che impronta l'attività pratico-teorica del gruppo. Retroterra del nucleo costitutivo di Avanguardia operaia: l'entrismo nella Fgci e nel Pci, il lavoro condotto nei comitati di base delle fabbriche milanesi e dell'area settentrionale. Fra i promotori della nuova formazione: Massimo Gorla, Stefano Semenzaio, Luigi Vinci, Silvana Barbieri, Luigi Bello e Silverio Corvisieri, quest'ultimo già direttore del settimanale «la Sinistra». Luigi Vinci ricostruendo la nascita del gruppo afferma: «Non e è una data di nascita precisa di Ao. Formalmente si è costituita nel '68, o un attimo prima sul finire del '67 [...]. Ma per quanto riguarda la formazione di una parte del nucleo iniziale dei quadri milanesi, bisogna tornare molto indietro, bisogna risalire alle vicende del Pci, qui a Milano, di 4 o 5 anni prima. C e da rifare, in sostanza, la storia di un gruppo di sinistra interno al Pci milanese» 1. Quadri politici che sin dal '62 assumono una posizione critica rispetto al Pci, subiscono le suggestioni guevariste, partecipano alla costruzione del gruppo milanese Falce e martello, entrano in rapporto con la Quarta internazionale e guardano alla rivoluzione culturale cinese. Esperienze politiche che influenzeranno molto «l'amalgama di giovani del movimento studentesco, dei quadri operai dei Cub, e di quadri provenienti da battaglie di sinistra anche lunghe nel Pci» che li spingerà ad ambire un ruolo nazionale 2, dimensione mai raggiunta sul piano della capacità di insediamento e presenza politica. L'organizzazione comunista Avanguardia operaia si presenta nazionalmente con il documento Per il rilancio di una polìtica di classe. Con una punta di orgoglio e con l'evidente scopo di accattivarsi le simpatie di cani sciolti e militanti di gruppi e gruppetti afferma di essere composta per lo più di quadri operai e di elaborare la propria proposta «alla luce di concrete esperienze precedenti o tuttora in atto e in sviluppo (Siemens, Carsico, Sip, Pirelli ecc.) dai contenuti non dissimili» 3. A partire dal dicembre '68, lo strumento fondamentale per portare avanti il lavoro di «studio e di ricerca» è l'omonima rivista a cui si affianca la pubblicazione dei «Quaderni di avanguardia operaia». Il primo «Quaderno» intenzionalmente affronterà l'esperienza di Lenin dai gruppi al partito 4. Nel clima, pieno di retorica, di quegli anni si vuole proporre una sorta di similitudine e, attraverso la ricostruzione storica della nascita del gruppismo, oggettivare la possibilità di dar vita a una «nuova aggregazione rivoluzionaria» che abbia come premesse teoriche l'elaborazione di Avanguardia operaia. Così Luigi Vinci argomenta le peculiarità teoriche del gruppo originario: «... la lettura marxista di Marx, leninista e marxista di Lenin (quindi rompendo non solo con la lettura togliattiana, ma con quella staliniana); il recupero, quindi degli aspetti fondamentali del leninismo, sulla questione dello Stato, del partito, dell'imperialismo, sull'attualità della rivoluzione proletaria; la lettura gramsciana e leninista di Gramsci...» 5 a cui aggiunge un'approccio a Trot-skij considerato «leninista ortodosso» e una «lettura maoista e leninista» di Mao. Un insieme di culture politiche traguardate nella prospettiva di un «recupero di una analisi rivoluzionaria dello Stato in occidente» e che, almeno nelle intenzioni, cercano di superare i limiti dell'esperienza della sinistra socialista e dei «Quaderni rossi». Nella sua analisi storica, in coerenza con l'esperienza dei suoi principali protagonisti, il gruppo fa risalire l'origine della «sinistra rivoluzionaria» al «revisionismo» del Pci, e più esattamente alla sua trasformazione da partito revisionista stalinista a partito revisionista socialdemocratico. I processi politici e sociali degli anni sessanta danno un nuovo impulso alle lotte e ali'aggregazione di un'opposizione al sistema, un contesto che muta la collocazione della «sinistra storica» (bordighiani, IV Internazionale, Azione comunista), una contestazione rimasta fino ad allora totalmente inglobata nel Pci con l'eccezione di qualche illusione rivoluzionaria nella milizia all'interno del sindacato. Nella formazione del centro-sinistra le premesse del dissenso: lo sviluppo capitalistico richiede al «sistema» l'assunzione di nuovi «strumenti di razionalizzazione», un progetto capitalistico a cui si piega il Pci e il movimento sindacale e la loro linea poli tica diventa un freno ali'estensione delle lotte operaie alla mobilitazione di strati «piccoli-borghesi radicalizzati» 6. All'inizio degli anni sessanta, con il «rilancio della lotta di classe in Italia», si realizzano le premesse politiche per la formazione delle «nuove avanguardie» e le condizioni della «riscossa operaia». Esplode la contraddizione fra classe operaia, partito comunista e sindacato: «una responsabilità del "partito revisionista" che, facendo leva sulla sua egemonia complessiva sulla classe operaia, portò avanti, sia direttamente che attraverso la Cgil, una linea tesa a spegnere ogni combattività e a chiudere a ogni sbocco rivoluzionario» 7. Al vuoto di dirczione «rivoluzionaria» corrisponde l'estensione di avanguardie «antirevisioni-ste» sottratte all'egemonia dei partiti della sinistra storica e del sindacato, tuttavia ancora non si sono tagliati tutti i ponti, e i quadri «più attivi» come strumento di pressione scelgono la milizia nel sindacato giudicandolo, nella transizione, uno strumento ancora utile per una battaglia rivoluzionaria. Uno spostamento che fa perdere capacità di iniziativa alle strutture del Partito comunista in fabbrica, sempre più sclerotizzate nella loro routine burocratica; mentre il sindacato si rivitalizza aprendo spazi «antirevisionistici» e offrendosi come occasione concreta per costruire la nuova opposizione di sinistra 8. I forsennati attacchi dei governi centristi, accreditano questa visione del sindacato e in particolare della Cgil, ma l'impossibilità di incidere sulla linea del Pci fa desistere da ogni ipotesi entrista e nella seconda metà degli anni sessanta determina una netta rottura col sindacato; un chiarimento che ha un fòrte «significato politico antirevisionista». Pur manifestando una disponibilità all'analisi delle forze politiche anche per Avanguardia operaia: potere, capitalismo, partiti, diventano categorie metastoriche e tutto il processo politico è rappresentato come la dialettica fra inespresse potenzialità rivoluzionarie e cedimenti «revisionisti». Tuttavia la chiave interpretativa, sia pure nella sua schematicità, corrisponde alle ragioni soggettive che portano una generazione di militanti a collocarsi in modo antagonista al Pci e al sindacato: «II proletariato giovane si pone così in un rapporto sostanzialmente sole di adesione generica "d'opinione" verso la struttura e l'attivita del movimento operaio organizzato. Questa posizione di estraneità ideologica e di adesione politica generica al movimento operaio permette, è vero, una maggiore mobilità ed una tendenza più forte alla autorganizzazione, ma va pur sempre vista come una condizione di relativa inesperienza politica e ideologica» ". Ne conseguono atteggiamenti diversi di fronte alle lotte, al significato della democrazia, uno sfocamento della stessa «autorevolezza» dell'organizzazione in quanto tale; si tenta la strada del sindacato come «strumento di radicalizzazione» delle lotte economiche e per far assumere ad esse i connotati della lotta politica. In questo contesto, in una contraddittoria acquisizione di una coscienza politica si forma quel tipo di «militante» che sarà decisivo per la nascita delle «nuove avanguardie». Le correzioni della Cgil nel corso degli anni '60, l'interven-to di fronte alla programmazione, la volontà di avviare un processo verticistico di unificazione sindacale, fanno cadere le ingenue speranze: nella sinistra organizzata ha vinto la linea della collaborazione. Si produce una progressiva, ma inesorabile, perdita di credibilità del Partito comunista e della sua linea, una crisi acutizzata dai problemi del movimento operaio internazionale, e in particolare, dalla rottura intervenuta fra i due grandi paesi socialisti, la Cina e l'Urss. Perso ogni riferimento internazionale, il partito comunista non rappresenta più un legame ideale con il «blocco socialista mondiale» e sempre più le giovani generazioni, sia operaie che studentesche, rompono ogni legame «sentimentale» acritico e fiduciario con il «grande partite della classe operarla». Altre sono le loro esigenze; chiedono nuovi punti di riferimento e nuove sperimentazioni politiche e culturali. Un distacco dalla linea del Pci più facile per i «piccoli borghesi radicalizzati», mentre resta più difficile per il proletariato spezzare il rapporto con il «grande partito» e con le organizzazioni sindacali. Nella ricostruzione storica della «nuova sinistra», Avanguardia operaia polemizza con le altre formazioni; alla ricerca di una sua identità, attacca il dogmatismo del Pcd'I, l'idealismo moralistico dell'Unione, l'operaismo di Potere operaio, lo spontaneismo di Lotta continua, l'eclettismo del Manifesto. La strada scelta è superare la frantumazione, andare oltre l'esperienza del gruppismo. Tuttavia questa esigenza rimarrà a livello di un' intenzione, di un piano di lavoro, e il gruppo stesso non sarà esente dai limiti, dalle ambiguità e dagli impacci dogmatici criticati nelle altre formazioni. Negli articoli dedicati ai vari gruppi, una radiografìa che, al di là della tendenziosità, offre molti spunti di riflessione purtroppo non sufficientemente sviluppati nel futuro, si rappresentano dall'interno le divisioni presenti nell'area dell'estremismo: i segni di dibattiti laceranti, le ragioni dell'impraticabilità di dialogo fra esperienze tanto diverse fra loro, le frantumazioni, la logica settaria del gruppismo; la ricostruzione di una geografia politico-culturale non riducibile alla categoria di «minoritarismo» 10.
2. La visione politica generale
II primo numero della rivista esce nel dicembre '68, andrà avanti per 27 numeri, sostituita poi da «Politica comunista» a cui si affianca il «II quotidiano dei lavoratori». La Prefazione spiega le ragioni che hanno portato alla decisione di «darsi la struttura di gruppo»; una decisione che — si precisa — non va intesa come chiusura settaria. A conferma di ciò e rappresentando la dirczione in cui si vuole lavorare gli ampi articoli dedicati ai Comitati unitari di base della Pirelli Bicocca e delPAtm, i documenti sulle agitazioni della Sip-Stipel e delle Commissioni operaie del movimento studentesco milanese. Con il secondo numero, maggio '69, si supera ogni ambito locale, si comunica l'unifìcazione del gruppo milanese con il circolo Lenin di Me-stre e del circolo Rosa Luxemburg di Venezia. Fra le tappe fondamentali della prima espansione di Avanguardia operaia vanno ricordate: nell'estate del '70, la fusione con la stragrande maggioranza del circolo Karl Marx di Perugia; con il circolo Lenin di Umbertide; con il circolo Lenin di Foligno; nel settembre-ottobre '70 l'unifìcazione con Sinistra leninista di Roma; nel gennaio '72, con Unità proletaria di Verona. Sin dai primi documenti il gruppo concepisce il processo aggregativo come valorizzazione delle esperienze locali e settoriali, considerate essenziali per stabilire un rapporto reale fra avanguardie e masse purché «inserite» nel progetto di costruzione del partito rivoluzionario, condizione — questa — per arrivare a produrre un confronto, un'analisi e un intervento comune, per avere una «visione politica generale». Il vuoto politico apertosi con la crisi del movimento operaio organizzato va colmato da un' organizzazione nazionale che sappia unificare l'arco delle forze rivoluzionarie: è stato questo l'obiettivo mancato dei gruppi, incapaci di superare le loro divisioni. Il riferimento a Lenin, operato con forzature libresche e rigidità dogmatiche, non serve a liberare il gruppo dalla perenne contraddizione fra l'esigenza del partito e la segmentazione degli interventi, una bipolarità che si trascina nella costruzione della sua rete organizzativa fino alle convergenze con l'area Miniati nell'esperienza di Democrazia proletaria. Consapevole che «un partito non si crea dal nulla», ma ha bisogno di un lungo processo costruito per tappe successive, il gruppo non compie l'atto volontaristico di fondare il partito, si limita ad autodefi-nirsi un «gruppo politico» che si è dato una dimensione di intervento nazionale. Rispetto all'Unione, ormai sconvolta dalla crisi, Avanguardia operaia si presenta meno dogmatica e moralista, ne rifiuta lo stalinismo e il marxismo ideologizzante, anche se lo spirito avanguardista da «gruppo dirigente» e alcuni moduli organizzativi suggeriscono qualche similitudine. Dal Manifesto, anche se critica la sua vocazione all'eclettismo e le incertezze verso il «revisionismo», riprende la volontà di discutere e di confronto. La rivista concentra l'attenzione sugli elementi che caratterizzano la fase politica che considera contrassegnata da una crisi di regime al cui superamento sono impegnati, in una logica convergente, «borghesia» e «revisionismo». «Ordine, stabilità, efficienza», a questo trinomio lavora la borghesia imperialista, l'inserimento del Pci nell'area governativa come regolatore e nor-malizzatore di conflitti sociali, è organico a questo disegno: è su questo punto che si è spaccato il partito socialista. È su questo punto che Moro ha capovolto la sua vecchia impostazione e ha posto la sua candidatura a leader della grande coalizione italiana u. La partita, tuttavia, è ancora aperta; permane la contraddizione fondamentale del Pci: il divario fra la linea portata avanti e il suo rapporto con le masse e con le lotte, su questa contraddizione bisogna agire per contrastare il neoriformi-smo del patto sociale. Nel corso delle lotte, per Avanguardia operaia, i comitati unitari di base hanno saputo inserirsi nello scontro fra avventurismo estremistico e codismo del sindacato, dimostrando così l'efficacia di forme organizzative capaci di guardare oltre «la lotta per la lotta» e i «vaneggiamenti dell' autonomia operaia». La sperimentazione e la pratica dei comitati di fabbrica diventano, quindi, la premessa indispensabile per la costruzione di un nuovo partito rivoluzionario. Cercando di conciliare tesi da «doppio potere» e governo delle spinte settoriali, nella prospettiva di un partito in divenire, i comitati di base debbono diventare «organismi di massa» con un loro autonomo sviluppo organizzativo dentro e fuori la fabbrica «recependo in questo modo tutte le esigenze reali e le sollecitazioni dei lavoratori al fine di poterle trasformare in un' organica piattaforma politica che li mantenga costantemente alla testa delle lotte» ". Una separazione fra partito e movimento che non è frutto solo di dogmatismo ma esprime la contraddizione fra la presunzione a divenire partito del nucleo promotore e la limitatezza del proprio campo di intervento, che tuttavia si pretende di orientare verso una «politica generale». Nella fase di avvio, con un'astratta rigidità organizzativa, il gruppo prefigura due livelli di militanza: i «quadri», selezionati attraverso un vero e proprio esame ideologico-politico e secondo la prassi della candidatura; i militanti degli organismi di massa, da cui si recluta al partito. Il modello organizzativo, mutuato dai principi maoisti, è quello del «fronte unito»; ma rispetto all'Unione, il processo si rovescia, mentre per il gruppo emmellista, si procede dal centro verso la formazione dei vari raggruppamenti del Fronte unito, per Avanguardia operaia, almeno sul piano teorico, è il contrario; inoltre puntando sulle varie specificità si accentua il carattere autonomo dei diversi settori di intervento, prefigurando per ognuno di essi l'ipotesi di un coordinamento nazionale. In realtà la vita del gruppo è più fluida delle affermazioni di principio e proprio l'irrigidi-mento organizzativo, che seguirà al congresso del '74, sarà una delle cause del precipitare dello scontro interno. A partire dai comitati unitari di base, i diversi organismi di massa, quelli pre-esistenti che vanno coordinati e quelli che volta per volta si inventano, sono i punti di forza del primo sviluppo organizzativo e d'iniziativa del gruppo. Progressivamente, Avanguardia operaia, a fronte di irrisolte ambivalenze, frutto di questa dialettizzazione fra teoria del partito e dinamiche sociali, offuscherà questa originaria impostazione a vantaggio di un modello partitico più rigido, un passaggio che muterà radicalmente la fisionomia del gruppo. La tendenza a semplificare le contraddizioni nel burocraticismo organizzativo lo esporrà a scossoni e perturbazioni, nel complesso la sua esperienza si distinguerà dalle frange più oltranziste dell'estremismo facendolo avvicinare sempre di più all'area del Pdup-Manifesto da cui si differenzierà insieme ai collettivi di Democrazia proletaria, per la ricerca affannosa di una propria identità antirevisionista. Faciliterà questa convergenza la tendenza a identificare lotta economica e lotta politica. Sin dalle sue origini infatti. Avanguardia operaia, nel suo assemblaggio teorico, con un' accentuazione di stampo economicista delle tesi del «doppio potere», tenta una spuria combinazione fra democrazia consiliare e rigidità terzinternazionalista. I comitati unitari nelle fabbriche, nelle scuole, i collettivi comunisti nei quartieri, diventano la forma di «democrazia proletaria» da contrapporre alle organizzazioni tradizionali della classe operaia, l'alternativa al sindacato e alle sue forme rappresentative, i germi del nuovo «potere» contrapposto al sistema della borghesia. La crisi di regime prodottasi dopo l'esplosione delle lotte contrattuali, per Avanguardia operaia accentua la gravita della crisi che attraversa il gruppismo e impone a tutto il movimento rivoluzionario di «costruire una dirczione politica non avventuristica, burocratica o settaria, ma una dirczione che sia la reale espressione diretta delle masse in lotta, che le masse stesse nel corso della dura e diffìcile battaglia per la riconquista della loro autonomia dai padroni e dai revisionisti riconoscano come vero e necessario punto di riferimento» ". La critica è mossa sia ai gruppi marxisti-leninisti che alle posizioni di Potere operaio e Lotta continua; mentre il sindacato è accusato di un «estremismo verboso» che nasconde la sostanziale incapacità di uscire dalla contraddizione fra la spinta crescente delle lotte operaie e 1' «impossibilità strutturale» dell'apparato capitalistico di risolvere le nuove esigenze sociali e di partecipazione. Polemizzando con Potere operaio e Lotta continua non si tratta di una «corsa al rialzo col sindacato» ma, insiste Avanguardia operaia, per egemonizzare le «lotte in chiave antirevisionista ci vuole una organica piattaforma politica».
3. Tra i comitati di base e partito
Al momento della sua costituzione come gruppo nazionale, Avanguardia operaia, quasi a giustificarsi della maggiore attenzione prestata ai fatti politici e all'analisi delle forze in campo, accentua forzosamente i toni antirevisionisti e antisindacali. Non si può avere dialogo col «vecchio», tutto si gioca guardando al campo rivoluzionario e alle sue enormi possibilità. Nelle sue piattaforme: aumenti uguali per tutti, lotte al cottimo, unificazione operai-impiegati, orario di lavoro, nocivi-tà; nuovi strumenti e metodi lotta: rifiuto della delega, rifiuto di manifestazioni «processioni pacifiche» o «parate dimostrative» bensì manifestazioni capaci di porre obiettivi e ottenere risultati. La prima delusione verrà dai comitati unitari di base, sono stati presentati con grande enfasi, anello di raccordo fra il futuro partito e le esigenze delle masse, su cui si modula la prima centralizzazione del gruppo, ma da essi non verranno i risultati sperati, non produrranno l'auspicata piattaforma politica solo in alcuni casi si riconosceranno nel gruppo. Ne seguirà, dopo il tentativo di integrazione del convegno milanese del giugno '72, una maggiore cautela e un progressivo moderatismo di posizioni, mentre nell'infuriare dei primi germi della lotta armata aumentano le distanze dai settori più oltranzisti dell'estremismo. Avanguardia operaia al suo sorgere si confronta e, per qualche verso, fa sua l'esperienza dei comitati di base. Paradossalmente non e' era nella cultura dei fondatori del gruppo nulla che portasse ai comitati di base e tuttavia proprio attraverso un «rapporto stretto Ao-Cub» prende vita una istanza partitica e Avanguardia operaia si incontra con altre realtà territoriali ed estende la sua presenza geografica 14. Sembra meno «revisionista» del Manifesto, cerca di offrire una risposta al bisogno di conoscenza e di politica, attrae con l'intensa produzione di materiali critici dando l'impressione di voler fondare una «teoria» per uscire dall'ideologismo e dal ribellismo. In polemica con gli spontaneisti di ogni tipo. Avanguardia operaia si sente gruppo e vede nei comitati di base, in cui operano le sue cellule, il germe futuro del nuovo sindacato rivoluzionario, «riconquistato» al ruolo di «scuola di comunismo». I comitati unitari diventano una figura pluridirezionale: attraverso i militanti del futuro partito tendono a garantire l'abbattimento della divisione fra partito e sindacato; mentre visti nel rapporto con le masse possono funzionare come sede di reclutamento e configurarsi come «sindacati rossi», contrastando l'esclusivismo del sindacato tradizionale. Avanguardia operaia con il suo peda-gogismo da «organizzazione politica» apre un incessante polemica con gli altri gruppi, ne contesta l'avventurismo, l'assem-blearismo, cerca di trovare un linea e vuole farsi partito. Mosca cocchiera del gruppismo tende a lavorare criticamente sulla sua crisi. Dopo le elezioni regionali del giugno '70, tenta un «bilancio sui problemi di organizzazione» 15. Le lotte del 68-69 hanno fatto sentire l'impotenza delle forze rivoluzionarie, è mancato il partito rivoluzionario, un'assenza che ha consentito ai «revisionisti moderni, al padronato di passare alla controffensiva nei confronti delle forze rivoluzionarie». Avanguardia operaia si assume il merito di aver previsto la conferma del consenso ai sindacati, la crisi di un gruppismo privo di una scientifica analisi della realtà, ma anche l'apertura di importanti spazi di iniziativa per «i rivoluzionari in possesso di una corretta linea politica». Da ciò la consapevolezza: «che Ao avendo davanti a sé una rappresentazione realistica della situazione, avrebbe sicuramente resistito alla controffensiva revisionista in una prima fase e sarebbe poi passata ad un significativo sviluppo della sua organizzazione e della sua influenza non appena fossero cominciate a manifestarsi le contraddizioni implicite nell'operazione dei revisionisti» 16. Ci sono le condizioni del partito, certo non si tratta di un processo senza difficoltà ma, aggiunge Avanguardia operaia, «non pare credibile un periodo di lunga macerazione teorica». Secondo i teorici del gruppo, tré elementi caratterizzano il dopo autunno: l'irreversibile crisi dei gruppi spontaneisti e dogmatici, a cui si aggiunge, fatte salve le situazioni di Milano e di Napoli, la paralisi del movimento studentesco; l'ipotesi centrista e federativa del Manifesto; lo sviluppo di Avanguardia operaia e dei suoi collegamenti. Caduta l'ipotesi di unirsi ad altre formazioni in una comune organizzazione marxista-leninista, ipotesi resa ancora più complessa dal disegno federativo del Manifesto e dalle suggestioni entriste del movimento studentesco di Mario Capanna, si guarda con eccessiva fiducia al proprio stato organizzativo. Il consolidarsi dei due centri di Milano e Venezia, a cui si è aggiunta la sezione di Roma, ha dato i primi risultati: l'organizzazione si è rafforzata e le manifestazioni del 25 aprile e del 1° maggio sono esaltate come testimonianza concreta dell'influenza esercitata nei confronti del movimento. Secondo il bilancio tracciato, si calcola che 400-500 fra militanti e simpatizzanti partecipano ai gruppi di studio promossi a Milano; si giudica positivo il passaggio dalla struttura in comitato direttivo, assemblea, gruppi di intervento (un residuato delle forme organizzative del movimento) a quella in comitato direttivo, assemblea dei delegati di cellula, cellule, un assetto che anticipa il modellarsi in partito. Nella prospettiva immediata si fissano gli obiettivi priori-tari: consolidamento organizzativo, propanganda della propria linea, integrazione con gli altri gruppi, lavoro di studio e di elaborazione. E in questa fase che si decide di affiancare al giornale i «Quaderni di Avanguardia operaia», una collana che avrà un certo successo. Fra i principali numeri vanno ricordati: La concezione del partito in Lenin (dai gruppi al partito 1895-1912); Lotta di classe nella scuola e movimento studentesco; II revisionismo del Pci, origini e sviluppo; I Cub, tré anni di lotte e di esperienza. Attraverso tappe successive e dopo il convegno di unificazione dei comitati di base (Milano 3-4 giugno '72) a cui contribuiscono attivamente il Centro di coordinamento campano, il Collettivo Lenin di Torino, la Sinistra operaia di Cagliari, Avanguardia operaia arriva al suo primo congresso di fondazione. Secondo le cifre fornite dal gruppo, può contare su 18 mila aderenti, la maggioranza è concentrata al Nord. Accanto alle fabbriche, che rimangono il suo punto di forza, l'intervento si orienta verso: la scuola, il lavoro nei quartieri, il Meridione, le battaglie antimperialiste ". Come si è visto Avanguardia operaia sin dalla sua costituzione cerca una sua collocazione originale rispetto all'estremi-smo, un tentativo annunciato che si scontrerà con la difficoltà a definire la propria identità. Nella fase acuta della strategia della tensione, le polemiche e le differenziazioni si intensificano: Avanguardia operaia è violentemente accusata di non distinguersi dall'iniziativa del «revisionismo» e di finire oggettiva-mente col prestarsi ai suoi disegni. Alla radice del dissenso non vi è solo l'avventurismo delle proposte di Potere operaio e Lotta continua, con il loro progressivo schierarsi a fianco dei feno-menti di lotta armata; ciò che divide è: il giudizio sulla crisi italiana. Per Avanguardia operaia infatti, la crisi non assume quei toni di catastrofismo che caratterizzano le altre due formazioni ma si tratta di: «una crisi che sembra destinata a prolungarsi nel tempo aggravandosi fino a quando si avrà un salto di qualità nelle contraddizioni interne e internazionali. L'economia italiana ha imboccato un ampio e profondo processo di ristrutturazione che avrà durata non breve». Da questi presupposti, nel convegno nazionale del '73, il gruppo approderà a quella che definirà «la lotta rivoluzionaria per le riforme».
4. Contro l'avventurismo
La lotta contro l'avventurismo si intreccia alla serrata polemica con la scelta di «Servire il popolo» e del Manifesto di presentarsi con proprie liste alle elezioni politiche del maggio '72. E un periodo difficile per tutto l'insieme della nuova sinistra. Il sovversivismo di Stato si alterna al sovversivismo di una piazza agitata dallo squadrismo di destra e dalla pratica del colpo su colpo dell' «antifascismo militante». Mentre la paura del golpe inquieta e al tempo stesso esalta il mito ribellistico. Nonostante le posizioni assunte a più riprese contro lo spontaneismo, a ulteriore riprova delle sue contraddizioni e della costante paura dell'isolamento. Avanguardia operaia si associa a Potere operaio e Lotta continua nel giudizio sull'll marzo a Milano. La rivista del gruppo, nell'intento di dimostrare che «la manifestazione non era isolata ne sul suo significato politico, ne sulla sua rispondenza fra le masse», pubblica una dura presa di posizione dei delegati di 45 fabbriche milanesi, attacca le posizioni del Pci e del sindacato giudicandole acquiescenti di fronte al disegno della borghesia di realizzare attraverso la repressione «uno stato forte» 18. AU'indomani della morte delleditore Feltrinelli, l'analisi e il giudizio del gruppo sono un groviglio di ambiguità. Col solito pedagogismo si ricorre a Marx e a Lenin per criticare tutte quelle forme di violenza che non corrispondono alle esigenze delle masse, ma questa critica non dimentica che «la violenza proletaria è un metodo di lotta generale [...] Dal picchetto per bloccare i crumiri fino all'insurrezione e, soprattutto all'instau-razione della dittatura proletaria nel periodo di transizione e, quando è necessario, del terrore rosso». Un riconoscimento strategico che consente solo una timida presa di distanza dalle far-neticazioni insurrezionali. «Ad esempio oggi è violenza proletaria quella che punta sull'autodifesa militante delle manifestazioni, delle lotte, delle organizzazioni. Abbiamo detto auto-difesa: di fronte all'offensiva borghese che mira a soffocare le forze rivoluzionarie prima della loro maturazione a partito marxista-leninista, non si può e non si deve parlare ne il linguaggio opportunista di chi è pronto a piegare subito la schiena, ne quella avventuristica che farneticava di lotta armata o addirittura di insurrezione» 19. La linea dell'«omicidio in famiglia», porta Avanguardia operaia a polemizzare con le coperture e i riconoscimenti di Potere operaio e Lotta continua alla lotta armata. Più o meno consapevolmente, non si vuole ammettere che 1 estremismo è cambiato, non si va a fondo nella critica e la tesi del complotto come spiegazione della spirale terroristica non consente di comprendere la fase che si è aperta. Peraltro è diffìcile distinguere fra il limite dell'analisi e 1 opportunistica paura di isolarsi dalla nebulosa del campo «rivoluzionario». Conferma lo sbandamento il testo del volantino nazionale distribuito il 20 maggio, dopo l'assassinio del commissario Calabresi: «Chi era Calabresi? Un poliziotto su cui ricade la responsabilità maggiore dell'assassinio di Pinelli, un persecutore di compagni, con tutta probabilità un agente di servizi segreti (è stato tra i primi ad accorrere sotto il traliccio di Segrate ed ha lavorato "gomito a gomito" con Viola nelle indagini contro la sinistra rivoluzionaria). Da piccolo era andato a scuola dai frati e aveva militato nell'azione cattolica clerico-fascista (con incarico di controllo sulla cassa). Poi aveva scritto sul giornale saragattiano e filoamericano "La Giustizia". Poi era diventato poliziotto ed era stato incaricato spesso di «missioni speciali» con grossi personaggi americani. Poliziotto e clericale, sposato con la figlia di un industriale, ha torturato e gettato anarchici innocenti in galera o dalla finestra. Un personaggio del genere era odiatissimo. E, tuttavia, come ha dimostrato anche la sua incriminazione da parte della magistratura, era un personaggio diventato imbarazzante per chi lo aveva usato fino a ieri. Personaggi del genere fanno sempre una brutta fine. In periodi rivoluzionar! sono i compagni ad eliminarli; in periodi non rivoluzionari cadono vittime dei loro stessi sistemi. Quello attuale non è un periodo rivoluzionario» 20. Pur attaccando duramente Lotta continua che parla di «giustizia proletaria», Avanguardia operaia non dimentica di sottolineare che: «Lenin condannava il terrorismo individuale o di piccoli gruppi nel 1903, e lo considerava giusto nel 1905». Ma la tesi di complotti orditi sotto «la regia dei servizi segreti» non basta a interpretare quello che sta accadendo e Avanguardia operaia deve prendere posizione di fronte al susseguirsi degli episodi di lotta armata. Mentre il gruppo 22 Ottobre è definito senza mezzi termini «fascista», meno chiaro il giudizio sul sequestro Macchiarmi, un giudizio viziato da un possibilismo sulle forme della lotta armata da cui non ci si riesce a liberare. «Avanguardia operaia» commentando il sequestro scrive: «II gesto è tutto dimostrativo e fatto apposta per avere titoli scandalistici», e ancora «II sequestro giunge improvviso alla Siemens non c'è lotta in questa fase». I fatti non stanno così, in quei giorni nella fabbrica milanese il clima è rovente, ma la forzatura serve ad Avanguardia operaia per contrapporre la lotta di massa all'azione terroristica, collocando quest'ultima dentro la logica dell'orchestrazione golpista e dei servizi segreti si lascia però intendere che in un altro contesto il ricorso alla violenza potrebbe legittimarsi. La polemica si fa più stringente, lo impone il precipitare della situazione e il netto schierarsi di Potere operaio e Lotta continua. Ormai le azioni terroristiche sono firmate da gruppi che si richiamano al marxismo-leninismo, nati nel clima post-settantottesco. L'attacco all'awenturismo si fa più violento: «L'orientamento avventuristico è personificato sia pure con sfumature di discorso diverso, da Po e Le [...]. Po e Le si proiettano nell esaltazione di "azioni esemplari" del tutto separate dalla lotta di classe [...] I piccoli gruppi che pretendono di sostituirsi alle masse, e in particolare alla classe operaia, nell'adottare forme violente di lotta, non soltanto sono destinati alla sconfìtta, ma finiscono inevitabilmente in balia di provocatori e spie [...] Le dichiarazioni di Le in appoggio alle Br, le successive innumerevoli dichiarazioni di Po su Feltrinelli, "il primo morto nella guerra di liberazione dallo sfruttamento" e sui Gap non risultano comprensibili alle masse proletarie e studentesche»21. Il gruppo accusa Potere operaio di compiere «una folle analisi della situazione italiana e dei compiti del movimento»; una lucida follia che porta a considerare Gap e Br come «compagni». Aumenta la repressione, il giudice Sossi annuncia di poter arrestare 5.000 extraparlamentari. Avanguardia operaia non esita ad attaccare il Manifesto per aver sabotato e" rotto con il Comitato nazionale contro la strage pur di legittimarsi democraticamente in vista delle elezioni. Dovrà ricredersi sul Comitato e in contrapposizione aderirà al Comitato di difesa e di lotta contro la repressione. Il gruppo è stretto fra due fuochi; vuole uscire dalla morsa dell'awenturismo ma non condivide il neoparlamentarismo del Manifesto. Non si tratta di un'astratta posizione di principio ma di una differente valutazione sulla fase, il gruppo non vede ancora mature le condizioni di un unico cartello elettorale della nuova sinistra e quindi da l'indicazione di «votare in bianco». «La situazione della sinistra — si legge su «Avanguardia operaia» — appare quindi tale da escludere la possibilità di un cartello elettorale delle principali organizzazioni a meno di spettacolari giravolte trasformistiche; e il cartello delle principali organizzazioni è la condizione pratica di base per una presenza autonoma della sinistra nella competizione elettorale, presenza che disponga di mezzi e della credibilità, minimi necessari per una adesione di quanti, lavoratori e studenti, abbiano avviato una riflessione critica sulla collocazione di classe del revisionismo. Sebbene complessivamente più forte che nella passata scadenza elettorale, la sinistra è più che mai divisa politicamente e ideologicamente, e si tratta di divisioni che non possono essere superate con esasperazioni volontaristiche o prediche morali da parte di questo o quel "profeta disarmato", poiché riflettono, anche se in ultima analisi e in modo confuso, lo scontro tra piccola borghesia e proletariato per l'egemonia sulla sinistra rivoluzionaria in formazione, e quindi uno scontro che ha una base di classe. Ciò significa che i conflitti politici tra settori radicalizzati — in senso centrista o avventurista — di piccola borghesia, e i primi nuclei proletari rivoluzionari marxisti-leninisti, non offrono possibiltà di mediazione, a meno di una capitolazione della tendenza proletaria, ed anzi sono destinati a rimanere acuti» 22. Un' analisi condivisibile dello stato del gruppismo e più in generale della nuova sinistra che sarà rovesciata, nelle amministrative del '75, dando vita al cartello elettorale di Democrazia proletaria, e in occasione della consultazione politica del giugno '76, quando la disponibilità di Avanguardia operaia sarà un comodo lasciapassare per il trasformismo di Lotta continua e il successo della sua operazione. Rispondendo alle critiche del Manifesto, per il gruppo la scelta astensionistica del '72 non significa stare alla finestra, ne chiudere con le altre formazioni, piuttosto riconferma la necessità di concentrare l'attenzione sulle iniziative di lotta e sul programma: «Si tratta di agire per rilanciare le lotte per 1 occupazione. Si tratta di migliorare ed estendere la lotta di resistenza delle masse proletarie e studentesche contro la repressione borghese, smascherando il revisionismo e il collaborazionismo sindacale e mettendoli in condizione di non nuocere, respingendo le azioni padronali di rappresaglia e gli interventi e le provocazioni poliziesche, organizzando un'estesa ed efficace autodifesa contro le squadracce fasciste ed impedendo la presenza politica fascista nelle strade e nelle piazze. Si tratta infine di combinare indissolubilmente queste attività con la quotidiana attività nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, nei paesi, a difesa degli interessi materiali dei proletari e di costruzione organizzativa. Sarà evidentemente lo sviluppo della nostra iniziativa di massa a dare peso e respiro alla nostra presenza nel momento elettorale; e come invece non lo sarà, nella fase attuale, una lista, non lo sarà neppure un'astratta campagna di agitazione astensionista» 23. Anche se i contrasti si sono approfonditi, arrivando a vere incompatibilità, Avanguardia operaia non rinuncia alla costruzione del mitico «fronte unito» con le altre organizzazioni «rivoluzionarie».
5. La linea di classe nel movimento
L'isolamento, parzialmente recuperato dopo il fallimento elettorale del Manifesto, è un ulteriore incentivo alla stretta organizzativa: una tappa importante in questa dirczione è rappresentata dal convegno operaio indetto a Milano, nel giugno '72, dall'assemblea dei Cub. La mozione conclusiva denuncia l'impo-stazione della piattaforma rivendicativa lanciata dai sindacati metalmeccanici per le prossime scadenze: una linea costruita solo in «funzione della difesa dell economia nazionale» che non tiene conto «delle reali esigenze della classe operaia e delle sue potenzialità di lotta». Per rovesciare questa linea la presenza del gruppo e l'azione di lotta dei comitati unitari devono riuscire a coniugare l'offensiva contro la ristrutturazione capitalista con obiettivi qualificanti e corrispondenti ai bisogni operai. Dunque: «lotta contro 1'organizzazione capitalistica del lavoro e contro la ristrutturazione che il padrone fa pagare interamente alla classe operaia; lotta per la difesa del salario e dell occupazione; lotta per realizzare una larga ed effettiva unità di classe, dentro e fuori della fabbrica»24. Fissate queste linee generali, gli obiettivi qualificanti riguardano l'inquadramento unico operai-impiegati, la riduzione delle differenze salariali. Riguardo all'inquadramento unico operai-impiegati, contro le mistificazioni e le fumosità prospettate dai sindacati, i militanti di Avanguardia operaia precisano che esso deve significare: «minor numero possibile di categorie; nessuna divisione in fasce salariali all'interno di ogni categoria; automatismo e tempi brevi nel passaggio tra una categoria e l'altra, in particolare per quelle che comprendono la maggioranza dei lavoratori, in opposizione ai vari criteri e meccanismi di professionalità» 25. Per ridurre le differenze salariali, rivendicano: «la perequazione delle paghe di ogni categoria e al livello più alto; il conglobamento nella paga base del cottimo e delle parti incentivanti del salario; la "smonetizzazione" delle indennità per lavorazioni pesanti e nocive, assorbendo l'indennità al livello più alto nella paga base, aumentando le pause (o introducendo miglioramenti tecnici e ambientali) per quelle stesse lavorazioni e abolendo i turni notturni» 26. Infine la parità normativa deve essere totale. La piattaforma di Milano, chiamando a decidere i lavoratori, e realizzando il massimo di unità, deve servire per stringere i sindacati e sulla gestione democratica della lotta, premere su di essi per «raccogliere a livello politico generale le contraddizioni che la piattaforma sindacale si porterà dietro». Anche se non sono scomparsi i toni perentori della prima fase, Avanguardia operia avverte l'esigenza di compiere uno sforzo per dialettizzarsi col sindacato e mantenere in vita un dialogo critico con la sinistra tradizionale. Spinge in questo senso l'insieme del quadro politico, che impone la necessità di costruire un' ampia e forte opposizione al governo Andreotti-Malagodi. Un fertile terreno d'incontro si realizza con le componenti sindacali orbitanti attorno a Miniati, inizia, anche se a distanza, la marcia di avvicinamento al Manifesto; ma i rispettivi settarismi di gruppo non consentono che spurie convergenze, ognuna delle due formazioni privilegia ancora il proprio microcosmo partitico. Se un certo radicamento si è realizzato nelle fabbriche, in particolare nel Nord, i risultati si presentano ancora in-soddisfacenti nella scuola, che vede proprio in quel periodo un rinnovato interesse del gruppo che corregge l'originaria sottovalutazione del ruolo degli studenti e della battaglia nella scuola, un residuo del rifiuto dello spontaneismo del movimento e dell'equazione studente uguale piccolo borghese, che lo portava a privilegiare la milizia politica complessiva e la classe operaia come centro motore della lotta di classe La svolta si realizza compiutamente con lo sciopero generale del 21 gennaio '73; una tappa significativa, afferma Avanguardia operaia, nella costruzione di un movimento degli studenti su scala nazionale, un momento decisivo nell'unità di azione fra le «forze politiche rivoluzionarie» presenti nella scuola. La battaglia contro la svolta moderata e la mobilitazione antifascista consente punti d'incontro con la Fgci e la Fgs, e attorno alla parola d ordine «contro il governo Andreotti-Malagodi» si vuole aprire un ripensamento nel Pci e lavorare per un suo spostamento. Lo sciopero generale del 21 gennaio, nato come momento di lotta contro la repressione, con la sua imponente riuscita dimostra la possibilità di rilanciare un ampio movimento degli studenti, e con la sua combattività conferma: «!' importanza dell'intervento tra gli studenti, la necessità di sviluppare organismi di base studenteschi, la centralità della lotta per la selezione e contro il peggioramento delle condizioni di studio» 27. Un'attenzione che si era offuscata in tutta la sinistra rivoluzionaria in conseguenza del riflusso del movimento e della spirale autorganizzativa del gruppismo. Un anno dopo, commentando il nuovo sciopero nazionale del 23 gennaio 1974, Avanguardia operaia affermerà che si è compiuto: «un sostanziale passo in avanti realizzato dal movimento su scala nazionale con la stretta unità di confronto e di azione fra Cub, Cps (Comitati politici studenteschi), Cpu (Comitati politici unitari)». E tornando a riflettere su quella che considera una ripresa del movimento prosegue: «Non dobbiamo dimenticare come siamo partiti: due anni fa ogni forza andava per la sua strada e spesso in senso contrario con Punico risultato di impedire un impatto complessivo al movimento; lo stesso anno scorso lo sciopero nazionale unitario fu un'avventura fortunata e in fin dei conti occasionale; oggi invece seppur con grossi limiti abbiamo raggiunto un'unità del movimento sia pur minimale che permette di prendere iniziative politiche di ampio respiro. L'esempio del 23 gennaio dimostra che seppur il movimento non è in grado di aprire una vertenza con il governo, riesce comunque a svolgere un notevole ruolo sulla scena politica nazionale» 28. Il 1973 è un anno di intensa attività del gruppo. Si procede a una ristrutturazione della stampa: «Avanguardia operaia» rimane settimanale ma nella sua funzione di strumento teorico e di linea è sostituita dalla rivista bimestrale «Politica comunista», si avvia la preparazione del quotidiano. Antifascismo, lotta antimperalistica, lotta alla repressione e al governo di centrodestra sono i fondamentali terreni di mobilitazione. Le molte iniziative servono per costruire tutte le possibili convergenze; all'ombra della propugnata unità della sinistra rivoluzionaria si attenuano le polemiche per privilegiare l'unità, nella speranza di affermare una propria egemonia nel panorama del gruppismo.
6. La lotta rivoluzionaria per le riforme
Con la manifestazione internazionalista del 12 maggio '73 a Milano, sembra ricomporsi la scissione del Comitato di lotta contro la strage. Oltre ad Avanguardia operaia, che ha un ruolo decisivo nella sua preparazione, vi partecipa un cartello di forze eterogenee: Lotta continua, il Gruppo Granisci, il Pc (mi) I, il Manifesto. In tutte le città si manifesta contro lo «Stato forte», contro la repressione e il «fermo di polizia» 29. Intanto sul terreno sociale, si lotta per la casa e contro il carovita. La polemica col sindacato è insinuante: si affrontano nodi teorici e si critica l'autoregolamentazione degli scioperi; pur escludendo pratiche entriste, si presta attenzione alla Fiom e alle sue articolazioni, non sfugge la tipicità del sindacato metalmeccanico e si cerca di realizzare convergenze nelle situazioni di base e nella pratica delle lotte di fabbrica 30. Seguendo le cronache di «Avanguardia operaia» settimanale si ha netta la sensazione del rafforzamento organizzativo del gruppo, aumentano i resoconti delle iniziative, le prese di posizione e i bilanci di attività dei vari comitati unitari. Nel maggio, per la prima volta, si incontrano a Napoli i militanti impegnati nel Meridione; partecipano al convegno: nuclei operai del Casertano, del Salernitano, di importanti fabbriche napoletane, dell' Alfa Sud di Pomigliano, dell' Olivetti di Marcianise, dell'Intersider, i braccianti di Quagliano. L'assemblea riconosce la validità della proposta dei comitati unitari e afferma la necessità di un solido rapporto fra lesperienza del Nord e quella del Sud, per Napoli lancia l'idea di un movimento cittadino dei comitati unitari di base come condizione di intervento nel sociale e superamento di ogni angusta visione di fabbrica31. Si lavora per l'appuntamento nazionale previsto per l'autunno, lo precedono numerose assemblee e convegni. A Torino le rappresentanze locali si incontrano con le altre realtà; a Milano, il 30 giugno, il convegno nazionale degli organismi di base della Sip; ancora nel giugno, il convegno delle Tré Venezie 32. Il documento dell'ufficio politico di Avanguardia operaia pubblicato sul numero 31 del settimanale è un duro attacco alla linea del Pci e del sindacato. La parola d'ordine è «Rompere la tregua sociale!». Partendo dalla sconfitta del governo Andreotti-Malagodi analizza il recente congresso della De e il suo tentativo di darsi «un nuovo volto», è il ritorno al centro-sinistra con «!'opposizione diversa dei riformisti». La «capitolazione» del Psi non meraviglia, ma si attacca duramente lo spostamento del partito comunista. «Il Pci è soddisfatto che l'inversione di tendenza ci sia stata. Non può certo condividere incondizionatamente ogni misura del governo altrimenti la sua non sarebbe più nemmeno un'opposizione. Però ritiene di poter superare gli aspetti della politica di Rumor "non pienamente corrispondente alle esigenze dei lavoratori" non già con la lotta di massa, ma elargendo consigli di politica economica, facendo sfoggio di cultura, criticando la grettezza intellettuale di certi settori governativi e facendo solo vaghe minacce di iniziative di massa». Anticipando un giudizio che verrà sviluppato nella IV conferenza nazionale, il Pci è rimasto imprigionato nell'«idealismo» della sua stessa linea riformista. Nessuna illusione: va battuto il collaborazionismo revisionista; ai rivoluzionari il compito di portare avanti un reale progetto di «riforma» e di «campagne politiche democratiche». Il dramma cileno ripropone il dibattito sulle forme di lotta, sulla possibilità della via democratica alla trasformazione socialista, il problema delle alleanze politiche. Scrive «Avanguardia operaia»: «II proletariato cileno aggredito dalla reazione e disarmato dal revisionismo non ha altra strada che la guerra civile» 33. A ottobre il nuovo convegno nazionale dei Cub conferma la contrapposizione strategica ai consigli dei delegati e su questo punto il gruppo intensifica la polemica con Lotta continua e il suo strisciante entrismo nel sindacato. Le tesi che preparano il IV congresso di Avanguardia operaia si prefiggono il compito, definito dallo stesso gruppo ambizioso, di «superare» in modo definitivo la fase del minoritari-smo gruppuscolare. Le lotte che si sono realizzate — «la battaglia contro l'operazione Andreotti, quella contro la strage di Stato e i suoi responsabili, l'agitazione vittoriosa per far saltare la tregua sociale concordata fra governo Rumor e confederazioni sindacali, l'impegno su vasta scala nella campagna sul referendum e contro le trame fanfaniane, il rilancio dell'antifascismo militante» — dimostrano che non basta più l'unità di azione che nella pratica si è realizzata con gli altri gruppi, ma si deve procedere verso un'unificazione organica di tutto il «campo di forze» rivoluzionario, un potenziale che va molto al di là dei militanti delle singole organizzazioni. In una lunga e «travagliata maturazione», secondo il gruppo, si è formata una «sinistra rivoluzionaria» e ampi settori del proletariato sono sfuggiti al controllo egemonico del «revisionismo»; è nato nelle lotte ed è già operante «un partito della rivoluzione proletaria», si tratta di organizzarlo in una «formazione politica ben definita, ispirata ai principi e ai metodi del marxismo-leninismo». Ma la «sinistra rivoluzionaria» a cui si riferisce Avanguardia operaia è ormai un complesso di spinte e controspinte, una realtà indistinta e sostanzialmente indisponibile a un inquadramento organizzativo unitario. E già in atto lo sfaldamento dei molti partiti del sinistrismo. Le tesi affrontano quattro questioni fondamentali: il contesto internazionale, la crisi italiana, il tema delle riforme, il partito. Sul piano internazionale la tendenza fondamentale è l'ina-sprimento dei rapporti fra le grandi potenze; anche se sono fallite la distensione e la coesistenza pacifica, ancora non si da per scontato un avvenuto e possibile accordo «tra superpotenze per la spartizione del mondo». Acquisito il giudizio sulla natura «so-cialimperialista» dell'Urss si riconosce l'opportunità per i popoli oppressi di utilizzarne strumentalmente l'appoggio. A differenza di altri gruppi il giudizio sulla Cina si presenta più articolato, si riprendono considerazioni sviluppate attorno al '71-'72, al momento della morte di Lin Piao, sulla «svolta moderata» che trova la sua espressione nella politica estera cinese. Denunciati i residui stalinisti, i «gravi errori» per le posizioni assunte sul Sudan e Patteggiamento verso l'Europa occidentale che finisce per ignorarne «la natura imperialista», le critiche si ovattano nel trionfalistico giudizio che si da sul X congresso del Partito comunista cinese. Sul piano interno, la crisi italiana, anche se configurata come crisi globale del sistema, non assume gli aspetti catastrofici e ineluttabili tipici dell'elaborazione operaista. Di qui il riconoscimento dei processi di ristrutturazione presenti nell'economia e del fatto che essi producono lacerazioni e divisioni nella borghesia italiana divisa tra «i rappresentanti della produzione nel suo insieme» e «i rappresentanti del potere pubblico», tra «il capitale privato» e «le partecipazioni statali in quanto componenti del potere democristiano». Queste considerazioni e il giudizio sul blocco di forze che sostengono il potere democristiano danno ulteriore forza alla proposta della «lotta rivoluzionaria per le riforme». Per Avanguardia operaia le lotte apertesi con il '68 hanno scardinato il blocco di potere democristiano, e ormai esso non è più in grado di rappresentare gli interessi di tutta la borghesia, ma solo di una sua frazione «i grandi gruppi monopolistici, le banche, i petrolieri, la finanza vaticana, i padroni della borsa e l'alta burocrazia statale». Non esistono più un partito e un governo capaci di mediare tutto l'arco delle contraddizioni «in-terborghesi». La svolta moderata e reazionaria tentata dai vari governi dal '72 in poi puntava a: «isolare la classe operaia dagli altri ceti popolari, frantumare Punita di classe degli operai per ridurli a un coacervo di categorie; radicalizzare a destra la piccola borghesia; restringere gli spazi democratici; reprimere la sinistra rivoluzionaria e ridimensionare la sinistra in genere; battere sul terreno economico e del potere in fabbrica le categorie operaie di punta»34. Tutti questi obiettivi sono falliti. Contro di essi la classe operaia ha articolato le sue lotte in una «guerriglia economica» che ha fatto precipitare la produttività; la classe operaia si è posta nei confronti degli altri strati sociali come forza garante degli spazi democratici conquistati35. In questo contesto il valore della vittoria dei No al referendum sul divorzio, una vittoria «che ha segnato l'inizio di una nuova fase in cui la crisi del fronte borghese sarà più acuta e si presenteranno condizioni più favorevoli per l'avanzata del proletariato». Il Pci, con la sua natura di «partito democratico popolare» non è più in grado di cogliere le potenzialità delle masse offrendo loro una strategia rivoluzionaria. Si registra così il suo fallimento non solo sul terreno della prospettiva socialista ma sul piano stesso di una «democrazia borghese avanzata». Per Pci non si tratta: «di scegliere il frontismo socialdemocratico del 51% a sinistra della De invece che l'inconsistente proposta del compromesso storico. Piuttosto il vicolo cieco in cui è stretto il Pci non è quello del compromesso storico, bensì quello della via italiana al socialismo» 36. Nella particolarità di questa elaborazione il cuore della concezione revisionista e le ragioni che hanno reso un espediente propagandistico la lotta per le riforme di struttura proposta dal partito comunista: «La contraddizione di fondo della linea revisionista, infatti, non si manifesta solo nella provata incapacità, dimostrata in questi anni di raggiungere i suoi stessi obiettivi di riforma, ma anche nella sua incapacità di raccogliere e sistematizzare gli elementi di crescita politica determinati nelle masse dall'esperienza di lotta sul terreno delle riforme e delle libertà democratiche» 37. Solo con una nuova organizzazione e un progetto strategico per la rivoluzione socialista si può battere nel concreto l'illu-sione revisionista del Pci. Spetta a una nuova organizzazione, «il partito rivoluzionario», che ha come retroterra l'estensione e le lotte della «nuova sinistra» saldare e ricomporre la contraddizione, irrisolta dal revisionismo del Pci, tra le «grandi potenzialità che la classe operaia ha espresso [...] e la mancanza di espressione politica cosciente di questa potenzialità attraverso un programma, un progetto strategico..,»38. Il «progetto strategico» che Avanguardia operaia propone al proletariato e ai lavoratori è la «lotta rivoluzionaria per le riforme». Una proposta che esprime la difficoltà del gruppo a individuare una sua identità; vi si avvertono i limiti dell'economi-cismo rivendicazionista e le intenzioni rimangono imbrigliate nel giudizio critico sul Pci, sul sindacato e nella sopravvalutazio-ne sulle «potenzialità rivoluzionarie» della «nuova sinistra». La «lotta rivoluzionaria per le riforme» si contrappone alla concezione revisionista della via italiana al socialismo attraverso le riforme di struttura. Nell'utopico e impossibile compito di trasformare la natura di classe del sistema e nello stesso tempo di non ostacolare il processo di accumulazione e favorire un equilibrato sviluppo economico, il Pci ha finito per operare un capovolgimento del rapporto tra lotta per le riforme e suo inserimento al governo. Si è avuta così la precipitazione verso una difesa a oltranza e priva di prospettiva strategica dello stato di cose esistenti: «Non più una lotta vittoriosa per le riforme come condizione che apre la via a una partecipazione del Pci al governo, ma viceversa l'insediamento del Pci al governo, anche pagando per questo un prezzo elevato in termini di "sacrifici" chiesti ai lavoratori — come condizione che aprirà la strada ad una futura politica di riforme. Porta insomma al "compromesso storico" e alle scelte tattiche ultra-opportuniste e fallimentari in cui esso si manifesta: dall'opposizione di tipo diverso, al rifiuto di sviluppare a fondo le potenzialità della battaglia e della vittoria sul referendum, fino all'attuale connivenza con la politica di rafforzamento repressivo dello Stato in nome dell'emergenza antifascista» 39. Al contrario, affermano le tesi esposte dal gruppo, partendo dal reale grado di combattività delle masse esistono tutte le condizioni concrete per praticare una via rivoluzionaria per le riforme: «II punto di partenza di questa via sta nel fatto che determinati obiettivi di riforma (e di libertà democratiche) corrispondono oggi al livello di coscienza delle masse e ne costituiscono un fattore di avanzamento. Solo l'esperienza concreta di lotta di classe su questo terreno può permettere ulteriori balzi in avanti, e non un tentativo ideologico di "saltare" questo terreno di lotta. Questo terreno di lotta non costituisce una sorta di "adeguamento" a un livello relativamente arretrato di coscienza delle masse. Date le caratteristiche concrete del capitalismo italiano, esso assume fin da ora una portata antagonista e si inserisce quindi coerentemente in un processo di lotta rivoluzionaria. La portata rivoluzionaria di questo terreno di scontro può essere sviluppata solo a condizione di non barattare mai l'autonomia politica e di lotta del movimento di classe contro concessioni concrete e soluzioni politiche, per quanto "avanzate" possano essere. Vittorie parziali su determinati obiettivi, soluzioni governative "più avanzate" a cui la lotta per le riforme può portare come sua conseguenza oggettiva, possono essere utilizzate correttamente per portare lo scontro a un livello più avanzato, non possono invece essere mai il pretesto per collabo-rare attivamente ai tentativi di stabilizzazione operati dalla borghesia» 40. Criticando lo schematismo della nuova sinistra a identificare «riforme» con «riformismo», le riforme a cui si richiamano le tesi e il dibattito congressuale riguardano: le condizioni di esistenza sociale delle masse popolari, i rapporti politici fra le classi, l'antifascismo militante. Dunque la lotta per le riforme è lotta per «!' allargamento dell'area dei consumi socializzati» (casa, sanità, trasporti, previdenza, scuola). Nonostane le riflessioni intervenute, il giudizio sul sindacato si attesta sui vecchi luoghi comuni: il sindacato unitario altro non è che uno strumento di collaborazione di classe. Il congresso sistematizza l'esperienza prodotta dai comitati unitari di base e prospetta l'avvio di una possibile convergenza con il Pdup. Usando un'espressione di Silverio Corvisieri, per Avanguardia operaia si chiude la fase dell'«area leninista» e il gruppo inizia a navigare in mare aperto, mentre «cominciano a venire al pettine certi nodi» 41.
7. I nodi vengono al pettine
I problemi si riflettono nella composizione elefantiaca degli organi dirigenti, il comitato centrale che viene eletto su proposta di Campi, Corvisieri, Vinci, è composto da 100 mèmbri. Le divisioni nascono sullbpportunità e sulla necessità di avere un segretario, decisamente contrario Corvisieri che, aprendo un contenzioso col gruppo, polemizza con una visione del processo di unificazione col Pdup, viziata in origine da strumentalismi e opportunismi. Dopo il IV congresso (ottobre '72) la vicenda di Avanguardia operaia è caratterizzata da una precipitosa e confusa rincorsa verso le principali organizzazioni del sinistrismo, quella che viene definita «l'area rivoluzionaria». Il gruppo sembra abbandonare ogni antico distinguo e nonostante la maggiore politicità che aveva guidato la fase congressuale crescono le difficoltà dei comitati unitari di base; l'awicinamento di Avanguardia operaia alla sinistra sindacale è vissuta come una riconversione opportunistica e burocratica che finisce per sindacalizzare l'esperienza del gruppo e apre un conflitto con i suoi settori più intransigenti42. Di fatto un dissolvimento dei Cub senza soluzioni di ricambio, tutto ciò mentre nasce l'insidia dei comportamenti autonomi. L'unità interna è messa a dura prova, si manifestano fenomeni degenerativi e distacchi. Il femminismo, come accade per gli altri gruppi, concorre a rivelare la crisi di un'esperienza e anche la sua obsolescenza politica 43. Alle elezioni amministrative del giugno '75 in alcune regio-nii si sperimenta rincontro con il Pdup e, con il concorso del Movimento lavoratori per il socialismo, ha vita Democrazia proletaria che presenta proprie liste in Lombardia, Veneto, Lazio, Umbria, Campania e Molise. I suoi voti sommati a quelli del Pdup, presentatesi autonomamente in Toscana, Emilia, Marche e Calabria saranno 430.000 (1,7%). Elemento non secondario del malessere, salvo a Milano, tutti gli eletti sono mèmbri del Pdup. Avanguardia operaia considera il risultato un suo successo, ha sconfitto la componente antiunitaria del Pdup e ha più forza per liberare Lotta continua dal suo oscillare «fra Pci e area del-l'autonomia». Condizione decisiva dello sviluppo di quell'area rivoluzionaria a cui vuole rivolgersi Avanguardia operaia la crescita delle lotte, in questo quadro il lavoro seminariale che si avvia con la commissione fabbriche del Pdup in vista delle prossime scadenze operaie. Tuttavia dopo le amministrative del 15 giugno la situazione è confusa, non tutta la sinistra rivoluzionaria ha reagito bene, afferma Corvisieri, che precisa: «abbiamo visto nel Pdup prendere rilievo una corrente che si può definire liquidazionista in quanto tende a svendere le conquiste e il ruolo della sinistra rivoluzionaria per avvicinarsi al Pci [...]. Abbiamo visto Lotta continua effettuare una brusca svolta in dirczione estremista...». Sbandamenti che sono conseguenza di limiti teorici: «Non e'è chiarezza sul rapporto tra lotte sindacali ed elezioni, tra ruolo autonomo della sinistra rivoluzionaria e tattica di allineamento nei confronti della sinistra riformista [...]. Sintomi di impazienza e di stanchezza...»44. L'ufficio centrale Lotte sociali partendo dalla crisi e dai suoi effetti rilancia l'autoriduzione delle tariffe nei servizi. Si parla di oltre 400 mila autoriduttori. Avanguardia operaia propone un coordinamento nazionale di tutti i comitati per l'autoriduzione. A Roma il gruppo partecipa attivamente alle lotte per 1 occupazione delle case a Casal Bruciato, un momento importante anche in previsione delle elezioni comunali della capitale. Intanto Silverio Corvisieri, adducendo la necessità di rotazione e richiedendo un suo diverso impegno, lascia la dirczione del «Quotidiano dei lavoratori», sostituito da Aurelio Campi, coadiuvato da due vicedirettori: Claudio Cereda e Massimo Gorla. Ormai è la crisi degli organismi dirigenti. «Nessuna tregua per fare le elezioni», afferma il segretario nazionale Campi, e nell'assemblea pubblica che si svolge il 18 gennaio 1976 a Torino, prospetta la necessità di «un momento di riflessione in una situazione di non chiarezza del movimento». La caduta del governo Moro impone l'unità di tutti i rivo-luzionari per fare avanzare nel concreto la proposta del governo delle sinistre, condizione «per sconfìggere i cedimenti della linea riformista» e impedire sul nascere ogni governo demergen-za appoggiato dal Pci. I tempi stringono: «Non bisogna perdere tempo nel definire un nuovo quadro di unità fra Ao e Pdup e per aprire con Lotta continua un dialogo; questo sia per fare fruttare quanto matura nel movimento, sia per impedire a Le di proseguire sulla via dell'isolamento basato su una propaganda antisindacale aprioristica». E aperto lo spazio alla manovra tattica di Lotta continua. Sul piano del movimento si rilanciano: il controllo operaio, la lotta per la democratizzazione delle Forze armate, i diritti civili, la battaglia contro tutte le leggi liberticide. La commissione fabbriche nazionali intensifica il suo lavoro, gli slogan sono: lottare contro la strategia dei «revisionisti» che porta a intensificare lo sfruttamento, strappare il controllo operaio sulle scelte produttive. In tutto il paese proseguono le manifestazione sindacali in difesa dell'occupazione. Non basta, afferma Avanguardia operaia, occorre una «generalizzazione» dello scontro e una maggiore incisività delle lotte, a questo serve lestensione dei presidi, dei picchetti, di quelle che vengono chiamate le «ronde operaie». Risultati che chiedono mobilitazione e pressione nei confronti del sindacato. Nei primi mesi del '76 si manifesta lo scontro «destra-sinistra» in Avanguardia operaia. Se la sostanza è la linea, unificazione col Pdup, confronto col sindacato, lotte sociali, nella forma assume quella di una critica diffusa dei metodi e dello stile di direzione. Uffici politici e comitati centrali che si prolungano per giorni, risse interne, polemiche e colpi di maggioranza 45. Intanto si accelera il dibattito sulle elezioni, in varie città si ripropone la possibilità di ripercorrere ed estendere l'esperien-za di Democrazia proletaria, particolarmente importante in questo senso l'accordo siglato fra le segreterie provinciali di Avanguardia operaia e Pdup a Torino. Tempestiva arriva la proposta di Lotta continua: partecipare alle elezioni con un cartello unitario aperto a tutti i movimenti e collettivi, ogni forza presenti il suo programma non essendosi ancora maturate le condizioni per un programma comune. Avanguardia operaia inizia la sua altalena di posizioni, con un lungo articolo Dove nasce e come va combattuto il recente avventurismo settario ài Le nella sinistra?, polemizza con gli argomenti vecchi e recenti del gruppo di Sotti, ripercorrendo le tappe di un lungo dibattito critica lespe-rienza di Lotta continua: l'economicismo, la pratica della violenza fisica, settarismo; tuttavia concede sul piano elettorale. Apprezza il superamento dell'astensionismo, pur riconoscendo che non vi sono le condizioni per un programma comune considera possibile un'unità d'azione elettorale con Lotta continua «a una condizione precisa»: «Le deve porre termine alla sua attuale politica di aggressione fisica nei confronti delle altre forze di sinistra». Un'apertura che dimostra che non si vuole rompere con Lotta continua anzi si sollecita il suo mutamento, e nella speranza di un fronte comune di tutti i rivoluzionari, si auspica la ripresa di rapporti col gruppo. L'articolo, firmato Luigi Vinci, conclude: «Forse a Le oggi questo di non avere in noi un interlocutore, non interessa, forse è paga del rapporto con Autonomia operaia piuttosto che con aggregazioni consimili di avventurieri irresponsabili. Rifletta bene però sullo sbocco inevitabile delle sue scelte. Perseverare sulla strada attuale può significare il suicidio politico, e Berlinguer ringrazierà». Si sottovaluta lo stato del movimento, la rottura ormai irreversibile fra le stesse leadership dei gruppi e la loro base; il pullulare di tanti eterogenei spezzoni organizzati, cresciuti e alimentati dal solo accecamento antirevisionista; l'ingenua ma anche opportunistica vocazione unanimistica che permea di sé ormai più generazioni di militanti o di transitatori dei vari minipartiti dell'estremismo; si sottovaluta la miscela che si è formata fra la nebulosa del sinistrismo e il diffondersi di quei fenomeni di diciannovismo più volte denunciati da Berlinguer. Anche nel Pdup la situazione si presenta molto articolata, alle prime rigidità si sostituiscono la disponibilità del gruppo Miniati. Il comitato centrale di Avanguardia operaia del 10 aprile 1976 vota due documenti: il primo sullo stato dei rapporti con il Pdup sui quali, pur non sottacendo le difficoltà, esprime un sostanziale giudizio positivo, rafforzato dall'iniziativa unitaria sviluppatasi fra le due organizzazioni in preparazione dello sciopero generale del 25 marzo; il secondo affronta il nodo delle elezioni. Su questo punto da mandato agli organismi dirigenti di definire l'intesa e il programma politico di Democrazia proletaria col Pdup, e «senza farsi troppe illusioni, ma ritenendo importante conservare momenti di unità di azione» accetta l'invito elettorale di Lotta continua. Il gruppo di Sofri incalza: decide di presentarsi alle elezioni e propone a Democrazia proletaria un cartello comune. Il comunicato delle segreterie congiunte di Avanguardia operaia e Democrazia proletaria sembra non lasciare spazi: «non esistono le condizioni minime per Lotta continua». Quest'ultima replica attaccando il loro settarismo. Dentro Avanguardia operaia cominciano a farsi sentire le pressioni della base, se ne ha una riprova immediata con l'articolo di Vittorio Rieser, confluito insieme a Mottura, Pugliese, Bonelli, da alcuni anni nel gruppo, sul «Quotidiano dei lavoratori» del 20 aprile, si ammette che non vi è convergenza dentro Democrazia proletaria, ne dentro il Pdup, invita ad un confronto e anche alla battaglia politica interna. Rieser torna sull'argomento il 24 aprile; dalla base viene l'esigenza d'unità. Avanguardia operaia convoca in seduta straordinaria il comitato centrale. Tenta un escamotage: invita Lotta continua a non presentare liste proprie e a ricono-scersi nelle liste locali di Democrazia proletaria. Sofri grida alla provocazione. Di lì a poco il comitato centrale rovescerà la posizione della segreteria dichiarandosi disponibile a un accordo con Lotta continua, a nulla varrà l'invito rivolto dal Pdup di accordi locali definiti tenendo conto dei reali rapporti unitari. II «Quotidiano dei lavoratori» titola: La strada è ormai aperta per un'unica lista rivoluzionaria alle prossime elezioni politiche.
NOTE 1 D. Protti, «Cronache di "nuova sinistra"», Gammalibri, 1979, p. 129. 2 ibidem. 3 «Per il rilancio di una politica di classe», Savelli, 1968. 4 Cfr.: La concezione del Partito in Lenin (dai gruppi al partito, 1895-1912), Primo «Quaderno di Avanguardia operaia», Edizioni Sapere, 1970. 5 D. Protti, «Cronache di "nuova sinistra"», p. 135. 6 II revisionismo del Pci origini e sviluppi. Terzo «Quaderno di Avanguardia operaia», Edizioni Sapere, 1971, pp. 46-71. 7 Cfr.: I Comitati di base - Origini, sviluppo e prospettive. Quarto «Quaderno di Avanguardia operaia», Edizioni Sapere, 1972. 8 ibidem. 9 ibidem. 10 La rivista mensile «Avanguardia operaia» affronta: Lotta continua, n. 3-6-9-19; Potere operaio, n. 14-15; Lotta comunista, n. 7-8-17; II Manifesto, n. 6-13-18-29-21; MS Statale di Milano, n. 6-7-8; Circolo Lenin Puglia, n. 10; Sinistra Rivoluzionaria Romana, n. 6; Gruppo Gramsci, n. 25. Per la tematizzazione della rivista cfr.: G. vettori, La sinistra extraparlamentare italiana, Newton Compton Italiana, 1973, pp. 126-133. 11 Borghesia e revisionismo impegnati a superare la crisi dì regime, «Avanguardia operaia», numero unico, novembre-dicembre 1969. 12 Lotta operaia e sviluppo capitalistico, ibidem. 13 ibidem. 14 Cfr.: D. Protti, «Cronache di nuova sinistra», cit., p. 137. 15 Un bilancio di AO sui problemi di organizzazione, «Avanguardia operaia», n. 7-8 luglio-settembre 1970. 16 ibidem. 17 «Avanguardia operaia», n. 14/15, marzo-aprile 1971. 18 «Avanguardia operaia», quindicinale, n. 6, 25 marzo 1972. 19 ibidem. 20 Volantino del 20 maggio 1972 in G. Vettori, «La sinistra extraparlamentare in Italia», cit., p. 149-150. 21 «Avanguardia operaia», quindicinale, n. 8, 22 aprile 1972. 22 «Avanguardia operaia», mensile, n. 23, marzo 1972. 23 ibidem. 24 Per una linea di classe nelle lotte contrattuali, «Avanguardia operaia», mensile n. 25, giugno 1972. 25 ibidem. 26 ibidem. 27 La situazione politica e i nostri compiti, «Quaderni di Avanguardia operaia», Cooperativa Editoriale Nuova Cultura, 1974, p. 149. 28 ibidem, p. 169. 29 Cfr. Già applicato nei fatti il fermo di polizia, «Avanguardia operaia», settimanale, n. 19, 18 maggio 1973; Lo Stato forte in Europa: una tendenza che bisogna arrestare, «Avanguardia operaia», settimanale, n. 20, 25 maggio 1973. 30 Cfr.: Intervista a Luigi Vinci in D. Protti, «Cronache di nuova sinistra», cit. 31 Variano i compagni dei CUB di Napoli, «Avanguardia operaia», settimanale, n. 21, 1° giugno 1973. 32 Cfr.: Assemblea dei CUB a Torino, «Avanguardia operaia», settimanale, n. 24; Congresso nazionale degli organismi di base Sip, «Avanguardia operaia», n. 25; Per l'intervento nei paesi e nelle piccole fabbriche. Convegno Avanguardia operaia nelle Tré Venezie. 33 Cfr.: La situazione politica e i compiti, cit., p. 13. 34 La situazione politica e i nostri compiti, «Quaderni di Avanguardia operaia», cit., p. 43. 35 ibidem. 36 ibidem, p. 60. 37 ibidem, p. 70. 38 ibidem, pp. 79-80. 39 ibidem, p. 71. 40 ibidem, p. 73. 41 S. Corvisieri, «I senza Mao dove va la sinistra rivoluzionaria», Savelli, 1976, p. 64. 42 Cfr.: D. Protti, «Cronache di nuova sinistra», cit., p. 140. 43 Cfr.: S. Corvisieri, Gioia di vivere e lotta di classe, «II quotidiano dei lavoratori», 26 settembre 1975; «Politica comunista», n. 1, 1976. 44 «Linus», marzo 1976; Cfr.: S. Corvisieri, «I senza Mao», cit., p. 99; 15 giugno: analisi e prospettive di una vittoria, «Politica comunista», n. 5/6, 1975. 45 Cfr. D. Protti, «Cronache di nuova sinistra», cit., p. 167; S. Corvisieri / «Senza Mao», cit., pp. 46-63.
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