XII
LA LOTTA ARMATA |
Nel gennaio del 1976, scritta da Soccorso rosso appare in libreria la prima organica ricostruzione della storia delle Brigate rosse. Dall'inizio degli anni settanta la lotta armata in Italia è una realtà, è entrata prepotentemente nel dibattito dell'estremi-smo di sinistra come dimostrano: le oscillazioni di Lotta continua di fronte alle varie azioni terroristiche, le compiici dissolvenze di Potere operaio, le suggestioni armate che attanagliano, sin dalla loro formazione, i gruppi dell'Autonomia organizzata. Nel corso del tempo, in un susseguirsi di azioni e «riflessioni teoriche», spezzoni organizzativi e singoli militanti sono approdati alla follia armata, ai Gap di Feltrinelli si sono aggiunte le Br e poi i Nap e infine sempre più numerose compaiono sigle spontanee che rivendicano azioni militari. A partire dalla seconda metà del 1974 lo scontro è senza esclusione di colpi, con il duplice omicidio dei fascisti a Padova inizia la spirale di sangue. Con il sequestro del magistrato Sossi le Br sono diventate un partito politico combattente capace di introdurre forti contraddizioni nei vari apparati dello Stato e di disarticolarne la capacità di risposta politica. Gli arresti dei capi brigatisti non servono a bloccare la riproducibilità della lotta armata. Come è noto le bozze del testo Brigate rosse, che cosa hanno fatto, che cosa hanno detto, che cosa se ne è detto pubblicato da Feltrinelli, furono revisionate e corrette dagli stessi Curcio e Franceschini. Dietro la sigla Soccorso rosso, collettivo formatosiper la difesa dei militanti arrestati e contro la repressione, l'avvocato Francesco De Giovanni difensore insieme a Spazzali e Guiso di numerosi imputati brigatisti. L'attenzione alla vicenda organizzativa e alle sue ragioni politiche non nasce da una semplice curiosità intellettuale ne è da attribuire ad un mero colpo giornalistico-editoriale, piuttosto esprime la volontà di sistematizzare un'esperienza dando ad essa piena dignità politica, fugando così ambiguità e diffidenze ancora presenti in una gruppettistica ormai trasversalmente coinvolta nella pratica della violenza diffusa e della stessa lotta armata. Si vuole rompere ogni alibi o rimozione, non è «fascismo mascherato o ammantato di rosso», non è spionaggio internazionale, bensì un preciso disegno politico-organizzativo col quale occorre misurarsi: un progetto da discutere. Soccorso rosso parte dalla vicenda personale e politica dei due principali leader storici del gruppo: Renato Curcio e Margherita Cagol; itinerari, matrici ideali e culturali interne alla nascita e allo sviluppo dell'estremismo sessantottesco. Il contesto in cui si colloca la loro prima formazione è l'università di sociologia di Trento negli anni che precedono la lotta degli studenti: le tematiche dell' Università negativa, gli influssi della Kritische Universität, che si intrecciano alle culture del dissenso cattolico presenti nell'area trentina. Renato Curcio partecipa attivamente al comitato di redazione di «Lavoro politico» e da quella postazione guarda ai movimenti e al futuro partito della rivoluzione. Alla fine del '68, mentre è in corso un ripensamento sui contenuti e sulle forme della lotta rivoluzionaria, il documento Proposta di foglio di lavoro redatto da Renato Curcio e Mauro Rostagno sul fallimento del democraticismo assembleare che, in sintonia con quanto sta maturando nell'insieme del maoismo nostrano, sanziona l'indilazionabile necessità di un livello organizzativo unificante, capace di determinare una «milizia politica» oltre il ristretto ambito universitario 1. Nel linguaggio e nelle ipotesi ali'ampio ricorso al pensiero maoista si aggiungono i numerosi richiami trozkisti; si parla diffusamente di «basi rosse», di «zone di contropotere», mentre l'università è considerata «Fanello forte» di una «lunga marcia attraverso le istituzioni» finalizzata a creare «poteri rossi» dove si comincia a gestire la società alternativa. Mancano poche settimane alla scissione del dicembre '68 fra linea rossa e linea nera, quando il gruppo redazionale di «Lavoro politico», a cui hanno collaborato Renato Curcio e Margherita Cagol, aderisce al Pcd'I. La rivista, autoproclamata-si sin dalla sua costituzione «organo marxista-leninista», progressivamente si è schierata dalla parte del Pcd'I, una dislocazione funzionale a quella scelta «partito» che dopo il maggio francese si è fatta sempre più stringente. Con l'articolo II marxismo leninismo in Italia, del maggio, «Lavoro politico» sancisce la sua scelta fra il Pcd'I e la federazione marxista-leninista. Nell'agosto dello stesso anno Osvaldo Pesce e Dino Dini sono ricevuti da Mao Tse-tung e Ciu En Lai, Viva l'unità militante fra il partito comunista cinese e il Partito comunista d'Italia (m-l) ! commenta trionfalmente «Nuova Unità». E facile comprendere il prestigio che, sia pure in modo effimero, circonda il partito degli emmellisti italiani. Per «Lavoro politico» è dunque possibile intravedere nel Pcd'I le condizioni del partito rivoluzionario ispirato al maoismo «in opposizione ai gruppi minoritari o sedicenti marxisti-leninisti che tradiscono viceversa nei fatti [...] il loro carattere piccolo borghese». Alle spalle della rivista e dei suoi militanti un'esperienza che è totalmente assente ai quadri del Pcd'I: il movimento studentesco e le lotte dell'università. I contrasti sono immediati. Peraltro lo stesso partito è attraversato da tempo da divisioni non sanabili. Arriva la spaccatura fra Pesce, linea «nera», e Dinucci, linea «rossa». I colori ben poco hanno a spartire con la natura dello scontro. Alla radice le ragioni di sempre, quelle che ritroviamo nelle scissioni dell'Unione, come di altre formazioni e non solo dellemmellismo: la coerenza rivoluzionaria, la fedeltà nell' assimilazione del maoismo, la costruzione di una mitica «linea di massa» non come astratta ripetizione di principi e dogmi. «Lavoro politico» si schiera con la linea rossa. Dopo la vicenda delle due «Nuova Unità», che escono contemporaneamente il 10 dicembre, la linea nera di Osvaldo Pesce si impadronisce di nuovo della testata del giornale, mentre Fosco Dinucci fonda l'organo di stampa della corrente rossa. Ma i «rossi» non sono immuni dagli errori dei loro ex compagni e ben presto anche al loro interno gli scambi di accuse, gli argomenti prima usati dai militanti della linea nera ora servono a epurare la linea rossa dagli elementi frazionisti. Per «Lavoro politico» le difficoltà si riflettono nel clima fra gli ex componenti del gruppo redazionale. Nel suo ultimo numero, ottobre '68-gennaio '69, la rivista ormai organo del Pcd'I linea rossa, accusa apertamente Renato Curcio e Duccio Berio di essere i «portabandiera» di una deviazione ultrasinistra. Facendoci comprendere alcune delle successive opzioni di Curcio, così spiega i termini dell'accusa: «essi furono indotti — nel tentativo di giustificarla — a formulare una "teoria" completamente soggettiva e antimarxista-leninista secondo la quale il centralismo democratico e il partito sarebbero principi e strumenti "superati" perché la rivoluzione dovrebbe essere preparata attraverso accurate ricerche "teoriche", condotte da equipes di studiosi collegati intemazionalmente, e attraverso l'invenzione di "nuove" forme organizzative, non più leniniste, ma assimilabili a quelle che gruppi piccolo-borghesi alla Dutschke andavano elaborando su scala "europea" e che cercavano di imporre al movimento studentesco trentino. Essi cercavano così di evadere con fantasticherie soggettive dal duro impegno della lotta di classe nel partito [...] finendo poi per tornare nelle fila del movimento studentesco su posizioni totalmente antimarxiste...» 2. Nella primavera del '69 Curcio è di nuovo all'università di Trento, dopo burrascose discussioni con Mauro Rostagno, suo antico compagno di lotte, la breve riappacificazione per tramite di Margherita Cagol. A Trento in quel periodo opera anche Peter Schneider, braccio destro del leader del movimento studentesco tedesco Rudi Dutschke. Il rapporto col Pcd'I linea «rossa» si consuma rapidamente. Nell'estate il gruppo di Walter Peruzzi e di Renato Curcio è espulso per «avventurismo politico e frazionismo organizzato». Si chiude l'esperienza trentina di Curcio, alle sue spalle: il movimento studentesco, la rivista «Lavoro politico» e infine il fallito approdo al partito. Come per molti militanti, in quel crocevia temporale della storia del sinistrismo italiano, gli interrogativi sono più forti di prima: quale teoria per quale rivoluzione. Occorre tornare a riflettere sulle condizioni dell'azione politica. I fallimenti rinchiudono su se stessi e invitano a esasperare rigidi sistemi di coerenza. Renato Curcio insieme alla sua compagna Mara Cagol si trasferiscono a Milano. Trovano un lavoro, il primo alla casa editrice Mondadori, la seconda all'Umanitaria. Ora l'impegno politico è nel sociale: le lotte per la casa, per i trasporti, l'insorgere dell'autunno caldo. Anche Mauro Rostagno, si è trasferito a Milano ma la sua strada diverge dai suoi compagni di lotte e di università, il suo impegno si riversa nella costituenda Lotta continua, mentre Curcio e Mara Cagol lavorano alla costituzione del Collettivo metropolitano. Per tutto il gruppismo il tema dominante è organizzarsi per affrontare l'imminente scadenza contrattuale. Gli operaisti si dividono nei due distinti tronconi di Potere operaio e di Lotta continua mentre proprio gli emmellisti, i più accaniti sostenitori dell'organizzazione, se si esclude l'anomala esperienza dell'Unione, mancano all'appuntamento. Non solo la scadenza contrattuale spinge alla cosidetta «centralizzazione» ma a questa esigenza si aggiungono le sempre più inquietanti voci su un possibile colpo di Stato in Italia. Da credibilità alla paura del «golpe» il susseguirsi di attentati di ispirazione neofascista nonché lo spostamento a destra che si registra negli ambienti politici italiani sempre più inclini a una svolta d'ordine. Nel settembre '69 la nascita del Collettivo politico metropolitano; vi confluiscono vari frammenti organizzati: militanti del comitato di base della Pirelli, del gruppo di studio della Sit-Siemens, del collettivo lavoratori studenti, delle fabbriche Alfa e Magneti Marcili, della Sip, militanti che non si riconoscono in nessun gruppo. Protagonisti principali accanto a Renato Curdo: Corrado Simioni, impiegato alla Mondadori e Franco Troiano impiegato alla Siemens. Quasi a mettere in guardia e a rassicurare i propri militanti rispetto ad altre esperienze, il Collettivo metropolitano precisa di non costituirsi in gruppo con un atto volontaristico ma, partendo da situazioni di lotta concrete, i comitati hanno deciso di dar vita alla nuova struttura. Ancora una sottolineatura rispetto al panorama dell'estremismo e alle sue dispute: «attualmente il processo di costruzione del collettivo non avviene sulla base di un programma e neppure sulla base di una rosa di principi ideologici» 3. Il bollettino che, secondo la pratica sessantottina, viene immediatamente stampato non si presenta come un documento organico ma raccoglie in forma di contributi autonomi i documenti delle varie realtà che aderiscono al collettivo. Le lotte di cui riferisce sono modeste. Nei gruppi di studio della Sit-Siemens e in quello dell'Ibm i nuclei portanti sono formati da impiegati e tecnici, nascono con questa specificità e, già impegnati nel dibattito universitario sulla funzione del tecnico e del suo ruolo, vogliono collegarsi con la classe operaia. E un bisogno di fronte alla crisi del proprio status. Una contraddizione profonda fra l'essere sociale e la propria dimensione soggettiva che esaspera i tratti di una milizia politica fatta di catartiche negazioni dell'ordine e delle gerarchle sociali esistenti. Spiegando le sue finalità così scrive il gruppo di studio della Sit-Siemens: «studiare e proporre a tutti gli impiegati obiettivi ed azioni atte a migliorare le condizioni generali [...] non dall'esterno come il sindacato [...] ma dall'interno attraverso analisi e assemblee a cui tutti possono partecipare» 4. La Sit-Siemens in quegli anni attraversa una fase di crescita tumultuosa sia quantitativa che qualitativa. Processi che aumentano il malessere degli strati impiegatizi; le frustrazioni professionali si accompagnano alla crisi di identità sociale. Ma il vento del sessantotto arriva ovunque, proprio in quell'anno si forma il Gruppo di studio impiegati. Il sindacato è ancora lontano da queste tematiche, nel gruppo confluiscono varie esperienze: iscritti alla Fiom, alla Fim, militanti senza bandiera, giovani al loro apprendistato sindacale. Un'opera di sensibilizzazione, che si rivolge agli impiegati cercando di dare a essi una dimensione unitaria della lotta. Nella Lettera aperta agli impiegati della Sit-Siemens il gruppo motiva la sua scelta con la volontà di rompere la desolante frustrazione del lavoro, non «andarsene o subire» ma definire una comune piattaforma da sottoporre a tutti. I protagonisti di questa fase si ritroveranno nelle lotte del sindacato della Sit-Siemens, altri — è il caso di Mario Moretti — iniziano in questo contesto l'apprendistato rivoluzionario. Primo atto del Gruppo di studio impiegati un questionario-referendum in cui si chiede di esporre i motivi del malcontento. L'adesione è massiccia, oltre le aspettative. Si indicono le prime assemblee fuori dell' orario di lavoro. Punto centrale di sofferenza sono «gli aumenti di merito», una riprova della rottura con la vecchia mentalità impiegatizia disponibile alla discrezionalità padronale. Uno dei tanti segni della rivolta che matura nei «colletti bianchi». Dal questionario si passa ad una piattaforma di lotta, illustrata in un'affollata assemblea generale degli impiegati. La dirczione aziendale respinge le modeste richieste: leggeri aumenti salariali di tipo perequativo, ritocchi alle ferie e in primo luogo la pubblicizzazione degli aumenti di merito. Spetta al dottor Leoni, che ritroveremo fra i primi obiettivi delle nascenti Br, esprimere il «no» del padronato. Iniziano gli scioperi. «Il primo da oltre 20 anni fatto da noi impiegati, cui partecipò più del 90%» 5. Siamo nell'inverno '68 e ancora non è esploso l'autunno caldo. Gli scioperi cercano di coinvolgere, e'è voglia di parlare, discutere: «Le lotte impiegatizie del '68 sono mille miglia lontane non solo dal terrorismo ma anche dalle più blande forme di estremismo. Credo anzi che la forza del Gruppo di studio sia stata quella di non aver perso i contatti col moderatismo che, sotto la patina della "piccola rivoluzione" continuava a caratterizzare la massa degli impiegati. Non ci furono fughe in avanti...»6. Il parziale risultato ottenuto non risolve il problema del rapporto impiegati-operai. La difficoltà sarà evidente con l'emergere delle rivendicazioni operaie. I sindacati sono divisi nell'unificare le due vertenze, la C gii è disponibile, contraria la Cisl. L'assemblea al Palalido di Milano non riesce a concludersipositivamente su questo punto. Alle arretratezze della cultura sindacale si accompagnano corporativismi e diffidenze sia degli impiegati che degli operai. Inizia la riflessione all'interno del gruppo di studio: serve ancora un lavoro attorno allo specifico «impiegatizio»? All' orizzonte si profila la scadenza contrattuale. All' Ibm la situazione è molto simile a quella descritta alla Sit-Siemens, la costruzione del gruppo di studio è del marzo '69, protagonisti sono giovani tecnici, anche in questo caso la comune condizione, prevale sugli schieramenti ideologici precostituiti: «l'eterogenità politica, culturale (cattolici, marxisti, ex liberali) e sociale (alcuni tecnici, un ex capo dimessosi per motivi politici, un capo in crisi e rappresentante di commissione interna) del gruppo è la dimostrazione [...] che lo sviluppo capitalistico [...] apre continuamente nuove contraddizioni nelle società [...] e nuovi schieramenti prima impediti dal grado inferiore di sviluppo del capitale» 7. La loro prima lotta è la difesa di un capo licenziato perché colpevole di aver chiesto «di essere esonerato dalle proprie funzioni, di partecipare ai picchettaggi di far parte del gruppo politicamente schierato contro la dirczione». La difesa della commissione interna è debole, dopo una lunga trattativa con la dirczione acconsente al licenziamento anzi lo consiglia al «compagno licenziato per il suo bene». E la rivolta contro la commissione interna, seguono l'assemblea, lo sciopero spontaneo e i cortei interni. La dirczione Ibm deve tornare indietro. Anche sul fronte della lotta operaia la situazione è in movimento. L'accordo aziendale del febbraio '68 ha lasciato molti strascichi, per l'estremismo si è trattato di una «svendita»: questo il risultato di ben 72 ore di sciopero. Amarezza e delusione fra gli operai. A giugno nasce il Comitato unitario di base. Ancora non si è giunti alla divaricazione col sindacato, le differenze principali consistono nell'accentuazione della democrazia di base e nelle premesse politiche generali. Il comitato è un «nucleo di organizzazione della lotta» e non un «organo di dirczione politica della classe operaia» e come tale non prevede discriminanti ideologiche per chi vi aderisce. Eterogeneo nella sua composizione sarà sconvolto dalla crisi nel corso delle lotte contrattuali, quando due linee si confronteranno al suo interno: i sostenitori del suo farsi «organizzazione politica complessiva» e chi invece preferisce dar voce all'autonomia operaia non separandosi dal movimento. La crisi precipiterà all'indomani dell'accordo contrattuale del 22 dicembre '68, giudicato dal comitato un compromesso deteriore che costringe l'operaio a lavorare di più. Nell'estate '69, il sindacato manifesta una sua più incisiva capacità di recupero, vengono riassorbite alcune delle tematiche portate avanti dal Cub come la democrazia, la nocività, il rifiuto del taglio dei tempi di produzione. L andamento complessivo della vicenda contrattuale dell'autunno caldo acutizza le difficoltà del comitato. Più che gli obiettivi sono le forme e le finalità delle lotte a drammatizzare il rapporto col sindacato. Emerge il tema dell'illegalità, il nocciolo duro dal quale originerà il percorso della lotta armata. In un volantino distribuito alla Sit-Siemens si legge: «lo sciopero prolungato ha come effetto che noi non produciamo [...] ma il padrone per questo tempo non ci paga. [...] E necessario trovare forme di lotta che danneggino la produzione più di quanto danneggiano noi. [...] Alcune forme di lotta non piacciono alla dirczione che le dichiara illegali [...] illegali sono così lo sciopero, il picchetto, la caccia al crumiro, un vetro rotto durante le manifestazioni. [...] Legali sono invece il cottimo, il basso salario, l'intimidazione diretta o mascherata, le multe, il lavoro pericoloso o nocivo. Contro la sua volontà, contro le sue leggi dobbiamo imporre la nostra volontà, contrapporre il nostro potere» 8. Intanto il gruppo di studio Sit-Siemens ha significativamente cambiato denominazione non più Gruppo di studio impiegati ma Gruppo di studio operai-impiegati, cerca collegamenti con le altre fabbriche, con altre esperienze simili. Nelle interviste raccolte da Massimo Cavallini per il suo Terrorismo in fabbrica un operaio della Sit-Siemens così commenta questo passaggio di fase: «nato sulla spinta di una pretesa continuità con l'esperienza del '68 impiegatizio finì per negarla integralmente, perse di fatto le proprie caratteristiche di organismo di massa specificamente legato a una categoria di lavoratori e divenne gradatamente il laboratorio nel quale le più disparate tendenze del gruppismo studentesco conducevano le proprie sperimentazioni teorico-pratiche» ". Per il gruppo di studio la fabbrica non basta più, le lotte contrattuali lo hanno dimostrato: «la lotta di base sta assumendo un aspetto generale, uscendo dalla fabbrica per coinvolgere tutta la struttura sociale». Nasce da ciò «la necessità per il gruppo di darsi una dimensione adeguata al livello dello scontro, cioè di agire non solo in fabbrica ma anche nella scuola, nei quartieri, in una parola nella metropoli, di qui la costruzione di un collettivo metropolitano (Cpm) a cui il gruppo partecipa» 10. Analoghe ragioni si ritrovano nel primo documento del Collettivo metropolitano, uno strumento — come si autodefinisce — che serve ad approntare «le strutture di lavoro indispensabili a impegnare in modo non individuale-ma dell'organizzazione rivoluzionaria della metropoli e dei suoi contenuti (ad esempio democrazia diretta, violenza rivoluzionaria)» n. Il Gruppo di studio dell'Ibm, autocriticandosi per «insufficienza politica» e «opportunismi» che hanno consentito al sindacato di riassorbire le lotte spontanee nella logica contrattuale, così commenta la riflessione in corso: «rivolgersi a tutti i lavoratori [...] è stato far finta di non scorgere la realtà, non agire per individuare la sinistra di fabbrica e all'interno di questa cercarsi uno spazio politico per costituirsi quale punto di riferimento [..;]. Alla Ibm si è voluto essere il punto di riferimento di tutti i lavoratori e non lo si è stato per nessuno, si è raccolta la simpatia di tutti e si è stati considerati una frangia dissidente dei sindacati, si è voluto deviare la dirczione e il terreno dello scontro alla Ibm in opposizione alle scelte sindacali e si è stato soltanto strumento quasi sempre inconsapevole del sindacato. Errori sono stati compiuti nello scambiare per coscienza politica un generico opportunismo da "maggioranza silenziosa" che si schiera monotonamente con la tesi vincente» ". La discussione investe l'insieme della breve esperienza prodotta. Impauriti da presunti riassorbimenti, per ritrovare le ragioni del proprio esistere come gruppo si rinserrano le file, mentre emblematicamente le bombe di Milano chiudono le lotte contrattuali ". Per tutto l'estremismo è una fase di rimescolamento. Seguiamo ancora la descrizione e il ragionamento del Gruppo di studio dell'Ibm: «la crisi del Cub Pirelli (determinata dal venir meno della lotta all'indomani dell'accordo aziendale e dal non essere riuscito ad esprimere un'avanguardia operaia interna alla fabbrica), l'impasse dei gruppi Ibm e Sit-Siemens e di altri gruppi sorti come funghi nell'autunno sindacale, alcuni dei quali erano in rapida dissoluzione, sollecita una profonda revisione dei presupposti politici alla base della loro azione e un ripensamento radicale che ne giustifichino resistenza al di fuori delle organizzazioni sindacali e dei partiti della sinistra. L'alternativa è chiara: o i gruppi [...] superano questa fase, profondamente imbevuta di spontaneismo, volontarismo, settarismo, e priva quindi una seria prospettiva di classe contrapponibile alle organizzazioni che rifiutano, assumendo il punto di vista generale dello scontro tra borghesia e proletariato, oppure sono destinati ad essere spazzati via inesorabilmente dalla scena politica» M. Alla crisi dei gruppi, il Collettivo metropolitano, esasperando un astratto sistema di certezze, contrappone l'alternativa di una «lotta di classe in termini rivoluzionari il cui sbocco è rappresentato dalla lotta armata di popolo» e si autodefìnisce una particella di questo progetto: «un gruppo politico di intervento omogeneo all'interno di una area politica definita dalle strutture capitalistiche che tale area determinano, la metropoli, con l'obiettivo fondamentale di indicare la necessità e di contribuire all'organizzazione della lotta rivoluzionaria europea» 15. Il convegno di Chiavari, organizzato alla fine del 1969, approfondisce questi contenuti e in seguito al dibattito sarà pubblicato il primo documento teorico del gruppo Lotta sociale e organizzazione nella metropoli16. Attorno alla nozione di autonomia proletaria ruota sia la critica all'esistente che la riformulazione di una pratica politica antagonista al sistema: «Noi vediamo nell'autonomia proletariail contenuto unificante delle lotte degli studenti, degli operai e dei tecnici che hanno permesso il salto qualitativo 1968-69. L'autonomia è il movimento di liberazione del proletariato dal-l'egemonia complessiva della borghesia, e coincide con il processo rivoluzionario. In questo senso l'autonomia non è certamente una cosa nuova, un'invenzione dell'ultima ora, ma una teoria politica del marxismo rivoluzionario, alla luce della quale valutare la consistenza e la dirczione di un movimento di massa. Autonomia da: istituzioni politiche borghesi (stato, partiti, sindacati, istituti giuridici, ecc), istituzioni economiche (l'intero apparato produttivo-distributivo capitalistico), istituzioni culturali (l'ideologia dominante in tutte le sue articolazioni), istituzioni normative (il costume, la "morale" borghese). Autonomia per: l'abbattimento del sistema globale di sfruttamento e la costruzione di un'organizzazione sociale alternativa» ". L'obiettivo è costruire una lotta di lunga durata e, sviluppando progressivamente le proprie capacità organizzative, realizzare un processo rivoluzionario politico-militare rifiutando ogni mitizzazione di una fatidica e messianica ora X della rivoluzione. Il documento è denso di riferimenti alle teorizzazioni del gruppo tedesco Baader-Meinhof, alle analoghe esperienze francesi e alle altre formazioni della guerriglia. Richiamate esplicitamente le ipotesi del brasiliano Marcelle De Andreade, la lotta armata è assunta come forma principale della lotta di classe. Esclusa ogni possibilità di guerra antimperialistica, l'alternativa proletaria al potere deve essere da subito alternativa politico-militare. Criticata, per il suo schematismo, la «concezione corrente» del rapporto fra movimento di massa e organizzazione rivoluzionaria, una concezione che, in modo gradualistico, vorrebbe realizzare prima la conquista delle masse alla consapevolezza rivoluzionaria e poi, solo «quando le masse saranno rivoluzionarie», determinare il passaggio alla rivoluzione, si giudica astratto l'obiettivo intermedio della costruzione del partito marxista-leninista. La necessità di superare ogni illusoria processualità attualizza il progetto militare, accelera con una forzatura soggettiva i tempi rivoluzionari, fa saltare il passaggio del «partito» sostituendolo da subito con l'organizzazione clandestina. Definita «irrisoria» ogni prospettiva insurrezionale nell'Europa capitalistica, la fase è quella del «processo rivoluzionario metropolitano». In una società tardo capitalista i modelli rivoluzionari del passato non sono più applicabili. Infatti, precisa il Cpm, essendo mutati radicalmente i rapporti fra struttura e sovrastruttura, la rivoluzione diventa un fatto globale che trasforma le vecchie connessioni fra movimenti di massa e organizzazioni rivoluzionarie e quindi modifica sostanzialmente i principi dell'organizzazione. Per il Collettivo politico metropolitano già esistono le condizioni oggettive del passaggio al comunismo, il problema è solo soggettivo. Le lotte debbono avere un carattere essenzialmente urbano. Nelle metropoli, infatti, si concentra il massimo delle contraddizioni dello sviluppo tardocapitalista, «nel 1961, 14.310.000 italiani erano concentrati in 8 aree urbane, si prevede che entro il 2.001 essi saliranno a 29.153.000; metà della popolazione totale» 18. Ai dati statistici si aggiunge la sostanza politica: «la città è il cuore del sistema, il centro organizzatore dello sfruttamento economico politico, la vetrina in cui viene esposto "il punto più alto", il modello che dovrebbe motivare l'integrazione capitalistica». Ma la città è anche il punto più debole del sistema, dove le tensioni sono più acute; è qui nel suo cuore — aggiunge il Cpm — che il sistema va colpito. Col convegno di Chiavari inizia la storia del principale gruppo terroristico italiano. Un convegno come tanti nel panorama dell'estremismo di quegli anni. E diffìcile poter prefigurare i drammatici sbocchi di un dibattito che non si discosta molto dai temi che ossessionano il movimento: la rivoluzione, l'anti-revisionismo, la lotta armata e la violenza. Sono affermazioni teoriche e principi che trasudano nella pubblicistica minoritaria, ridondando nel linguaggio dei volantini, risuonano tumultuose nelle assemblee. Un episodio senza clamore se confrontato alle battaglie di piazza che già hanno contrassegnato i primi mesi della strategia della tensione. Per i gruppi più consolidati un episodio minore, senza molta consistenza. Non manca la goliardia. Il convegno si svolge all'albergo Stella Maris di proprietàdella Curia, «la casa del vescovo» come scriveranno i rotocalchi ricostruendo in modo colorito la storia delle Br. La notte è come un' occupazione di facoltà nei momenti degli happening collettivi. I religiosi sono costretti a far intervenire le forze dell'ordine. I partecipanti al convegno sono tutti schedati. Ma gli aspetti di colore non tolgono nulla alla drammatica sostanza: a Chiavar! il Cpm ha «posto all'ordine del giorno il problema della lotta armata e della violenza: su questi temi si creano profonde divisioni ma, nello stesso tempo, si sviluppano nuove aggregazioni» 19. La violenza delle parole si tramuterà nella violenza delle azioni e delle armi.
La vita del Collettivo politico metropolitano può datarsi dal settembre '68, momento della sua costituzione, al luglio 1970 quando la sigla scompare sostituita dall'omonimo titolo della rivista del gruppo «Sinistra proletaria». Negli Appunti per una discussione, distribuiti in preparazione del convegno di Chiavar!, così era stata posta la questione della violenza rivoluzionaria: «... non è un fatto soggettivo, non è un'istanza morale: essa è imposta da una situazione che è ormai strutturalmente e sovrastrutturalmente violenta. Per questo la sua pratica organizzata è ormai un parametro di discriminazione. Pratica organizzata di contro a rabbia operaia (episodica/soggettiva) sta a indicare che lo scontro violento è una necessità intrinseca necessaria, sistematica e continua dello scontro di classe». 20. Il tema sarà sviluppato organicamente nel documento del gennaio 1970: Lotta sociale ed organizzazione nella metropoli. La scelta «armata» si realizzerà solo alla metà del 1970, fino ad allora il gruppo consolida i suoi rapporti, manifesta un certo dinamismo ma senza mettersi particolarmente in vista ne per la statura dei suoi dirigenti ne per l'aggressività delle lotte che conduce. Per lo più è una presenza interna alle stesse situazioni che lo hanno originato la Sit-Siemens, l'Ibm, il Cub della Pirelli. L'intervento del Collettivo politico metropolitano segue andamenti tipici al complesso dell'estremismo e, in quei primi mesi del 1970 guarda con attenzione al «sociale». Nell'elaborazione del gruppo, sia pure su una linea tutta ideologizzata e arretrata rispetto alle più generali tematiche del movimento femminista, trova spazio anche la riflessione sull'e-mancipazione della donna. Il volantino distribuito in occasione del marzo '70 ha la pretesa di individuare quella che Soccorso rosso nella sua ricostruzione definisce «una linea alternativa sia alla politica cattolica che a quella riformista, accusata di condurre la lotta "a colpi di mimosa". Alla domanda "emancipazione della donna!?" il Collettivo metropolitano risponde "la vera emancipazione sta nella lotta di classe" » 21. Il gruppo conquista una certa egemonia fra studenti e lavoratori. Il documento del loro collettivo, gennaio '70, che aderisce al Collettivo metropolitano, riprende temi già affrontati dal movimento studentesco: ristrutturazione della scuola, il tecnico inteso come «forza lavoro potenziale e quindi come parte integrante della classe operaia». Ma il punto più qualificante, che differenzia la loro elaborazione dal movimento lavoratori studenti torinesi e dal? esperienza della Corrente proletaria di Milano, consiste nella politicizzazione complessiva delle lotte e nella vocazione a una fase organizzativa più strutturata: «La lotta direttamente politica e non rivendicativa risulta essere il portato di una esperienza storica quale quella del '68-'69. L'autonomia si è espressa in forma ancora embrionale ma in modo preciso. Il suo sviluppo che consiste oggi nella costruzione di un movimento complessivo, è l'unica preoccupazione che i militanti della sinistra tra i lavoratori studenti si devono assumere. Le leggi, le riforme, le rivendicazioni sono preoccupazioni che si assumono le forze politiche che vogliono sostenere, piuttosto che abbattere, il sistema oppressore» 22. Anche se il carattere rivendicativo è considerato secondario, la lotta principale degli studenti-lavoratori si concentra sullarichiesta di abolire le tasse. Si organizzano manifestazioni e cortei; le parole d'ordine sono aggressive e dure. Alla repressione, controlli disciplinari e fiscalismi vari, la replica è: «Della repressione non ci si lagna, ma la si combatte». La mobilitazione tocca il suo apice il 24 marzo '70. Il volantino dei lavoratori-studenti dell'Istituto Molinari precisa che quello che conta non è tanto la natura della rivendicazione quanto la sua forza di mobilitazione: «la lotta non va esaurita all'interno del nostro istituto e neanche all'interno degli altri istituti serali [...] bensì deve porsi nella dimensione generale dello scontro di classe in cui oggi siamo coinvolti sia in fabbrica che nei quartieri». In un volantino dal titolo «lavoratori-studenti, contro lo sfruttamento ribellarsi è giusto», il Collettivo politico metropolitano commentando la manifestazione cittadina del 24 marzo ne sottolinea: «la riscoperta del carattere autonomo della nostra lotta; la coscienza di essere un elemento della lotta di classe che sta scuotendo tutto il paese; l'aver individuato il vero nemico e i suoi servi aperti e mascherati, cioè i falsi amici riformisti». Passando in rassegna le parole d'ordine della manifestazione: lo Stato borghese si abbatte non si cambia; presidi e questori fuori dai coglioni; sindacato = polizia operaia; Pci + sindacato = popolo sfruttato; riformismo No-rivoluzione Sì; conclude che esse dimostrano con chiarezza «il grado di coscienza politica» raggiunto dal movimento 23. Le lotte per la casa a Milano, nel giugno, coincidono con il passaggio di fase; a luglio esce la rivista «Sinistra proletaria». Nei mesi precedenti il gruppo si è servito di un foglio di lotta dalla pubblicazione discontinua. Ormai sente l'esigenza di un più organico strumento teorico per coprire non solo la realtà milanese ma estendere la sua influenza ad altre situazioni. Nello stesso periodo confluisce in «Sinistra proletaria» il gruppo di Reggio Emilia, capeggiato da Alberto Franceschini24. Nella loro città sono noti come il «gruppo dell'appartamento», si riuniscono nell'appartamento di via Emilia San Pietro, n. 25; alcuni come Franceschini sono reduci della Fgci, il loro dissenso risale alla fine del '68 ma solo nel novembre '69 si sono costituiti in Collettivo politico operai-studenti. Modesto e localizzato il loro lavoro politico, ma molto intenso fra i suoi principali protagonisti il dibattito sulla lotta armata e sulla clandestinità. NelTI-talia di quegli anni le notizie sui vari gruppi politici che si formano e si sciolgono circolano rapidamente nell'underground dell'estremismo. Il Collettivo politico operai studenti di Reggio cambia nome e dall'estate '70 usa la sigla Sinistra proletaria. Sotto la testata della rivista il simbolo: falce, martello e fucile incrociati. Nel comitato di redazione figurano: Renato Curcio, Sandro D'Alessandro, Gaio Di Silvestre, Marco Fronza, Marty, Alberto Pinotti, Corrado Simioni; collaborano: Duccio Berio, Alberto Franceschini, Vanni Mulinaris. Con «Sinistra proletaria» dalla discussione teorica sui tempi e sui modi della lotta armata si passa alla clandestinità e alla militarizzazione. Sul numero zero della rivista ancora in attesa di autorizzazione una nuova sistemazione delle teorie del gruppo. Tutto orbita attorno alla crisi del dopo autunno caldo. Un precipitato di delusione soggettiva, di stallo e difficoltà dell'estremismo, di sfiducia nel quadro politico democratico. Anche in questo caso l'analisi ha molti punti di consonanza coll'insieme delle teorie che avanzano in quel periodo nel gruppismo. La principale paura di Sinistra proletaria, lo avevano già avvertito i gruppi di studio della Sit-Siemens e dell'Ibm, è l'istituzionalizzazione delle lotte, i tentativi e le compiacenze a inquadrare i conflitti sociali nelle regole della democrazia istituzionale. Una preoccupazione fondata per chi concepisce la politica come rottura violenta del sistema. Sinistra proletaria è ossessionata dal ritorno alla normalizzazione e in questo contesto vede l'impegno del sindacato sui temi delle riforme: «II sindacato diventa così il perno intorno al quale si gioca Finterò processo di ristrutturazione del capitale in fabbrica e nella società [...]. Il sindacato ha cercato di far pesare tutta la propria forza organizzata per imbrigliare i modi della spontaneità e dell'autonomia operaia [...] ha lanciato un nuovo grande ciclo di lotte: il ciclo delle "lotte sociali" »25. E il luglio '70, il mese della crisi politica, del decretone del governo, della dichiarazione della dirczione del Pci sulla situazione economica in cui si afferma che le conquiste operaie si difendono «sulla via dell'espansione produttiva». Il foglio di lotta «Sinistra proletaria» che esce accanto alla rivista come volantone-propaganda insiste: «II contratto non è servito a portare la pace in fabbrica [...]. Nelle fabbriche si è consolidato il metodo dell'insubordinazione, delle lotte improvvise e non vi sono controlli che tengano. L autorità del capitale è crollata [...]. Anche quegli strati di popolazione più fedeli al potere: bancari, ospedalieri, statali, professori ecc., sono usciti dal torpore. L'insubordinazione sta generalizzandosi: ecco la vera crisi [...]. La classe operaia è all'attacco in tutta Italia ed il padrone ha deciso di difendersi nell'unico modo possibile, dichiarandoci la guerra: Fiat (21.000 sospesi). Autobianchi (3.000 sospesi), Fatme (serrata) ecc. [...]. Il potere ha deciso una svolta a destra: se noi non pieghiamo la testa il padrone non mette via il bastone. Questo oggi dobbiamo capire: il potere è in crisi, e noi, la classe operaia in lotta il suo cancro» 26. Dunque il movimento non ha paura della crisi, risponde con la sua insubordinazione al dominio capitalistico e alla svolta a destra che vorrebbe imporre il potere. Tuttavia questa forza spontanea non basta a fronteggiare lo «scontro che il capitale impcrialistico impone alla sinistra proletaria». Al salto di qualità compiuto dal capitale «!' autonomia proletaria è in grado attualmente di opporre soltanto la violenza di massa "disarmata" »27. Rispondere alla crisi, sfruttarla a proprio vantaggio per Sinistra proletaria significa «superare la fase di un movimento fluido» e compiere scelte tattiche, strategiche e organizzative all'altezza della situazione di scontro. Il nemico ha deciso «di armarsi di più», i padroni la guerra l'hanno già dichiarata, ma chi vuole colpire, licenziare, aggredire la classe operaia deve trovare una «dura risposta». «Gli anni di lotte autonome non sono passati invano, noi oggi sappiamo che incontro al padrone armato [...] non si va disarmati»28. Occorre «imparare a colpirlo» per primi e «quando è ancora impreparato». Per questo: «Costruiamo nuclei operai di difesa e di attacco, impariamo a proteggerci le spalle, a difendere un compagno quando viene aggredito [...]. L'organizzazione della violenza è una necessità della lotta di classe» m. Il gruppo è presente insieme a Lotta continua e al movimento studentesco in alcune lotte sociali nella città di Milano. Sono i mesi delle occupazioni delle case nei quartieri popolari, le lotte di corso Tibaldi. Gli scontri con la polizia sono ampiamente resocontati nel numero 1/2 di «Sinistra proletaria». Ma, mette in guardia la rivista, «non ci si può illudere che sia possibile prendere il potere in un quartiere solo». Nei vari fogli di lotta gli slogan sono sempre più aggressivi: «prendiamoci la città», «prendiamo i trasporti», «prendiamoci la casa, l'affitto non si paga» e preannunciano nuove forme di lotta in nome di «una nuova giustizia proletaria». Il 20 ottobre 1970 un foglio di lotta di «Sinistra proletaria», in una fase giudicata «una scadenza di lotta decisiva nello scontro di potere», proclama che «la parte più decisiva e cosciente del proletariato ha cominciato a costruire una nuova legalità», di cui sono portati ad esempio: «il sequestro e la gogna messi in atto a Trento dagli operai della Ignis contro i fascisti provocatori che avevano premeditatamente accoltellato due di loro; l'occupazione e la difesa delle case occupate, come unico modo per avere finalmente la casa...». E annuncia l'apparizione delle Brigate rosse, definite «organizzazioni operaie autonome» che rappresentano: «i primi momenti di auto-organizzazione proletaria per combattere i padroni e i loro servi sul loro terreno "alla pari" con gli stessi mezzi che essi utilizzano contro la classe operaia: diretti, selettivi, coperti come alla Siemens» w. Di lì a poco la parola d'ordine diventa «organizziamo la nuova resistenza», l'obiettivo è far crescere la «guerriglia di popolo», radicando fra le masse proletarie in lotta il principio maoista secondo cui «non si ha il potere politico se non si ha il potere militare», in sostanza «educare» alla lotta armata 31. Negli argomenti si avverte l'influsso della Gauche prolétarienne. Nell'estate Renato Curcio ha avuto modo di incontrare in Francia alcuni dei suoi militanti. Già nel primo documento teorico del Comitato politico metropolitano la dimensione del processo rivoluzionario è quella europea e Sinistra proletaria sisente parte organica delle esperienze internazionali del terrorismo, da esse trae motivo e ragione delle sue teorizzazioni. Nel giugno del '70, quando il gruppo francese sarà messo fuorilegge, «Sinistra proletaria» chiedendosi retoricamente perché, commenta: «La risposta ufficiale è che la Gauche pratica la violenza di classe e che [...] fa propaganda per l'abbattimento violento dello stato borghese. E vero. [...]. «Gli operai sequestrano i padroni, sabotano la produzione, viaggiano gratis in metropolitana, gli studenti si battono contro i poliziotti, i piccoli commercianti lottano contro il governo, le avanguardie politiche sequestrano i prodotti dei supermercati di lusso e li distribuiscono ai lavoratori immigrati baraccati [...]. Più diffìcile sarà mettere fuori legge il proletariato francese. L'Indocina è molto più vicina di quanto appaia sulla carta geografica» 32. Il gruppo di Curcio vuole rendere esplicita la contraddizione fra lotta armata e progetto rivoluzionario e da ciò far derivare come necessità la scelta militare: «La guerriglia è ormai uscita dalla sua fase iniziale [...] non appare più come puro e semplice detonatore [...] ma ha conquistato l'ampiezza dell'unica prospettiva strategica che possa superare quella insurrezionale...» di conseguenza — scrive nell'ottobre '70 — «il capitalismo unifica il mondo nel suo progetto di controrivoluzione armata, il proletario si unifica nella guerriglia a livello mondiale l'Italia e l'Eu-ropa non sono eccezioni storiche» 33. Nella pratica di «Sinistra proletaria» le minacce, la violenza, sono manifestazioni concrete di quella «giustizia proletaria» che deve esprimersi nelle varie forme di lotta 34. Alla Sit-Siemens, e alla Pirelli dove ha preso le mosse la storia del Collettivo metropolitano ormai zona di influenza di «Sinistra proletaria», maturano le prime azioni delle Brigate rosse. Non si discostano da analoghe azioni di violenza perpetrate dai settori più oltranzisti del gruppismo: volantini minatori, elenchi di crimini perpetrati da «capi legati ai padroni indicati alla vendetta proletaria». La propaganda segue gli stereotipi delle descrizioni procla-matorie e minacciose di Potere operaio e di Lotta continua. Valga come esempio il seguente brano tratto da «Lotta continua» quindicinale: «Dopo ogni azione, corteo, blocco merci, blocco del grattacielo ecc., ogni reparto si trasforma in un tribunale proletario: quelli che pur potendo non hanno partecipato vengono fatti uscire dalla fabbrica. Un esempio significativo: in un reparto del magazzino si viene a sapere che 7 hanno lavorato di domenica, 4 operai e 3 capi. Si discute e i crumiri vengono "sospesi" per 2 giorni (gli operai) e per 3 giorni i capi; 3 giorni perché sono i capi e perché durante la discussione uno ha mancato di rispetto agli operai dicendo che se ne sbatteva [...]. Non si tratta solo di difesa dell'unità: gli operai imparano ad esercitare il potere e ci prendono gusto» 35. Analogie verbali che corrispondono al moltipllcarsi di una microconflittualità diffusa che fa della violenza un sostituto della politica e non sa più distinguere fra la prospettiva rivoluzionaria tanto evocata e il gesto disperato e solitario da piccolo gruppo. Il confuso confine fra sovversivismo e illegalità renderà equivoca la distinzione fra violenza collettiva e presunta esemplarità avanguardistica delle prime azioni terroristiche. Equivoco sarà il discrimine teorico-ideologico, condizione che consentirà al terrorismo di svilupparsi all'interno delle stesse situazioni di lotta dell'estremismo utilizzandone le contraddizioni. Equivoche saranno le contiguità, un fertile terreno per aumentare le file delle prime formazioni armate. Ma questo torbido passaggio sarebbe inspiegabile senza fare riferimento al clima politico dei primi anni settanta. L estremismo ha fatto della rivoluzione il suo mito, anche la lotta armata appartiene alla sue ideologiche fumisticherie. Ma tutto ciò non basta. E non sono sufficienti neppure le indagini psicologiche sui singoli protagonisti della scelta armata, le loro frustrazioni, le loro provenienze culturali e sociali. Certo sono componenti importanti in particolare se relazionate alla più generale crisi di identità di ampi strati giovanili e non, ma non basterebbero a spiegare un fenomeno che convive indisturbato per molti anni ai margini di un movimento come quello prodotto dalla cultura del sinistrismo, non assimilabile nella sua interezza alterrorismo. Anzi proprio i vari coinvolgimenti teorici o anche operativi di singoli gruppi, settori, dei partiti del gruppismo, la sua indubbia capacità riproduttiva sono la riprova di un fenomeno che, al di là della materializzazione delle singole azioni terroristiche, interessa aree consistenti di militanti e diventa cultura e questione politica. Fraintendimenti rivoluzionari che entrano in violenta risonanza con l'Italia del dopo Sessantotto, del dopo autunno caldo, del dopo piazza Fontana.
La prima apparizione delle Brigate rosse risale alla primavera del '70: un comizio volante al quartiere di Lorenteggio. Segue la distribuzione di volantini alla Sit-Siemens di piazza Za-vattari, un lungo elenco di crumiri e capi indicati alla «vendetta proletaria» dei lavoratori della Sit-Siemens di Settimo Milanese. La stella a cinque punte, il macabro marchio delle Br, compare il 17 settembre 1970 in occasione dell'incendio dell'auto di Giuseppe Leoni, direttore centrale del personale della Sit-Siemens. Nessun volantino rivendica l'azione. Le bombe incendiare sono state sistemate contro la serranda del box. I danni sono modesti, i familiari del dirigente, svegliati dalle esplosioni, accorrono a spegnere l'incendio. Incollate sul muro della serranda due strisce di carta con la scritta «Brigate rosse». La stessa notte un altro dirigente della Sit-Siemens, l'ingegner Giorgio Villa, trova infilato nel tergicristallo della sua macchina un biglietto di carta quadrettata «Ingegner Villa, quanto durerà la Ferrarina? Fino a quando noi decideremo che è ora di finirla con i teppisti. Brigate rosse». Il 20 ottobre 1970, un foglio di lotta di Sinistra proletaria annuncia la costituzione delle Br. Alla Pirelli le lotte per il rinnovo del contratto sono aspre, numerosi gli episodi di violenza, quello che nella pubblicistica estremistica dell'epoca viene definito «l'esercizio del potere proletario». Presentandosi all'appuntamento con la fabbrica «Sinistra proletaria» distribuisce uno dei suoi fogli di lotta dal titolo Cosa vogliamo? Vogliamo il potere. La conclusione è lapidaria: «Inutile spendere troppe parole; meglio dire subito che chi interviene o si adopera contro la lotta e gli interessi dei lavoratori è un nostro nemico e come tale va colpito!» 36. Non è difficile comprendere qual'è il dibattito interno alla fabbrica e ai gruppi estremistici che vi si muovono dentro e fuori. Esasperare la lotta è il loro principale obiettivo. Fra i gruppi il confronto è una perenne lotta per l'egemonia. Sinistra proletaria ha già aperto la sua polemica con Lotta continua. Non si possono evocare violenza e lotte dure senza trame tutte le conseguenze. Contro i padroni la principale coerenza è la capacità di «colpire» i nemici degli interessi dei lavoratori. Di lì a poco, 1'8 novembre '70, anche alla Pirelli vengono ritrovati volantini delle Br, contengono l'elenco di dirigenti da colpire. Le indicazioni sono precise: indirizzo di casa e telefono. E iniziata la schedatura. Il 27 novembre, ancora l'incendio di una macchina: è la 850 di Erman-no Pellegrini capo delle guardie della Pirelli Bicocca. Segue, 1'8 dicembre, l'incendio della 1.750 di Enrico Loriga capo del personale. AU'inizio di dicembre, da Roma arrivano notizie su un misterioso colpo di stato preparato dal principe nero Junio Valerio Borghese. Se ne saprà poco, le notizie sono minimizzate, solo dopo qualche anno si ricostruiranno alcuni tasselli del complotto. A Milano un altro grave fatto di sangue. Teatro è ancora via Larga, dove aveva trovato la morte l'agente Annarumma; l'occasione: l'anniversario della strage di piazza Fontana. La polizia si scontra con gli estremisti, un candelotto lacrimogeno colpisce in pieno lo studente Saverio Saltarelli, l'inchiesta successiva accerterà che il candelotto è stato sparato ad altezza d'uomo. I fatti del 12 dicembre '70 inducono il prefetto di Milano, Libero Mazza, a redigere l'omonimo rapporto. Secondo l'analisi nella sola Milano agiscono 20 mila estremisti pronti a mettere a soqquadro la città. Descrivendo l'assetto di guerra del sovversivismo così si esprime il rapporto: «Questi estremisti dispongono di organizzazione, equipaggiamento ed armamento che può qualificarsi para-militare: servizio intercettazione delle comunicazioni radio fra i vari gruppi, servizio intercettazione delle comunicazioni radio della polizia, elmetti, barre di ferro, fionde per il lancio di sfere d'acciaio, tascapane con bottiglie Molotov, selci, mattoni, bastoni, ecc.» 37. Anche a Roma compaiono le Brigate rosse, loro bersaglio non è un dirigente d'azienda, ma il fascismo. Tentano di incendiare l'appartamento di Junio Valerio Borghese. Non riescono nel loro intento. Il 25 gennaio '71, le Br entrano nella scena politica nazionale. Sulla pista di prova pneumatici della Pirelli di Lainate un commando innesca 8 bombe incendiarie, bottiglioni di plastica pieni di benzina, nel rogo che segue rimangono distrutti 3 autoveicoli. Davanti all'entrata della pista viene lasciato un cartello con la scritta «Della Torre — contratto — Tagli della paga — Mac-Mahon — Brigate rosse». I riferimenti sono evidenti: le lotte alla Pirelli, il licenziamento del meccanico Della Torre, le occupazioni delle case. Cinicamente nel loro sesto comunicato di rivendicazione, del 5 febbraio, commentano gli errori tecnico-pratici che hanno consentito che 5 degli autotreni parcheggiati si siano salvati. Un'azione «non eccellente» e aggiungono «ma sbagliando si impara la prossima volta faremo meglio». Il giorno dopo «l'Unità» riferisce, senza troppa ridondanza, dell'attentato: «Chi lo ha compiuto, pur mascherandosi dietro anonimi volantini con fraseologia rivoluzionaria agisce per conto di chi, come lo stesso Pirelli, è interessato a far apparire agli occhi dell'opinione pubblica la responsabile lotta dei lavoratori per il rinnovo del contratto come una serie di atti teppistici»38. , Le bombe di Lainate suscitano la reazione negativa di «Lotta continua»; «Noi crediamo che azioni del genere [...] siano sbagliate [...]. Proprio perché le masse proletarie non hanno bisogno di comprendere che ci vuole la violenza e quindi non sono necessarie le azioni esemplari [...] 1 organizzazione militare delle masse non si costruisce perché alcuni gruppi cominciano ad attuare azioni militari [...]. Si costruisce a partire dalla realizzazione degli organismi politici di massa stabili e autonomi [...]. Azioni come quelle delle Br vanno ad alimentare il disegno di provocazione antioperaia portato avanti da padroni fascisti e polizia, dando oggettivamente una mano alla politica padronale degli opposti estremismi [...]. Attività come quelle delle Br e gruppi similari sono un ostacolo alla crescita dell'autonomia proletaria e del proletariato e dalle avanguardie rivoluzionarie saranno isolate...»39. Ma in sostanza Lotta continua si limita a polemizzare con il soggettivismo dell'azione terroristica, ne contesta la natura avanguardistica del tutto separata dall'iniziativa delle masse. Il commento tuttavia lascia ampi margini di disponibilità verso quella che viene definita «l'organizzazione militare delle masse», un'ossessione che renderà il gruppo permeabile all'insidia terroristica e il suo sviluppo verrà vissuto e interpretato come il concreto manifestarsi di una tendenzialità eversiva interna ai conflitti sociali. Alla Pirelli, tra il dicembre '70 e l'aprile '71, compaiono 7 comunicati tutti legati alle varie fasi della lotta. U primo comunicato, un lungo elenco di dirigenti, di crumiri, di guardiani con tanto di indirizzo, si conclude con una firma al singolare «Brigata Rossa». Lo stesso sarà per gli altri, quello dedicato al licenziamento del meccanico Della Torre e la rivendicazione dell'attentato alla pista di Lainate 40. Il comunicato n. 7, minatorio programma, spiega la fisionomia del gruppo e i suoi obiettivi: «Che cosa sono dunque le Brigate rosse? Sono gruppi di proletari che hanno capito che per non farsi fregare bisogna agire con intelligenza, prudenza e segretezza, cioè in modo organizzato. Hanno capito che non serve a niente minacciare a parole e di tanto in tanto esplodere durante uno sciopero. Ma hanno capito anche che i padroni sono vulnerabili nelle loro persone, nelle loro case, nella loro organizzazione, che gruppi clandestini di proletari organizzati e collegati con la fabbrica, il rione, la scuola e le lotte possono rendere la vita impossibile a questi signori» 41. A testimoniare l'avvenuta moltiplicazione organizzativa, si passa dal singolare «Brigata rossa» al plurale. Procede la schedatura dei «servi del padrone», e la formazione degli «archivi»; il linguaggio pienodi riferimenti particolari dimostra volutamente la conoscenza interna della situazione di fabbrica, avvertimenti di stampo mafioso lasciano intendere cose e circostanze, e si rivolgono a chi conosce le cose. Si minaccia: «questi spioni meritano la gogna! Per un occhio due occhi, per un dente tutta la faccia»; si evoca una fosca «giustizia proletaria», che emana «sentenze» applicate dal «Tribunale del popolo». Si cerca di sfruttare le tensioni interne, esempio tipico il comunicato sul licenziamento alla Pirelli del meccanico Della Torre: «Un buon compagno: uno dei nostri, 50 anni e due figli. Quadro di punta della Cgil, 25 anni di attività sindacale. Comandante partigiano. Tirava le lotte. Lo hanno licenziato. Lo hanno fatto in due: i padroni prima, i sindacati poi» 42. Il padrone è sempre lo stesso nella fabbrica e nella società, colpirlo in fabbrica significa anche colpire la sua forza nella società: «Perché anche Mac Mahon», il quartiere delle case occupate; la risposta è semplice: «il padrone che ci spreme in fabbrica è lo stesso padrone che ci aumenta il costo della vita, che non ci permette di avere una casa decente se non rubandoci quei pochi soldi che gli strappiamo con dure lotte. Quelle famiglie costrette a occupare le case in via Mac Mahon già pagate con i loro contributi, lo hanno fatto per togliere loro ed i loro figli dalle baracche malsane dei famigerati "centri sfrattati". Il padrone gli ha risposto trattandoli con la violenza dei manganelli e dei lacrimogeni della polizia. A Lainate è stato colpito lo stesso padrone che ci sfrutta in fabbrica e ci rende la vita insopportabile fuori» 43. Replicando ai commenti della stampa sull'attentato di Lainate, provocatori non sono coloro che praticano la violenza rivoluzionaria ma i padroni con la loro tracotanza: «Provocatore è Leopoldo Pirelli, via Borgonuovo n. 18, tel. 651.421 — Milano—, il quale illudendosi di stroncare il movimento in lotta che colpisce con sempre maggiore forza il suo potere ha dato fuoco ai magazzini di Bicocca e Settimo torinese. Egli spera di prendere due piccioni con una fava: stroncare il movimento di lotta addossandogli responsabilità che non ha e farsi pagare dal-l'assicurazione nuovi capannoni. La provocazione è un'arma che i padroni non smetteranno mai di usare. Ma non si illudano i padroni e i loro "utili idioti", perché la classe operaia sa ormai distinguere chiaramente tra la giusta violenza del proletariato in lotta e l'ottusa violenza criminale dei padroni! Per la rivoluzione comunista: Brigata rossa» 44. Ormai della lotta armata si deve parlare, fa notizia e impone la discussione. Con una sincronia che fa riflettere, tutti i comunicati delle azioni Pirelli vengono pubblicati, nell'aprile '71, sulla rivista situazionista «Re nudo». La scelta della clandestinità non è immediata, per tutta una fase convive con forme di attività politico-legali; il passaggio si precisa con l'esaurirsi dell'esperienza di «Sinistra proletaria» quando la rivista è sostituita da «Nuova resistenza». Il gruppo si pone l'obiettivo di estendere la propria influenza e di intensificare la «propaganda» della lotta armata attorno alla proposta organizzativa della «resistenza proletaria». Il primo numero di «Nuova resistenza», «giornale comunista della nuova resistenza», esce nell'aprile del 1971, sotto la testata la scritta «Proletarii di tutto il mondo unitevi» e accanto il simbolo di Sinistra proletaria: falce, martello e fucile incrociati. Il secondo e ultimo numero sarà del maggio, sulla copertina al posto di una mano che impugna un mitra, vi sono più mani che impugnano più mitra. «Nuova resistenza» era stato lo slogan della Gauche proletarienne. La parola d'ordine scelta per la testata del giornale non vuole evocare richiami nostalgici, al contrario si prefigge l'ambizione di indicare l'apertura di un nuovo ciclo politico: «l'orizzonte nuovo che ci si apre dinanzi e la continuità con tradizioni di lotta che seppur pervertite da una guida revisionista o borghese hanno coinvolto le migliori forze del nostro paese» 45. Tornano alla mente i proclami antirevisionisti di «Lavoro politico», la condanna della direziono borghese dei partiti della classe operaia e gli stereotipi della rivoluzione tradita. Si precisa subito, però, nessuna «riproposta della viziosa tematica resistenziale», nessuna riedizione di quegli «umori difensivi che alimentarono quella lotta contro gli aspetti aberranti della democrazia». Non di questo si tratta ma di una proposta «offensiva» che, «nel quadro della guerra mondiale imperialista», vuole reagire alla controrivoluzione armata con la «lotta rivoluzionaria dei proletari, dei popoli e delle nazioni oppresse». Il giudizio di «Nuova resistenza» sugli scenari politici è catastrofico, ad esso fa da contrappunto l'enfasi con cui si rappresenta lo sviluppo della lotta di classe. Un' enfasi che in alcuni passaggi si colora di espressioni poetiche come «cresce il fiore della lotta armata», «si avvicina la primavera di una forte resistenza», a cui fa da schizofrenico contrasto l'ineluttabilità della violenza, della guerra e della morte: «Compagni anni di lotte quotidiane su tutti i problemi della nostra vita produttiva e sociale, danno finalmente un primo e rilevante risultato: lo stato dell'ordine e della strage è sconvolto da contraddizioni non risolvibili e la crisi di regime è ormai prossima al punto del tracollo» 46. Non ce più spazio per un recupero democratico, di fronte alla «primavera» di una nuova resistenza, la classe dominante perde la testa, è presa dal terrore e tenta di «fermare la storia». Nascono così gli attacchi forsennati alle forme di lotta, la militarizzazione degli apparati, le complicità nei confronti della destra. In questo contesto non servono ne «colpi di Stato da baraccone» ne miopi disegni di rafforzamento delle «istituzioni repubblicane». In una fase ormai avanzata dello scontro «dove rivoluzione e controrivoluzione si fronteggiano "assaggiandosi" vicendevolmente, un problema di fondo si fa avanti e bussa alla porta di ogni gruppo rivoluzionario: il problema di una strategia unitaria del movimento di lotta» 47. All'interno del gruppo ancora si discute sulla scelta da seguire. Tre linee si confrontano tra loro: i sostenitori della rigida clandestinità; chi, pur riferendosi alla lotta armata, privilegia un radicamento fra le masse; chi infine prospetta l'estensione visibile della violenza diffusa 48. Su «Nuova resistenza» un'ampia rassegna dei documenti della guerriglia internazionale. Per la prima volta è pubblicato un lungo documento della Rat a cui si aggiunge l'intervista ad un tupamaro. Un lavoro di documentazione che vuole essere un contributo a sciogliere gli ostacoli che si frappongono a una scelta coerente verso la prospettiva armata: «presentando la pratica, le tesi e le tendenze di quei movimenti che hanno come base comune lo sviluppo della guerriglia come forma di lotta dominante per la liberazione della classe operaia da ogni forma di sfruttamento» 49. Non è solo la ricerca di informazioni o il tentativo di legittimare la propria ipotesi, ma la volontà di superare ogni generica solidarietà e realizzare rapporti concreti per un allargamento della pratica rivoluzionaria armata. Di questo fra l'altro si era discusso nel viaggio di Curcio a Parigi quando si era incontrato con Baader e con i francesi50. Intanto sul piano interno si avvia il confronto che porterà all'unificazione coi Gap. Nel tentativo di lanciare un ponte verso altri settori dell'extraparlamentarismo, «Nuova resistenza» distingue tre principali forme di violenza, espressioni di un unico potenziale rivoluzionario da incanalare verso un medesimo sbocco armato: «La violenza spontanea non di massa, il modo peggiore di esprimere una "giusta esigenza", la violenza spontanea di massa, come i cortei interni, le lotte spontanee in fabbrica; infine le azioni partigiane, i primi momenti di una volontà proletaria d'organizzazione politica armata»51. Eliminata la dicotomia partito-spontaneismo, partito e sua organizzazione armata, «Nuova resistenza» considera chiusa la fase del gruppismo, e ne propone il superamento in chiave militaristico-politica ipotizzando: «Un'unica realtà organizzativa politica e armata che fa giustizia delle distinzioni opportuniste tra partito e guerriglia, tra organizzazione dei politici e organizzazione dei militari». «Nuova resistenza» lascia alle spalle le annose dispute sul partito, le estenuanti discussioni della prima formazione politica di Curcio, Berio e degli altri. Non viene prima il partito con la sua teoria e poi la lotta armata, una gradualità impraticabile e viziata da idealismo e opportunismo, ma partito e lotta armata formano un tutto organico. E la teoria del partito-guerriglia. Ne consegue l'attenzione e la polemica di «Nuova resistenza» nei confronti delle altre formazioni che hanno scelto la lotta armata. I Gruppi d'azione partigiana hanno già fatto parlare di loro. Hanno firmato alcuni attentati: al consolato Usa, a una sededel Psu, al deposito Ignis di Trento, alla raffineria Garrone. Curiosità e interesse avevano suscitato le «tramissioni del popolo» captate a Trento e a Milano. I loro comunicati erano stati ampiamente ripresi da «Lotta continua», «Potere operaio» e da «Sinistra proletaria». La Dichiarazione politica, il loro principale documento teorico, è pubblicata nell'aprile '71 su «Potere operaio» quindicinale. L'analisi è schematica. Secondo i Gap si è di fronte a un imminente colpo di Stato, da ciò fanno scaturire il carattere difensivo dell'organizzazione nonché una certa apertura al «revisionismo» considerato, in virtù della sua tradizione, ancora disponibile alla lotta armata nel momento di una stretta autoritaria e repressiva: «anche la sinistra tradizionale rappresentata dal Pci [...] vede ogni giorno con preoccupazione, sempre più ristretto il suo campo di manovra». Nel paese cresce la necessità di «costruire un fronte ampio contro il fascismo, contro il padronato capitalista e contro l'imperialismo...». Segue la provocatoria domanda «vogliono i compagni iscritti al Pci far parte di questo fronte rivoluzionario ed antifascista?»52. «Nuova resistenza» non si identifica con queste posizioni. Nel quadro politico italiano il colpo di Stato, non rappresenta un rischio reale, commentando il golpe Borghese il giornale paragona Valerio Borghese «al due di briscola». Piuttosto la paura del golpe serve al sistema e in primo luogo ai «revisionisti» che dietro questo spauracchio vogliono imporre al movimento rivoluzionario le regole del gioco democratico e frenare le lotte. Diametralmente opposta la visione dei Gap: ormai forze militari potenti sia sul piano interno che internazionale, esponenti della finanza e dell'industria nazionale ed esterna puntano a una soluzione militare. Lo stesso golpe Borghese è presentato nella Dichiarazione politica come un «colpo di Stato preordinato con meticolosa cura» 48. Nonostante le differenze «Nuova resistenza» informa dell'attività dei Gap, pubblica il comunicato sull'attacco alla sede del Msi di Lodi e il testo delle «trasmissioni al popolo». Nel proclama radiofonico dei Gap si fa esplicito riferimento alle Brigate rosse: «Ma dalle lotte per i contratti e le riforme del '69 e del '70, dall'offensiva padronale e fascista in atto è nata una nuova resistenza di massa, è nata la ribellione operaia al padronato ed allo Stato dei padroni, è nata la ribellione all'imperialismo straniero, è nata la ribellione delle popolazioni e delle classi lavoratrici del Sud. Sono nate le Brigate rosse e si sono costituite le Brigate Gap» 54. A Genova il primo episodio di «lotta armata» coincide con una rapina. Due banditi in vespa aggrediscono il commesso Alessandro Floris mentre trasporta le paghe dei dipendenti dell'Istituto per le case popolari. Floris reagisce, afferra uno dei rapinatori ma questo si gira, prende la mira e lo uccide a colpi di pistola. Una foto, ripresa da un passante, sarà la macabra testimonianza di questa prima follia della lotta armata. I due rapinatori, arrestati nel giro di poche ore, sono Salvatore Ardolino, che guidava la vespa e Mario Rossi che ha sparato. Appartengono al gruppo 22 Ottobre, la rapina serviva al suo finanziamento. La vicenda offre a «Nuova resistenza» l'occasione per lanciare la tesi della «criminalizzazione del movimento». Il gruppo di Curcio rivendica la legittimità politica dell' «esproprio rivoluzionario» e dell'illegalità militante. Siamo all'anticipazione di tragici copioni: «II grosso "caso del gruppo di Genova", ha segnato così l'inizio di una velenosa manovra che giorno dopo giorno, con pazienza, tende a convincere l'opinione pubblica che i rivoluzionari sono dei banditi e i "gruppuscoli" associazioni a delinquere. Questo vuoi dire "criminalizzazione del movimento". Vuoi dire convincere più gente possibile svuotando di ogni senso possibile l'azione rivoluzionaria, che una nuova forma di criminalità si sta affermando: la criminalità politica!» ". Secondo «Nuova resistenza» lo scontro di classe è giunto a un punto cruciale ed emerge come «richiesta di popolo» la questione del potere rivoluzionario. Contro l'avanzata di questo obiettivo il potere costituito organizza un possente contrattacco «politico, giuridico, ideologico, militare». Mentre si militarizza, alimenta una campagna allarmistica e sviluppa «un' azione preventiva» contro la logica dell'illegalità militante; cerca di avvalersi dei cittadini come «onesti tutori dell'ordine» e di «maggioranze silenziose» per imporre contro la «guerra di popolo» la sua «difesa del popolo». Per fronteggiare quest' offensiva il movimento è costretto a compiere un salto di qualità: «Oggi il movimento, almeno nei suoi momenti di punta, è arrivato allo scontro diretto con il potere; organizzarlo solo per le manifestazioni, vuoi dire produrre non rivoluzione, ma controrivoluzione, vuoi dire produrre organizzazione, ma solo per il potere. Vuoi dire lavorare per la sconfìtta della rivoluzione: in una parola essere avventuristi. E un momento decisivo: le organizzazioni veramente rivoluzionarie e ogni singolo compagno, non ne possono sfuggire»56. Non si può più mitizzare una «inafferrabile ora X», l'iniziativa assunta dal potere costituito di «militarizzare lo scontro» impone alle sinistre rivoluzionarie un progetto di lotta rivoluzionaria che assuma fino in fondo la «dimensione militare della politica» in quanto «non ci può essere una trasformazione pacifica delle cose»57. Il caso Rossi e quello che sta avvenendo nella situazione carceraria, quel processo di politicizzazione che trova nella commissione carceri di Lotta continua un punto decisivo di organizzazione, servono a «Nuova resistenza» per fare alcune considerazioni sui «soggetti» della rivoluzione. Il titolo dell'articolo è Bruciare le carceri è giusto. Il ragionamento getta una luce sinistra sulle nuove concezioni della lotta rivoluzionaria che avanzano e ben si comprende quali «storie» di violenza e di terrore profetizza: «La rivoluzione moderna non è più la rivoluzione pulita [...] in attesa della festa rivoluzionaria in cui tutti gli espropriatori saranno espropriati, il gesto criminale isolato, il furto, l'espropriazione individuale, il saccheggio di un supermercato non sono che un assaggio e un accenno al futuro assalto alla ricchezza sociale»58. Oltre Milano, l'altra città dove si registra una sempre più intensa attività delle Brigate rosse è Roma. Risale al dicembre '70 l'attentato contro l'appartamento di via Giovanni Lancia ritenuto di Junio Valerio Borghese. Seguono: l'assalto alla sede dell'Msi nel quartiere Prenestino (24 aprile '71) e lo stesso giorno l'incendio dell'auto del capotecnico Atac, Gianfranco Moretti, un ex dipendente Pirelli, definito nel volantino-rivendicazione un «esponente della destra sindacale dell'azienda e persecutore di operai»39. Sono azioni che nascono autonomamente rispetto al nucleo dirigente milanese-emiliano e solo, successivamente saranno riconosciute. Si avvia il consolidamento organizzativo e in modo ancora embrionale la ramificazione dal centro alle varie colonne. Il foglio «Brigate rosse», di cui si conosce solo il secondo numero del giugno '71, diffuso a Roma, da notizia sia delle azioni milanesi che di quelle romane. Si è all'unificazione. Sempre nello stesso periodo a sottolineare il raggiunto grado di centralizzazione spunta il comando unificato delle Br che con un suo documento smentisce alcune azioni firmate Br che attribuisce invece a gruppi fascisti. Si tratta di attentati dinamitardi a fabbriche di Pavia, di Trecate (Novara) e di Corsico (Milano). L'uso degli esplosivi — precisa —non rientra nelle tecniche militari delle Br, un segno di distinzione rispetto al terrorismo nero. A maggio, con il suo secondo numero, cessa la pubblicazione di «Nuova resistenza»: si entra nella semiclandestinità. La scelta armata si è fatta stringente. Dal marzo le indagini della polizia stanno risalendo dal gruppo Brigate rosse ai fondatori del Collettivo metropolitano. Curcio e Franceschini sono indicati fra i responsabili all'attentato alla pista di Lainate. Nel quadro delle indagini viene coinvolto il pittore Enrico Castellani, nel suo studio frequentato da mèmbri del Collettivo metropolitano, sono sequestrati «congegni» sospetti, due pistole e vari documenti. Intanto Mario Moretti lascia la Sit-Siemens.
L'estate serve per sistematizzare la riflessione del gruppo. Nel settembre 1971, viene distribuito un opuscolo, scritto, nella forma dell'intervista immaginaria, secondo lo stile dei tupama-ros, riassume le analisi e le linee di intervento politico-militare delle Brigate rosse. «Stufi di interminabili enunciazioni di principio, o di sensazionali rivelazioni teoriche immancabilmente affiancate da deludenti dimostrazioni di opportunismo pratico», è venuto il momento di fare la scelta, «lasciando alla prassi il privilegio di stabilire il suo primato, sicuri che per questa via si potrà realizzare l'unità delle forze rivoluzionarie, l'organizzazione proletaria armata, e mettere sempre più a fuoco la teoria della nostra rivoluzione» 60. Fallita ogni unificazione delle prospettive di sviluppo capitalistico e venuti meno tutti i progetti politici dei partiti riformisti, di fronte all'incalzare della massiccia iniziativa operaia e al suo rifiuto del riformismo come progetto di stabilizzazione sociale e alle crescenti contraddizioni di un imperialismo sempre più aggressivo, la borghesia ha riorganizzato «a destra» Finterò apparato di potere. Una «militarizzazione» che ha come principale obiettivo non il fascismo tradizionale, ma un «fascismo gollista» mascherato dietro le apparenze democratiche. Secondo le Brigate rosse questo mutamento della natura dello scontro di classe trova del tutto impreparata la sinistra rivoluzionaria, che continua a gingillarsi nel sovversivismo senza dare progetto e forma organizzata all'unica risposta possibile, quella della lotta armata. Sollecitando coerenze eversive, polemizzano con ogni gradualismo del processo rivoluzionario, una teoria che imbriglia il gruppismo e lo separa dall'«esperienza rivoluzionaria metropolitana della epoca attuale» cioè lo scontro militare. L'estremismo tradizionale è condannato a ripercorrere «l'esperienza storica del movimento operaio secondo le versioni anarco-sindacaliste o terzinternazionaliste», quindi a subire le sconfitte del primo dopoguerra. In realtà: «Lo scontro armato è già iniziato e mira a limitare la capacità di resistenza della classe operaia. L'ora X dell'insurrezione non arriverà. E quello che molti compagni tendono a raffigurare come lo scontro decisivo tra proletariato e borghesia altro non è che l'ultima e vittoriosa battaglia della borghesia. Come è stato nel 1922» 61. La sinistra rivoluzionaria non ha avuto la consapevolezza che il ciclo di lotte avviatesi nel '68 non poteva che portare a questo livello dello scontro. Non si è attrezzata di conseguenza e ha proseguito a immaginare il «processo rivoluzionario» per tappe successive: «preparazione politica, agitazione e propaganda prima, insurrezione poi». Mentre i «gruppi della sinistra extraparlamentare» sono ancora fermi a questa prima fase, la borghesia già «dispiega la sua iniziativa armata». A riprova di ciò: «l'attacco padronale alle forme di lotta più incisive, i processi politici e le condanne contro i militanti più combattivi, il rinato terrorismo squadrista, le aggressioni fasciste ai picchetti operai e quelle poliziesche alle piccole fabbriche, agli sfratti e agli studenti, i rastrellamenti nei quartieri insubordinati, l'assunzione di provocatori sbirri fascisti nelle fabbriche, ecc.» 62. Dunque la lotta armata è già iniziata, la scelta è stata compiuta «purtroppo in modo univoco», dalla borghesia. Le Brigate rosse intendono superare l'impreparazione della sinistra rivoluzionaria ricongiungendosi, come affermano, «all'esperienza rivoluzionaria metropolitana dell'epoca attuale». Il carattere pedagogico del documento-intervista, nella sua articolazione di domande e risposte, serve a precisare il rapporto che le Brigate rosse intendono stabilire con gli altri gruppi e le loro prospettive organizzative. Esse si autodefiniscono «primi sedimenti del processo di trasformazione delle avanguardie politiche di classe in avanguardie politiche armate». Un primo passo nella costruzione di uno «strumento di classe» all'altezza della guerra ingaggiata dalla borghesia. Una transizione che non implica alcuna provvisorietà «la lotta armata non può essere affrontata con organismi intermedi come potrebbero essere i comitati di base, i circoli operai-studenti o le stesse organizzazioni politiche extraparlamentari». La scelta soggettiva del partito che tanto ha angosciato senza trovare soluzione alcune generazioni di militanti del sinistrismo trova nella lotta armata un disperato autoconvincimento: «Le Br sono i primi punti di aggregazione per la formazione del partito armato del proletariato. In questo sta il nostro collegamento profondo con la tradizione rivoluzionaria e comunista del movimento operaio» 63. Nei confronti dei gruppi extraparlamentari alle Br non interessa nessuna sterile polemica ideologica, unico discrimine: la scelta della lotta armata. Al loro interno, prosegue il documento-intervista, si confrontano due componenti: «una forte corrente neo-pacifìsta» e un'altra che vede favorevolmente il passaggio alla militarizzazione. Con la prima non e'è nulla in comune e si costituirà, al momento opportuno, in una forte opposizione all'organizzazione armata del proletariato. Con l'altra il discorso è aperto: «riaffermiamo la nostra posizione fortemente unitaria con tutti i compagni che sceglieranno la via della lotta armata». Come per i gruppi anche per il Pci non deve prevalere «nessun settarismo ideologico», la lotta armata lo vedrà «coinvolto», dunque i «rapporti» si misureranno sulle scelte che progressivamente verrà assumendo. Il documento indica con precisione le finalità organizzative: «La strada che abbiamo scelto ha bisogno di un lungo periodo di accumulazione di esperienze e di quadri». Questo non significa staccarsi dai movimenti ne dalla lotta di classe, al contrario implica il massimo impegno al loro interno, sfruttandone tutte quelle «tendenze» che nelle formazioni minoritarie rivendicano «nuove forme dell'organizzazione della lotta rivoluzionaria: organizzazione dell'autodifesa, prime forme di clandestinità azioni dirette...»64. Le Br rimangono nel movimento, è «l'acqua» in cui vogliono nuotare. Lavorano ai sui fianchi, si occultano nei sui interstizi, rimangono interne al sovversivismo per volgerlo ad un più pianificato progetto di lotta armata. E il loro terreno di coltura. Dalla violenza diffusa, dalla conflittualità di fabbrica o di quartiere esse traggono la loro origine, così come vi troveranno le condizioni della loro riproducibilità. Contemporaneamente alla prima riflessione teorica delle Br, anche Potere operaio con la conferenza d'organizzazione del settembre '71, approda alle prime forme di lavoro illegale. A Milano, il 4 dicembre del 1971, un episodio di criminalità comune: il commesso Vittorio Stefani dei Magazzini Coin di corso Vercelli è aggredito da un gruppo di «banditi» che lo costringono a consegnare 20 milioni. L'inchiesta attribuirà la rapina, non rivendicata, a Renato Curcio, Pietro Morlacchi e Mario Moretti. Li avrebbe aiutati un «basista» infiltrato fra i dipendenti del grande magazzino. L'anno si chiude con la prova generale dell'12 dicembre. Il piano d'attacco prestabilito da Potere operaio non va in porto. La polizia irrompe nell'appartamento di via Galilei dove scopre un deposito di molotov. L'intervento tuttavia non evita la guerriglia che ancora una volta investe la città di Milano. Insieme alle lotte di piazza una nuova ondata di violenze caratterizza lo scontro in fabbrica, a gennaio, a Porto Marghera per due giorni esplode l'autonomia operaia. Gli echi si riflettono in tutto l'estremismo. Dall'estate del '70, alla Sit-Siemens i lavoratori sono impegnati in una dura vertenza aziendale. Dopo le conquiste dell'au-tunno all'interno della fabbrica si rivendica la perequazione normativa e sindacale. Il sindacato per sue difficoltà non riesce a unificare le richieste che avanzano dai singoli reparti. Un frastagliamento di obiettivi e di lotte su cui manovra la dirczione aziendale per dividere i lavoratori: «un reparto elaborava una serie di richieste e chiedeva alla dirczione di aprire le trattative. La dirczione rispondeva: non tratto finché continua lo sciopero di quell'altro reparto. E così il gioco era fatto: i reparti venivano messi l'uno contro l'altro» 65. Esaspera le divisioni fra i lavoratori la scelta aziendale dei trasferimenti al nuovo stabilimento di Castelletto. Nella lista di trasferimento figurano solo operai dei reparti più impegnati nella vertenza. Una misura repressiva a cui si aggiunge il licenziamento di un membro della commissione interna. Deformando la realtà, come chiarirà la successiva vertenza giudiziaria, l'operaio è accusato di aver aggredito nel corso di un corteo interno alcune lavoratrici. All'attacco padronale si risponde con lo sciopero del 4 settembre. Ma la dirczione aziendale non intende tornare indietro. Lo stesso giorno nella fabbrica organizza un contro-corteo di capi e capetti contro la sede della commissione interna, davanti trovano schierato il picchetto operaio. A qualche giorno di distanza segue il licenziamento di un dirigente della Fim. Drammatizza la situazione la proclamazione da parte dei dirigenti di tre giorni di astensione dal lavoro in segno di protesta per il clima di violenza instaurato dai lavoratori. Sugli operai piovono in modo indiscriminato numerose denunce da parte della direzione aziendale, sono accusati di violenza, dei cortei interni, dei picchetti «duri», di «presunte minacce», di «tutto». La linea aziendale cerca la provocazione ed esaspera le tensioni. In questo contesto la «lista di proscrizione» di capi, capetti, guardiani e crumiri, presentata dalle Br. E la loro carta di presentazione in fabbrica. Da una moto in corsa vengono lanciati volantini davanti agli stabilimenti di Milano e di Castelletto. Segue l'incendio alla macchina del direttore generale del personale Giuseppe Leoni. Per tutto il '71 alla Sit-Siemens, dove si era avuta la prima apparizione delle Br, non si registrano nuove azioni. Il nucleo brigatista intanto si occulta nelle pieghe delle contraddizioni interne alla fabbrica e al sindacato. Corrado Alunni è eletto nel consiglio dei delegati del reparto trasmissioni; Pierluigi Zuffada si presenta candidato al reparto uffici commerciali, gli impiegati al suo posto optano per un democristiano ma di lì a poco in seguito alle sue dimissioni e non volendo la Firn, per sue contraddizioni, ripetere le elezioni subentra come primo dei non eletti. Paola Besuschio, che a differenza di loro è approdata alla lotta armata dall'esterno, entra in fabbrica con un piano preciso. Dichiara un titolo di studio inferiore a quello che realmente possiede, e ben presto per il suo attivismo sarà nominata rappresentante della commissione antinfortuni deU'Uilm. Le ambiguità del sindacato, in particolare della Firn e della Uilm in cui convivono posizioni tradizionalistiche e spinte estremistiche, e la corporativizzazione dei settori impiegatizi sono un fertile terreno per le mimetizzazioni brigatistiche. A ciò si aggiungono il ruolo dei gruppi che si presentano a ogni scadenza di lotta e la funzione che assumerà l'Assemblea autonoma. Si definiscono così i livelli organizzativi del terrorismo. La completa clandestinità, come nel caso di Moretti, con l'uscita dalla fabbrica, scelta che faranno nel tempo anche gli altri in funzione del ruolo ricoperto nell'organizzazione. La mimetizzazione all'interno del consiglio dei delegati e del sindacato per influenzarne le decisioni e ben consapevoli delle sue contraddizioni. Alunni lascia la fabbrica nel '74, lo stesso anno si licenzia Paola Besuschio, Pierluigi Zuffada si dimette nel '75, pochi mesi prima del suo arresto. Un lavoro di sponda fra consiglio dei delegati e le «voci» dell'Assemblea autonoma. Intanto procede il reclutamento alla lotta armata. Allo stabilimento di Castelletto spetta a Giuliano Isa il ruolo di responsabile del lavoro organizzativo militare. Arrestato a Milano il giorno degli scontri dell'11 marzo '72, sarà prosciolto dopo un mese di carcere. Al rientro in fabbrica la sua scelta della lotta armata sarà un fatto irreversibile. E alla Sit-Siemens che la tecnica terroristica si mette a punto: il 3 marzo del 1972, il primo sequestro politico in Italia. A pochi metri dal palazzo della dirczione in piazza Zavattari, il numero 3 della «lista di proscrizione» diffusa dalle Br, Idalgo Macchiarini, è catturato da un Gommando composto da tré uomini. «L'odiato dirigente» della Sit-Siemens è caricato a forza su un furgoncino, legato e imbavagliato, fotografato con due pistole puntate al viso e un cartello al collo. Sottoposto a un sommario «processo politico», dopo mezz'ora è abbandonato ancora legato a bordo del furgone. Sul cartello: «Brigate rosse — Mordi e fuggì! Niente resterà impunito! — Colpiscine uno per educarne cento! — Tutto il potere al popolo armato». Riprendendo queste minacce il comunicato diffuso lo stesso giorno del sequestro così conclude: «Nessuno tra i funzionar! della controrivoluzione antioperaia dorma più sonni tranquilli, nella grande città dello sfruttamento non e'è porta che non si possa aprire e le "forze dell'ordine" (pubbliche e private) per quanto numerose siano e per quanto numerose possano diventare: "nulla possono contro la guerriglia proletaria! ..." »66. L'«Avanti!» non riporta la notizia. «l'Unità» relega l'awe-nimento in un articolo di una colonna dal titolo Grave provocazione alla Sit-Siemens di Milano; l'azione è definita «banditesca» 67. Le dichiarazioni pubbliche rese da Macchiarmi denunciano la brutalità dell'aggressione. Con «ironia» le Br spediscono al «Corriere della sera» l'orologio del «detenuto», perso «durante il vano tentativo di divincolarsi», inoltre precisano: nessuna violenza fisica «salvo quelle indispensabili» 68. Potere operaio non ha esitazioni: «si tratta di azioni che portano un segno di classe, proletario e comunista, ed esprimono una volontà sovversiva e un bisogno di rivoluzione che è delle masse sfruttate»69. Lotta continua, con un'operazione di metamorfismo, modifica il giudizio che aveva formulato in occasione delle bombe di Lainate: «Idalgo Macchiarini è stato catturato venerdì pomeriggio, processato e punito. Nella mattinata un corteo all'interno della fabbrica aveva cercato di raggiungere l'ufficio per fargli sentire il peso della propria forza e del proprio odio di classe. Noi riteniamo che questa azione si inserisca coerentemente nella volontà generalizzata delle masse di condurre la lotta di classe anche sul terreno della violenza e dell'illegalità» 70. Diametralmente opposta l'opinione del Manifesto e di Avanguardia operaia, quest'ultima in un misto di ingenuità e di consapevole rimozione stigmatizza l'azione come frutto della sapiente regia dei servizi segreti71. La loro polemica con Lotta continua e Potere operaio si farà ancora più pesante in seguito al sequestro di Robert Nogrette, dirigente della Renault, rivendicato da Nouvelle resistance populaire, filiazione della Gauche prolétarienne messa fuori legge in Francia alla fine del '70. Sei giorni di distanza dal sequestro Macchiarmi. Anche se non ci sono elementi per vedervi connessioni dirette, non e'è dubbio che le due azioni terroristiche s'influenzano fra loro, due tasselli delle molteplici interrelazioni, logistiche e di analisi, del terrorismo internazionale. Accecata dall'esaltazione. Lotta continua definisce i sequestri di Robert Nogrette e di Idalgo Macchiarmi atti di giustizia rivoluzionaria, «una giustizia che comincia a far paura» e conclude «viva la giustizia rivoluzionaria» 72. Affermazioni che procurano mandati di cattura contro undici mèmbri dell esecutivo milanese del gruppo. Ancora non si sono spenti gli echi del sequestro Macchiarini ed ecco a Milano, città laboratorio dell'e-versione, la tumultuosa giornata dell'll marzo. Denunciando l'avventurismo del Comitato di lotta contro la strage, Avanguardia operaia e Manifesto si dissociano. Il 15 marzo 1972, sotto un traliccio a Segrate in provincia di Milano è rinvenuto il cadavere dell editore Giangiacomo Feltrinelli. Il pulmino attrezzato, le mappe, le carte di identità falsificate, tutto concorre a definire il quadro di una oscura quanto imprecisata azione terroristica. Un falso di Stato? Un miliardario out-sider spinto da aristocratici ideologismi a diventare un solitario dinamitardo? Chi sono i compiici, quale l'organizzazione, chi sta dietro al «partigiano Osvaldo» nome di battaglia dell'editore? L'opinione pubblica si interroga. Il traliccio di Segrate diventa il simbolo dell'Italia delle trame, tragico preludio dei nostri «anni di piombo». Nel quadro delle indagini sul «caso Feltrinelli» vengono alla luce i collegamenti fra le organizzazioni terroristiche di Genova e di Trento. Le chiavi ritrovate sul cadavere dell'editore «aprono» i covi milanesi di via Subiaco, viale Sarca, via Trevi-glio, via lacopo della Quercia e il box di via Cardinale Mezzofanti. NelTappartamento di via Subiaco vengono sorpresi Augusto Viel del gruppo 22 Ottobre e responsabile dell'assassinio di Genova e Giuseppe Sava, uno stretto collaboratore di Feltrinelli. «Potere operaio» rompe il silenzio, esce con un titolo a tutta pagina: «Un rivoluzionario è caduto». «Gli sciacalli si sono scatenati, chi lo vuole terrorista e chi vittima. Destra e sinistra fanno il mestiere di sempre. Noi sappiamo che questo compagno non è ne una vittima ne un terrorista. E un rivoluzionario caduto in questa fase della guerra di liberazione dallo sfruttamento. E stato ucciso perché era un militante dei Gap. E carabinieri, polizia, fascisti esteri e nostrali! lo sapevano e lo sanno benissimo. E stato ucciso perché era un rivoluzionario che con pazienza e tenacia, superando abitudini, comportamenti, vizi ereditati dall'ambiente alto-borghese da cui proveniva, se posto sul terreno della lotta armata costruendo con i suoi compagni i primi nuclei di resistenza proletaria» 73. Ad accreditare l'ipotesi di un coinvolgimento diretto del gruppo nell'affare Feltrinelli, l'inse-gnante milanese Carlo Fioroni, militante di Potere operaio, risulta il titolare dell'assicurazione del pullmino trovato sotto il traliccio di Segrate. Il «professorino» si da alla latitanza. Acquista sempre più forza la minaccia di «messa fuori legge» di Potere operaio. Solidarizzando col gruppo. Lotta continua afferma perentoriamente: «Giù le mani da Potere operaio» 74. Lotta continua naviga fra due opposte sponde: la condanna di Avanguardia operaia e del Manifesto e l'enfasi dell'azione terroristica di Potere operaio. Definisce «opportunistica» la linea del Manifesto, critica i limiti di una «violenza individuale e di gruppo» che «non ha altro valore che quello di una testimonianza disperata ed è sempre perdente», ma insiste nel proporre un indefinito modello di illegalità come «pratica quotidiana di larghe masse proletarie» 75. Continuano le rivelazioni sul caso Feltrinelli. Si unificano le inchieste sui Gap e sulle Br. Le indagini accertano contatti fra l'editore e l'avvocato genovese Giambattista Lazagna, il medico Enrico Levati di Borgomanero e il brigatista Giorgio Se-meria, intestatario dell'appartamento di via Pelizza di Volpedo. Lo stesso che sotto falso nome ha affittato il «covo» di via Boiardo, attrezzato con una cella sotterranea con pareti imbottite. In via Delfico in una cantina dell'ex tipografo Pietro Morlac-chi si ritrovano istantanee del sequestro Macchiarmi e un passaporto intestato a Feltrinelli. Davanti al «covo» di via Boiardo, il 2 maggio, è arrestato Marco Pisetta, una vecchia conoscenza di Renato Curcio, dai tempi dell'università negativa di Trento. Portato in questura è interrogato dal commissario Calabresi e dal magistrato Viola. Affermerà lo stesso Pisetta: «il dottor Viola mi ha chiesto se volevo quindici anni di galera [...] oppure uscire subito [...]. Diciamo che tu non ha mai partecipato alle bande rosse, eri lì per dare una mano a imbiancare l'ufficio. Mentre mi diceva queste cose il dottor Viola mi sventolava sotto il naso il mandato di scarcerazione» 76. Pisetta sarà scarcerato dopo pochi giorni, nel corso dell'estate sarà contattato dal Sid che lo convincerà a firmare un «memoriale»-confessione, circa novanta cartelle, «parecchie delle cose che ho ricopiato mi erano del tutto sconosciute» dirà lo stesso Pisetta; saranno passate dal Sid al giornale di destra «II Borghese» che, contemporaneamente ai quotidiani «II Secolo d'Italia» e «II Giornale d'Italia», le pubblicherà a puntate 77. Una grave e apparentemente incomprensibile ingerenza del Sid. Il giudice Viola nella sua requisitoria al processo Gap-Br di Milano così commenterà: «Si tratta di un episodio di inaudita gravita [...] di omissione di atti d'ufficio e favoreggiamento personale». Una torbida vicenda che invece di servire a fare luce sulla trama eversiva è utilizzata per tentare una insensata provocazione. Nel memoriale si arriva ad accusare di far parte delle Br, fra gli altri, Vittorio Togliatti, il nipote dello scomparso leader comunista. Fra le molte falsità tuttavia il memoriale contiene alcune piste che anticipano vicende che verranno alla luce negli anni seguenti come il ruolo della scuola di lingue Hyperion di Parigi. L'intempestiva quanto «inspiegabile» fuga di notizie non consente all'inchiesta di proseguire 78. Tra l'arresto di Pisetta e la pubblicazione del memoriale intercorrono molti mesi, dal 2 maggio alla fine del '72, un periodo in cui l'informatore viene fatto espatriare e tenuto in un dorato isolamento. Intanto a pochi giorni dalla scoperta del covo di via Boiardo, il 17 maggio '72, l'assassinio del commissario Calabresi. Una morte misteriosa ed emblematica per le vicende cui è legato il nome di Calabresi. Tutto concorre ad attribuire all'estremismo di sinistra il delitto. La stampa riprende i violenti e minacciosi volantini di Lotta continua. Prese di posizione che non cessano con la morte del commissario. Davanti alla Fiat è denunciato Mario Dalmaviva militante di Potere operaio: sta distribuendo un volantino in cui si inneggia all'assassinio.
Dopo la «perquisizione» di via Boiardo e le «rivelazioni» di Marco Pisetta le Br passano definitivamente alla clandestinità. Così scrivono in un loro documento: «La clandestinità si è posta nei suoi termini reali solo dopo il 2 maggio 1972. Fino ad allora impigliati come eravamo in una situazione di semilegalità, essa era vista più nei suoi aspetti tattici e difensivi che nella sua portata strategica». Superata ogni concezione difensiva della lotta armata, retaggio del dopo autunno caldo e già contestata all'impostazione dei Gap, prospettano un sistema d'attacco che alla ferrea centralizzazione sappia unire un parallelismo interno al movimento e all'area dell'autonomia, un'indispensabile platea di reclutamento e di potenziale sostegno. «Oltre alla condizione di clandestinità assoluta si presenta perciò, nella nostra esperienza, una seconda condizione in cui il militante pur appartenendo ali'organizzazione, opera "nel movimento" ed è quindi costretto ad apparire e muoversi nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità» 79. Questo secondo tipo di militanza clandestina è teorizzata come premessa per la costruzione di un articolato «potere militare», fondamento di quello che è definito «lo sviluppo delle milizie operaie e popolari» 80. Quindi essere dentro le situazioni, conoscere in ogni dettaglio le condizioni concrete, reclutare e colpire. Un programma di criminalità terroristica in cui il luogo prescelto, l'obiettivo, la propaganda dell'azione terroristica sono frammenti organizzativi decisivi della più generale costruzione del partito armato. Il passaggio alla clandestinità segna una pausa nella sequenza delle azioni terroristiche, l'attenzione si concentra sugli aspetti logistici, sulla struttura, sul reclutamento e sulla vigilanza. Renato Curcio parlando di questo periodo, in un'intervista rilasciata nel gennaio '73 e pubblicata nel marzo dello stesso anno su «Potere operaio», afferma: «Non accettando il terreno che ci veniva imposto di uno scontro frontale tra le brigate e l'apparato armato dello Stato, abbiamo avuto il tempo di contrattaccare in silenzio su obiettivi economici, e rafforzare di conseguenza il nostro impianto organizzativo» M. Gli obiettivi economici cui fa riferimento sono gli espropri, «l'assalto alla ricchezza»; occasioni — preciserà Curcio in una successiva intervista concessa a «L'Espresso» nel gennaio '75 — in cui «si oggetti-vano una legalità e una moralità rivoluzionaria» 82. Il 14 luglio del '72, sono rapinate le sedi delle agenzie della Cassa di risparmio di Scandiano e Bibbiano in provincia di Reggio Emilia. Secondo gli inquirenti fanno parte del comman-do: Curcio, Franceschini, Troiano e Pelli. Nello stesso mese a Trento un'altra rapina alla Banca di Trento e Bolzano. Fra i rapinatori si fa il nome di Heidi Ruth Peusch, moglie del brigatista Pietro Morlacchi. Già arrestata nell'ambito delle indagini milanesi sul caso Feltrinelli insieme a Giorgio Semeria, Anna Maria Bianchi, Gloria Pescarolo, Umberto Farioli, Carlo Cattaneo, era stata rilasciata per scaduti i termini di carcerazione preventiva. Nel frattempo si accelera la mutazione di Potere operaio, e prende quota l'Autonomia organizzata. Mentre continuano le violenze fasciste, che culmineranno nell'ottobre con le bombe ai treni diretti a Reggio Calabria per la conferenza del Mezzogiorno promossa dai sindacati, il colpo di scena nelle indagini sulla strage di piazza Fontana: ad agosto sono arrestati gli estremisti di destra Franco Preda e Giovanni Ventura. L'offensiva delle Br riprende nell'autunno, il centro è la Fiat, 1 obiettivo i fascisti. Lo sfondo: il rinnovo dei contratti, le provocazioni padronali, l'iniziativa delle squadre fasciste alla Fiat e, più in generale, nel paese. Nel mese di novembre la situazione arriva a un punto limite. Alla Fiat squadre fasciste sfondano i picchetti operai, la polizia le lascia indisturbate ma è ben pronta ad arrestare due degli operai che hanno reagito. Con l'accusa di violenza altri quattro lavoratori ricevono lettere di licenziamento. Salgono a 600 le denunce all'autorità giudiziaria nei confronti dei lavoratori della fabbrica. Contro la repressione, contro il governo Andreotti, contro il fascismo — il 25 novembre — la sinistra extraparlamentare torna in piazza a Torino. I fascisti non perdono l'occasione per innescare la provocazione, non è difficile, secondo il solito cliché segue l'intervento della polizia e la replica violenta del gruppismo. Il bilancio della giornata è di 30 fermati e 11 arrestati. Il 26 novembre le Br fanno la loro prima comparsa alla Fiat-Mirafiori. Nella notte in vari punti della città sono date alle fiamme le auto di nove aderenti al sindacato fascista Cisnal. In fabbrica il volantino di rivendicazione denuncia la «nuova dittatura» a cui si preparano i padroni, lancia l'obiettivo di «un'organizzazione che ci consenta di passare all'azione nellafabbrica e nel quartiere». Preannunciando altre iniziative, la parola d'ordine è: «Schiacciamo i fascisti a Mirafiori e Rivalla, contro i fascisti, contro il governo Andreotti» 83. L'episodio non trova eco sulla stampa. Ma in fabbrica se ne discute e molto. Mentre continua la lotta sindacale un'esplosione di violenti cortei interni «spazzola capi e capetti». Per l'estremismo barricadero una violenza che contrapponendosi alla violenza padronale sa esprimere un nuovo «potere proletario» in fabbrica. Ancora un' impennata repressiva: la Questura di Torino emette in modo indiscriminato 800 denunce contro i lavoratori. Molti di loro sono accusati di «sequestro di persona», con raggravante di aver compiuto il reato in forma associata. Il padrone non è da meno, nuovi licenziamenti e minacce. Interviene in questa fase l'intesa Fiat-Flm, per i gruppi è un «verbale di resa». Il sindacato avverte con preoccupazione i rischi di una degenerazione dei conflitti di lavoro e le conseguenze negative nei rapporti interni alla fabbrica e sull esito complessivo della vertenza contrattuale. Le parti firmatarie si impegnano a evitare ogni «forma di degenerazione» della vertenza al fine di non introdurre nel conflitto «elementi di drammatizzazione». Il sindacato riconosce che nei confronti dei capi e dei dirigenti deve essere evitato ogni scontro fisico, e condanna ogni forma di violenza. La Fiat torna parzialmente indietro e riassume alcuni degli operai licenziati. Il comitato di base della Fiat Mirafiori attacca duramente il verbale d'intesa, un «compromesso» in cambio della pace sociale. Dello stesso tono il giudizio di Lotta / continua. Positivo invece il commento del Manifesto. Per le Br occorre impedire il ripristino della pace sociale, agire subito sul malessere operaio e spingere in avanti l'estremismo. Il 17 dicembre in città saltano 6 auto di sindacalisti «gialli», l'azione è diretta contro «le spie della Sida i provocatori dell'Msi e della Cisnal, i capi e i capetti che organizzano i crumiri». Nessuna pausa nell'esercizio della giustizia proletaria: «Questi nemici dell'unità operaia dobbiamo ridurli al silenzio, dobbiamo colpirli duramente, con metodo, nelle persone e nelle loro cose, dobbiamo cacciarli dalle fabbriche e inseguirli nei quartieri, non dobbiamo concedergli un minuto di tregua» 84. Come alla Sit-Siemens anche alla Fiat le Br agiscono con un nucleo interno e si avvalgono di appoggi logistici esterni, un duplice sistema che sperimenta le strutture verticali e orizzontali delle «colonne». Si arricchisce lo «schedario» brigatista, si perfezionano le tecniche di propaganda e le strumentazioni parallele che affiancano l'azione terroristica: la sequenza dei comunicati, il cartello-messaggio, il volantino-proclama, gli opuscoli a ripetizione. La scelta delle vittime e dell oggetto delle azioni terroristi-che è del tutto interna al clima che si vive in fabbrica. Serve a inasprire le contraddizioni, a irrigidire la situazione, a spingere nel senso della drammatizzazione dei conflitti aziendali. Alla provocazione padronale alla Sit-Siemens si risponde colpendo i dirigenti, alla Fiat colpendo i fascisti. Le Br sanno benissimo che non sarà facile avere solidarietà operaia attorno alle vittime «prescelte», a loro interessa impedire ogni reazione democratica e strappare così impliciti o espliciti consensi operai facendo leva sulle omertà, acquiescenze, incredulità. I nomi dei singoli bersagli non dicono molto alla grande opinione pubblica che rimane tra lo sconcerto e l'indifferenza. Debole e tardiva la risposta democratica, condizione che consente alla propaganda armata di attecchire sulla mala pianta delle deviazioni militariste dell'e-stremismo. Il verbale d'intesa firmato da Fiat e Firn non fa cessare il cupo clima di violenze. Un nucleo operaio attacca la sede Cisnal, bastona un attivista fascista, e ruba gli schedari. Il loro volantino definisce l'azione una «coerente» iniziativa antifascista delle masse e conclude con «No al congresso fascista a Roma! No al governo Andreotti! Per il comunismo!» La replica fascista non si fa attendere, fascisti con spranghe e catene aggrediscono gli operai. I carabinieri intervengono e arrestano alcuni operai. A Milano ricompaiono le Br. Stavolta l'attacco si sposta all'esterno, obiettivo: l'Unione cristiana imprenditori dirigenti definita «associazione collaterale della Democrazia cristiana». Mentre l'estremismo è impegnato nella prova di piazza dell'antifascismo militante, le Br alzano il livello dello scontro, si tratta di colpire il «fascismo in camicia bianca di Andreotti». Già nel dicembre, con 1 opuscolo Guerra ai fascisti, il gruppo di Curcio aveva polemizzato con vecchie riproposizioni della lotta contro il fascismo: «coloro che hanno pomposamente promosso violenze di massa non hanno perso l'occasione di dimostrare tutta la loro "capacità di valutazione politica" scambiando Andreotti per Tambroni e fornendo in chiave di farsa la loro interpretazione del luglio I960» 85. Per le Br non c'è tempo da perdere in offensive destinate al fallimento come impedire il congresso del Msi a Roma, piuttosto è necessario dare prova della propria forza militare svelando la natura del nuovo progetto reazionario della borghesia. La dialettica politica si militarizza, le polemiche sulle analisi e sulle prospettive diventano forme diverse del terrorismo. Nella notte tra il 14 e il 15 una bomba scoppia a piazza San Babila, noto ritrovo dei fascisti milanesi, nella città altri ordigni sono lanciati contro le sedi di Avanguardia nazionale, del Msi e della Cisnal. Le Br hanno già avuto modo di contestare queste forme di azione, per loro l'attentato deve avere una funzione «pedagogica», dimostrare la natura del fascismo in camicia bianca. Il 15 gennaio 1973, tré brigatisti, il volto nascosto da passamontagna, armati di mitra e pistole, irrompono nella sede dell'Unione cristiana imprenditori d'azienda. Legato e incerottato il segretario Giulio Barana, il Gommando confisca l'archivio con l'elenco degli iscritti, indirizzi e altri documenti riservati. Sulle pareti traccia il marchio dell'organizzazione e scritte inneggianti alla lotta armata. A terra il volantino-rivendicazione, spiega perché la sede dell'Ucid: «È qui che i fascisti in camicia bianca dell'Alfa Romeo, della Sit-Siemens, della Marelli ecc. mettono a punto il piano dell'attacco antioperaio». In quella stessa sede insieme al presidente della Confindustria gli imprenditori avevano discusso della loro funzione «nella nuova situazione economica e politica». Un'azione per dimostrare che altrettanto pericolosa dei fascisti è la De di Andreotti con i suoi legami con «coloro che in fabbrica ci controllano, ci schedano, ci licenziano, che fuori parlano di libertà e di democrazia ma che in realtà organizzano la più spieiata repressione antioperaia» 86. «l' Unità» la giudica una «provocazione per ricreare un clima di tensione» a Milano, collega questo obiettivo al prossimo congresso del Msi previsto a Roma e invita a una più incisiva unità antifascista87. L «Avanti!» non fa menzione dell'episo-dio. «Il Manifesto» pone molti interrogativi sulla natura del Gommando, nonché sulla esistenza stessa delle Br. Una presa di posizione che offre lo spunto a Lotta continua per riprendere alcuni dei suoi motivi polemici sulla «violenza di massa». Timidamente attacca il velleitarismo delle Br ma il centro principale della critica resta l'opportunismo del Manifesto: «noi critichiamo oggi alcune azioni, così come critichiamo radicalmente, per quello che ne conosciamo, la velleità delle Brigate rosse. Ma niente abbiamo a che spartire con l'opportunismo che mira a disarmare le masse perché ne ha paura»88. Volantini che riproducono il testo del comunicato lasciato nella sede dell'Ucid sono distribuiti alla Fiat Mirafiori. A Torino la situazione è tesissima; la polizia sfonda i picchetti operai, spara provocando alcuni feriti. L'indomani, il 23 gennaio, teatro degli scontri è Milano. La carica della celere si conclude con un morto: lo studente Roberto Franceschi. Nelle grandi città è protesta. A Torino, il 27 gennaio, si sfiora la tragedia, la battaglia si conclude con numerosi arresti, fra i vari militanti colpiti da mandato di cattura Guido Viale leader di Lotta continua. Alla mano pesante dello Stato si aggiunge la tracotanza padronale. A un imponente sciopero, la Fiat replica con la sospensione in massa di 5.000 operai. Non e è verbale d'intesa che tenga, tornano i cortei interni a Mirafiori, le «spazzolature». Segue una pioggia di licenziamenti. La lotta contrattuale trova un grande appuntamento nella giornata romana del 9 febbraio. Non è solo uno sciopero sindacale, il nemico non è solo il padronato ma il governo Andreotti. La combattività operaia rivendica uno spostamento dell'intero quadro politico. Sono passati pochi giorni dalla manifestazione romana quando, la mattina del 12 febbraio, un nucleo delle Br sequestra il segretario provinciale della Cisnal, Bruno Labate. È trascinato su un furgone, incappucciato e dopo un viaggio di circa mezz'o-ra «processato». Cinque ore di interrogatorio che servono alle Br per avere informazioni sulla presenza Cisnal nelle fabbriche piemontesi. Labate viene lasciato al cancello numero Uno della Fiat Mirafiori, è incatenato, senza pantaloni, al collo il cartello col simbolo delle Br e una scritta-messaggio che si conclude con «Guerra al fascismo di Andreotti e Almirante». Il segretario della Cisnal esposto alla «gogna» è stato rapato come si usava coi collaborazionisti nella guerra di liberazione. Le indagini segnalano che su una delle macchine usate per il rapimento di Labate sono state trovate le impronte digitali di Paolo Maurizio Ferrari, già ricercato come brigatista rosso, ex-operaio della Richard-Ginori e prima ancora della Pirelli-Bicocca di Milano. «l'Unità» dedica ampio spazio alla condanna dell'azione. Adalberto Minucci, allora segretario regionale del Piemonte, commenta: «Quest'ultimo episodio del sindacalista fascista tranquillamente incatenato alla luce del sole, nel bei mezzo di un corso solitamente affollato a poca distanza dai sorveglianti Fiat e dal transito di migliala di operai, denuncia nella sua stessa teatralità la scarsa verosimiglianza» 89. Molte le perplessità sulla matrice dell'attentato. In fabbrica, debole la risposta democratica. «Lotta continua» segue con imbarazzo e osculazione le tappe militari delle Brigate rosse. Se in occasione del sequestro Macchiarini e all'indomani dell'incursione nella sede dell'Ucid aveva definito le azioni brigatiste «lezioni esemplari», stavolta di fronte al sequestro-interrogatorio del sindacalista Cisnal ne sottolinea «il carattere irresponsabile ed esibizionista» e aggiunge che tutto ciò si verifica mentre «la provocazione di Stato sta facendo proprio a Torino le sue "grandi manovre" e sta costruendo infami montature»90. Le Brigate rosse hanno ottenuto un primo decisivo risultato: con la loro macabra presenza si sono imposte al dibattito dell'estremismo; sfruttandone i galleggiamenti, le ossessive paure di scavalcamento tendono ad accelerare la scelta della lotta armata, spostando coi «fatti» la discussione e la pratica eversiva. Nei giorni che seguono il sequestro Labate le Br tornano in fabbrica e diffondono l'opuscolo Guerra ai fascisti nelle fabbriche torinesi, vi sono riportati ampi stralci dell'interrogatorio al segretario provinciale della Cisnal. Il collegamento al clima interno è diretto. Nei mesi precedenti aveva fatto scalpore la notizia di quasi 3.000 assunzioni avvenute attraverso la Cisnal. Una «massa di manovra docile» e pronta a essere utilizzata per ogni disegno antioperaio. Le Br descrivono il «giro» delle assunzioni: accordi contrattati fra Msi e vari dirigenti della Fiat, tra cui compare anche il nome del cavalier Amerio. Dopo aver passato in rassegna un fitto elenco di dirigenti, capigruppo aziendali responsabili del «giro», si analizza l'organizzazione dei fascisti alla Fiat: una puntigliosa indagine sui singoli reparti, nomi, consistenza numerica, strutture organizzate. Nei primi giorni di marzo «Potere operaio del lunedì», compiendo un «dovere di informazione politica», pubblica integralmente il documento-intervista — la seconda riflessione teorica — delle Br; lo considera un contributo di grande interesse rispetto alle esperienze ormai consunte «senza storia, insomma cose morte» del panorama estremistico 91. La scelta di Potere operaio è una risposta all'articolo di «Lotta continua» Velleitarismo pratico e confusione ideologica in cui il gruppo di Sofri tentava una «chiarificazione teorica e pratica» nei confronti dell'or-ganizzazione clandestina. «Lotta continua» senza pubblicare il documento delle Br ne aveva contestato i vaneggiamenti, il carattere «autodelatorio» riferito all'attacco agli obiettivi economici (gli espropri), le arretratezze politiche, e in particolare la concezione «fochista» della lotta armata separata dal contesto di una più generale crescita della violenza di massa92. Potere operaio sfida le reticenze di Lotta continua, e replica ai suoi distinguo teorici, ai suoi bizantinismi sui «programmi complessivi» della lotta armata: «Dobbiamo essere grati a Le, l'attacco sferrato contro le Br dal loro giornale, la grossolanità delle argomentazioni e delle accuse, lo sfacciato opportunismo che le sostiene, non hanno fatto breccia, hanno provocato, anzi, l'effetto opposto tra i compagni, cioè una richiesta di informazioni politiche più precise [...]. Chi sono dunque i compagni delle Br? Sono compagni proletari che hanno condotto le lotte dell'autunno nelle fabbriche del Nord, e che hanno, attraverso una lunga riflessione teorico-politica, scelto la via della clandestinità, nella convinzione che questa sola permette la costruzione di un'organizzazione per la lotta armata. Si potrà non essere d'accordo con la scelta di costruire un organizzazione autonoma per la lotta armata; è difficile sostenere che esista altra via che quella della clandestinità per costruirla» 93. Potere operaio sottolinea che non bisogna intendere la questione della lotta armata come totalizzante, né considerare i nuclei che la dirigono come unica dirczione politica di un movimento eversivo che per sua natura prevede momenti diversi e non gerarchicamente ordinati. In sostanza già prefigura quella strutturazione parallela che prenderà corpo nell'organizzazione terroristica e nella poliedricità del partito armato. Nell'impeto di adesione e di difesa le azioni delle Brigate rosse sono definite: «azioni di giustizia proletaria, di contrattacco di rappresaglia e, insieme rappresentazioni del potere proletario. Per questo esse parlano direttamente ai proletari, agli studenti, agli operai [...]. E chiaro che questo orizzonte non da posto ali' insinuazione che le Br rappresentano se stesse come "fuoco guerrigliero"»94. La critica mossa alle Br di rappresentarsi in modo schematico come «funzione diretta del potere proletario in formazione», non muta la sostanza politica del giudizio: «Noi crediamo che i compagni delle Br si muovono con piena lealtà all'interno del processo di costruzione della forza organizzata dell'autonomia operaia. I compagni delle Brigate rosse, come quelli delle Assemblee, come quelli dei gruppi che hanno compiuto una rigorosa critica di se stessi, possono iniziare questa lunga marcia vittoriosa» 95. Un'interpretazione che è in sintonia con quanto, autodefi-nendosi un «polo-strategico» del «movimento di resistenza proletaria», hanno affermato le Br nel loro documento-intervista: «non abbiamo costruito un nuovo gruppo ma abbiamo lavorato all'interno di ogni manifestazione dell'Autonomia operaia per unificare i suoi livelli di coscienza intorno alla proposta strategica della lotta armata per il comunismo» 96. È la teoria dei pesci nell'acqua. Liquidata lesperienza dei gruppi, «realtà del passato, sopravvivenze inadeguate allo sviluppo ulteriore del processo rivoluzionario», ormai si tratta di lavorare per Punita di tutte le «forze che si muovono nella prospettiva della lotta armata». Respinta sprezzantemente ogni accusa di terrorismo, le Br rivendicano un ruolo tutto politico sul «terreno della guerra di classe rivoluzionaria», attribuendosi come primo successo quello di aver fatto assumere il problema dell'organizzazione proletaria armata a tutto il «campo rivoluzionario». In polemica con le interpretazioni riduttive date da alcuni settori del gruppismo, giudicano «erronee» e «deviazioniste» sia quelle tendenze «militaristiche» che intendono l'azione militare come atto «esemplare» per «mettere in movimento la classe operaia», sia quelle concezioni «gruppiste» che assegnano a «un nucleo di samurai la funzione e i compiti della lotta armata». Per i teorici del partito armato la risposta militare è solo l'apice di un «vasto lavoro politico attraverso cui si organizza l'avanguardia proletaria». L intreccio fra dirczione armata e movimento si esplicita nella contestualità dei due livelli di attività proposti: «il lavoro di organizzazione clandestina e il lavoro di organizzazione delle masse», apparentemente separati essi sono logisticamente sovrapponibili e interagenti fra loro. Il primo rappresenta «il consolidamento di una base materiale economica, militare e logistica» per garantire una piena autonomia dell'organizzazione e un retroterra strategico al lavoro «tra le masse»; il secondo è il primo embrione nelle fabbriche, nei quartieri popolari, delle articolazioni dello stato proletario, uno stato armato che si prepara alla guerra» 97. Tradotto nella pratica ciò significa procedere alla centralizzazione delle varie colonne armate, consolidarne la forza d'apparato e le strutture logistiche e al tempo stesso non perderei contatti con le tendenze militari presenti nel movimento, partire da esse per accrescere il consenso e continuare nell'opera di reclutamento.
Per tutto il 1973 le Br si muovono sulla linea annunciata nella loro seconda riflessione teorica. Nel paese sono i mesi del-l'opposizione sociale al governo di centro-destra e il gruppo terrorista seleziona i suoi obiettivi, i fascisti in camica nera di Ai-mirante e i fascisti in camicia bianca di Andreotti, avendo ben presente il contesto politico e guardando agli effetti che le singole azioni possono produrre sul piano della riproducibilità della lotta armata in quello che hanno definito il «campo di resistenza». Dal punto di vista organizzativo ha consapevolezza delle contraddizioni in cui si dibatte la «sinistra non riformista». Considera senza sviluppo i tentativi di farsi partito di gruppi come Avanguardia operaia. Manifesto e Lotta continua, bollati come liquidatori della lotta di classe. Conosce benissimo la sofferta discussione interna a Lotta continua, un travaglio che, oltre ai distacchi verso Autonomia, porterà la sua ex commissione carceri e i suoi settori più massimalisti a clandestinizzarsi nei Nap. Ne sfugge alle Br la fase di transizione che attraversano il Gruppo Gramsci e Potere operaio che proprio in quel periodo stanno avviandosi al loro dissolvimento: il primo nel giugno '73 e il secondo tra l'estate-autunno dello stesso anno. Nuovi potenziali consensi, che possono manifestarsi attorno alla linea di «resistenza» e nuove forme di «iniziativa proletaria» proiettate verso la lotta armata. Certo non sono tendenze univoche ma, sempre seguendo il ragionamento delle Br, esse si confrontano e si intrecciano con quella linea «entrista» portata avanti dagli organismi autonomi di fabbrica. Questi pur non avendo scelto la strada «liquidazionista dello scontro di classe come l'estremismo tradizionale, che mette nel conto una lunga fase di riflusso e si prepara al partito», continuano a perseguire l'illusione di costruire «giorno per giorno» l'alternativa strategica all'offensiva della borghesia. Un'illusione su cui le Br sanno di poter agire. Nel documento-intervista, il discorso con il Pci non è chiuso. Il tradizionale partito della classe operaia è definito «una grande forza democratica che persegue con coerenza una strategia esattamente opposta alla nostra». Non è utile, affermano le Br, continuare in sterili attacchi verbali o ideologici; la questione è più radicale, il confronto avrà come principale riscontro i fatti: «così siamo convinti che a misura in cui la linea della resistenza, del potere proletario e della lotta armata si consoliderà politicamente e organizzativamente nel movimento operaio, gli elementi comunisti che ancora militano o credono in quel partito sapranno certamente fare le loro scelte»98. Dopo il sequestro di Bruno Labate da parte delle Br, numerosi gli attentati di matrice fascista. Ordine nero è l'organizzazione terroristica di destra più attiva: il 7 marzo l'attentato alla linea Torino-Genova; il 13 marzo alla sede de «II Corriere della sera» di Milano; il 15 marzo al liceo Vittorio Veneto sempre a Milano. La strage sul direttissimo Torino-Roma è impedita solo perché il suo organizzatore Nico Azzi di Ordine nero rimane ferito nell'accidentale esplosione del detonatore mentre sta regolando il meccanismo a orologeria in una toilette del direttissimo. Le violenze fasciste trovano il loro culmine nella giornata del 12 aprile '73. La Questura milanese non ha autorizzato la manifestazione promossa da Ciccio Franco, l'ex caporione di Reggio Calabria. I fascisti non desistono, nell'impatto con la polizia un violento corpo a corpo. Gli estremisti di destra usano le armi da fuoco, sparano colpendo a morte il giovane agente Antonio Marino. Le violenze si estendono nella città i fascisti si scontrano con i gruppi. Sono passati pochi giorni dalla morte dell'agente Marino, le responsabilità degli ultra di destra sono state subito individuate, quando da Roma un oscuro quanto tragico episodio riaccende i riflettori sulle opposte violenze. A Primavalle, un quartiere popolare romano, è data alle fiamme l'abitazione di Mario Mattei segretario della locale sezione del Msi. Nell'incendio trovano la morte i suoi due figli. Nessuna rivendicazione. Un susseguirsi di attentati firmati SaM (Squadre d'azione Mussolini) e Ordine nuovo contro le sedi dei partiti democratici. Con lettere minatorie a magistrati e militanti politici di sinistra e antifascisti, compare la sigla Giustizieri d'Italia «Dux». Fanno da contrappunto le sigle di sinistra e le loro azioni. A Milano i Nuclei operai di resistenza incendiano la macchina di un dirigente della Gulf. Ancora morti a Milano: il 17 maggio Gianfranco Bertoli sedicente «anarchico» lancia una bomba davanti alla Questura e uccide quattro persone. Alla fine di giugno le Br tornano di scena con un nuovo sequestro politico, ancora una volta teatro dell'azione è Milano. Nell'obiettivo brigatista una fabbrica emblematica per la sinistra come per l'estremismo: l'Alfa Romeo di Arese. La scheda dell'ingegner Mincuzzi, «specialista dell'organizzazione del lavoro dell'Alfa», sequestrato il 28 giugno '73, faceva parte del materiale prelevato in occasione dell'incursione all'Ucid. Si ripete il rituale: processo e interrogatorio alla ricerca di notizie e dati sull'organizzazione interna alla fabbrica. Il volantino-comunicato descrive la biografia del sequestrato; si riportano le sue affermazioni sull'organizzazione del lavoro, si ricorda la «sua attiva collaborazione al controsciopero» dei dirigenti, lo sfondamento di un picchetto operaio. Mincuzzi è definito un «gerarca in camicia bianca, è della stirpe di Macchiarmi...»99. Insieme alle minacce, le indicazioni di lavoro: «impariamo a conoscere a uno a uno i nostri nemici, a controllarli e a punirli». Mincuzzi è sottoposto a un lungo interrogatorio: tempi di lavoro, organizzazione interna, passaggi di categoria. Nelle descrizioni che il dirigente dell'Alfa farà dei suoi rapitori, parlerà di modi gentili. Ha il setto nasale rotto ma, spiega Mincuzzi, forse non sarebbe successo se non avesse reagito. Descrivendo il brigatista che lo ha interrogato lo definisce un «raffinato intellettuale». Gli inquirenti pensano sia stato lo stesso Renato Curdo, dopo 25 mesi le indagini si concluderanno con la richiesta di rinvio a giudizio per il capo delle Br, e insieme a lui per Mara Cagol, Franceschini, Morlacchi, Saugo, Semeria, Simioni e Troiano. All'Alfa l'azione brigatista è giunta improvvisa. A differenza della Sit-Siemens non ci sono stati precedenti segnali di presenza terroristica. Ma proprio all'Alfa è in atto un passaggio decisivo nella storia dei gruppi. L'Assemblea autonoma ha ormai troncato con Lotta continua ed è diventata un punto chiave della nascente Autonomia organizzata. Nel frattempo le Br lavorano ai fianchi e dentro l'assemblea sospingendo le sue frange più estreme verso la china della lotta armata. Per le Br la polemica politica non si fa con gli interventi ma costringendo a discutere della violenza sulla base delle loro azioni «esemplari». Di fronte al sequestro Mincuzzi la risposta operaia si manifesta incerta e senza la piena consapevolezza di quello che significa il terrorismo rosso. Le Br lanciano un appello allodio, cercano di far leva sulla conflittualità interna alla fabbrica, sanno che non è facile costruire solidarietà attorno a chi gli operai considerano responsabili del proprio sfruttamento. In questa fase il terrorismo non attaccando direttamente né lo Stato, né la classe operaia — come accadrà negli anni successivi —rende più diffìcile la percezione della sua vera natura. I partiti si interrogano sulla natura dell'attentato. Al di là delle condanne si naviga nell'indeterminatezza. Del tutto approssimativa l'analisi de «l'Unità»: «una banditesca organizzazione che agisce con metodi delinquenziali il cui scopo è quello di alimentare la strategia della tensione» 100 grossolani appaiono alcuni generici riferimenti ai servizi segreti israeliani. Interessanti le osservazioni contenute nel commento dell'«Avanti!»: «i rapitori potrebbero definirsi "Brigate rosse", credendosi davvero di "sinistra" ...» 101. Il Manifesto prosegue nella sua rimozione e non esprime alcun giudizio; Avanguardia operaia insiste nella tesi del complotto. Lotta continua corregge i giudizi espressi a proposito del sequestro Macchiarmi e le riserve ancora presenti dopo l'incur-sione all'Ucid. L'azione delle Br è «appariscente e plateale», del tutto separata dalle esigenze della classe operaia, un atto che «s'inserisce molto bene in una catena di episodi attraverso cui, specialmente a Milano, si è cercato di rilanciare la strategia della tensione» 102. Violenta la reazione di Potere operaio che esalta l'azione terrorista: con il sequestro Mincuzzi si è colpita Finterà organizzazione del lavoro all'Alfa. Accomuna Lotta continua al Manifesto e prendendo a pretesto l'articolo Frutti di stagione, apparso sul quotidiano del gruppo di Sofri, nel suo Opportunismi di stagione si lancia in una veemente requisitoria: «Non abbiamo il problema di difendere» — scrive «Potere operaio» — dei compagni che non hanno bisogno di essere difesi, o di offrire loro, da parte nostra un salvacondotto di appartenenza all'area della sinistra rivoluzionaria che già essi hanno dimostrato di possedere a buon diritto...» 103. Definisce la pratica armata delle Br: «una risposta in termini di attacco, come pure noi tendiamo alle lotte degli operai delle grandi fabbriche che hanno spinto in un budello molto stretto la possibilità capitalistica di risposta, che però è una possibilità che esiste e che già si vede funzionare nel progetto di distruzione delle emergenze politiche operaie attraverso un processo generale di riorganizzazione del lavoro» 104. Prese di posizione che non meravigliano, Potere operaio è entrato nella sua fase di scioglimento, ormai è nel tunnel della autonomia-terrorismo, la sua storia si sovrapporrà alla storia di «Controinformazione», di «Rosso», della costellazione dell'auto-nomismo, soggetto e oggetto dell'operazione Partito armato che troverà la sua massima espansione nella seconda metà degli anni settanta. Nell'ottobre del 1973 esce il numero zero di «Controinformazione», la rivista si caratterizza subito come il principale strumento teorico e documentale della lotta armata, la dirige Antonio Bellavita che in seguito riparerà in Francia e vi collabora, fra gli altri, Antonio Negri10?. Ormai Potere operaio procede per distinti spezzoni e ognuno per proprio conto sviluppa autonomi contatti con le Br, rapporti avviati sin dalla costituzione di Lavoro illegale. Bellavita così ricostruisce questa fase: «In quello stesso periodo seppi che il comitato esecutivo delle Br aveva rapporti con tre spezzoni diversi dell'ex Potere operaio; tutti e tre tra loro vantavano rapporti esclusivi con le Br...». Sul piano dell'ordine pubblico si avvertono sensibili cambiamenti. Il 21 novembre si conclude il processo a Ordine nuovo, fra i principali imputati Clemente Graziani ed Elio Massa-grande; il 23 novembre, con decreto ministeriale, il gruppo è sciolto. Il centro del dibattito politico nazionale ruota attorno alla proposta comunista del compromesso storico. L'economia italiana è sconvolta dai provvedimenti restrittivi legati all'austerità. A novembre i rinnovi contrattuali. Alla Fiat la situazione non si è mai normalizzata, sono continuate le manovre intimidatorie della dirczione aziendale e non sono cessate le forme di violenza interna. Al tavolo delle trattative fra la Fiat e i tré segretari confederali siede lo spettro della cassa integrazione. In fabbrica gli scioperi non riescono mentre la trattativa procede con lentezza. Il 10 dicembre 1973, terroristi travestiti da operai della Sip sequestrano il cavalier Ettore Amerio, capo del personale del gruppo automobili Fiat. Il suo nome figurava nel volantino distribuito dopo la «gogna» inflitta a Bruno Labate. E il primo sequestro con una lunga detenzione, le Br rilasceranno il dirigente della Fiat dopo 8 giorni. Inizia la tecnica della gestione politica del sequestro: l'esame della reazione della stampa e delle forze politiche, la valutazione della risposta democratica, la «propaganda armata» che si modella sulle reazioni e sfrutta ogni debolezza. Il giorno del sequestro in una cabina telefonica un volantino spiega l'azione terroristica e detta le condizioni del rilascio. Amerio è detenuto in un «carcere del popolo», il suo «periodo di detenzione» sarà condizionato da tré fattori: il proseguimento delle manovre antioperaie alla Fiat; l'andamento degli interrogatori; «la correttezza e la completezza dell'informazione». Il volantino nella parte conclusiva analizza la fase: bisogna «battere l'attendismo» e accettare la guerra voluta dal capitalismo. Tutto ciò mentre aumentano le debolezze di un padronato che ha visto fortemente colpita dalla lotta operaia la sua capacità di sfruttamento, di dominio e di oppressione. Per le Br la crisi economica è crisi di potere del capitalismo, da essa si può uscire solo trasformandola nei «primi momenti di potere proletario armato, di lotta armata per il comunismo». Rivolgendosi al fronte di «resistenza», affermano perentoriamente: «Compromesso storico o potere proletario armato: questa è la scelta che i compagni devono oggi fare, perché le vie di mezzo sono state bruciate. Una divisione si impone in seno al movimento operaio, ma è da questa divisione che nasce l'unità del fronte rivoluzionario che noi cerchiamo l06. Luciano Lama su «!'Unità» getta l'allarme sulla gravita dell'episodio: «Chiunque si metta contro la legge da qualunque parte pretenda di essere, deve essere rapidamente colpito e punito» 107. Di avviso contrario Lotta continua che, nonostante le critiche precedenti persiste nei suoi sbandamenti: «Difficile trovare tra gli operai commenti pietistici nei confronti del rapito, del quale già le note di agenzia si preoccupano di informare che è malato di cuore. Si scopre che sono tutti malati di cuore questi funzionari del capitale; eppure adottano tranquilli senza infarti e senza lacrime licenziamenti di rappresaglia, i trasferimenti punitivi, le minacce, il lasciare senza lavoro decine di migliala di operai, ora è toccato a lui, non e'è nemmeno chi ci piange sopra, se non i suoi colleglli di sfruttamento» l08. Giudizi che suscitano gli apprezzamenti di «Controinformazione» che nella sua ricostruzione dei fatti denuncia l'uniformità dei commenti della stampa, una condotta che segue pedissequamente le «veline del Ministero degli Interni». Unica eccezione — sottolinea la rivista — «Lotta continua». Intanto proprio in quei giorni la De presenta una proposta di legge a firma Bartolomei contro i sequestri. «I licenziamenti non resteranno impuniti ! », con questa parola d'ordine si apre il secondo comunicato, lo stesso in cui si rivela che il «detenuto Amerio sta "collaborando" in modo soddisfacente». Si da notizia dei suoi collegamenti con il sindacato giallo del Sida, dei meccanismi di corruzione interna, e delle assunzioni direttamente controllate dai fascisti. Le Br promettono altre rivelazioni e lanciano un nuovo messaggio al movimento: «sono questioni che possono essere affrontate e risolte solo con uno scontro di potere, uno scontro che è di conseguenza politico e armato. Noi non pensiamo di risolverlo "in proprio" con una nostra piccola guerra privata. Al contrario la nostra azione è fortemente unitaria con tutte le componenti del movimento operaio che operano nel senso della costruzione nelle fabbriche e nei quartieri di un reale Potere operaio e popolare armato» 109. Proseguendo nella gestione politica del sequestro il gruppo infittisce la campagna di propaganda, volantini-comunicati sono diffusi alla Fiat, all'Ansaldo nucleare di San Pierdarena, alla Sit-Siemens di Milano, alla Breda di Porto Marghera e di Sesto San Giovanni, all'Alfa di Arese, a Piacenza, a Modena e in altre realtà. Non mancano azioni di tracotante spettacolarità come i comizi volanti trasmessi da altoparlanti davanti ai cancelli della Breda, di Porto Marghera e della Sit-Siemens. Mentre la polizia naviga nel buio, circondata da un inconcludente black-out stampa e da inutili nervosismi repressivi, cresce il mito dell'imprendibilità delle Br e della loro forza. Dopo il ritiro da parte di Agnelli delle minacce di cassa integrazione, il 18 dicembre, il rilascio del capo del personale Ettore Amerio. Le Br fanno il bilancio politico dell'intera operazione terroristica. Il risultato è ritenuto soddisfacente: per la collaborazione ricevuta da Amerio, per il ritiro della minaccia di cassa integrazione da parte della Fiat, per la sconfitta subita dalle forze di polizia, e infine perché nonostante le «manipolazioni» e le falsificazioni la stampa non è riuscita a «nascondere la qualità politica» dell'azione. Confermando le precedenti analisi, secondo le Br, si è alla vigilia di «una profonda crisi di regime che è soprattutto crisi politica dello stato e che tira verso una rottura istituzionale» verso un mutamento in senso reazionario dell'intero quadro politico». Con la baldanza dei vincitori la parola d'ordine è «costruire nelle grandi fabbriche e nei rioni popolari i primi centri del Potere operaio proletario armato» 110. Il sequestro Amerio ha messo in luce limiti gravi nella comprensione della natura e della matrice del terrorismo. Su questa incapacità pesa una forte componente di rimozione presente non solo nei giudizi ancora grossolani del Pci, ma anche in quelli di un gruppismo che ha visto nel suo stesso seno crescere spinte centrifughe verso il mito della lotta armata. A differenza del Manifesto e di Avanguardia operaia che insistono in un' ingenua e astratta presa di distanza dal terrorismo di sinistra, liquidandolo come frutto di un presunto complotto, Lotta continua torna sul centro della polemica con le Br: il problema non è la loro matrice, esse infatti sono parte della sinistra extraparlamentare, quanto la loro concezione della violenza. «Si perda meno tempo a sostenere la peregrina ipotesi che le Brigate rosse siano un'articolazione della pista nera, e che magari Amerio sia stato rapito da Ameno stesso: ci si impegni di più a spiegare chi è Amerio, che cosa è lo spionaggio Fiat, che cosa sono i licenziamenti, quale il pulpito "democratico" dal quale predicano i sacerdoti dell'ordine padronale. Si scelga, cioè, di parlare alle masse, e con il punto di vista delle masse coscienti. Che non hanno nessuna intenzione di buttar via, con l'acqua sporca dell'avventurismo piccolo-borghese, il problema vivo e serio della violenza proletaria» 111. Pochi giorni dopo il rilascio di Amerio è arrestato Antonio Savino, insieme alla moglie sta scrivendo sui muri della Fiat scritte inneggianti alle Br. E il primo dei brigatisti interni alla fabbrica che viene scoperto. Lavora alle officine meccaniche, è entrato alla Fiat negli anni della contestazione, non si è messo molto in vista anche se ha partecipato attivamente a tutte le lotte. Risulta iscritto al Pci, membro del direttivo della sezione Mirafiori. Il suo avvicinamento alle Br è frutto dell'influenza esterna del gruppo di Borgomanera di cui fanno parte Buonavita e il medico Levati. Ha contestato i primi episodi di violenza delle Br ma dopo il sequestro Labate ha manifestato i primi vacillamenti: in fondo questi «terroristi» colpiscono nella giusta dirczione. Insieme a lui in quegli anni lavorano alla Fiat altri due brigatisti che rincontreremo nella storia del terrorismo Basone e Piancone. Personalità molto diverse fra loro. Come Savino sono stati assunti negli anni dell'esplosione delle lotte operaie. Anche Basone nel '72 è entrato nel Pci, farà parte del direttivo della sezione Fiat-Mirafiori. Contesta i primi episodi di violenza delle Br ma dopo il sequestro Labate nascono le incertezze, forse questi «terroristi» non hanno tutti i torti, si allontana dalla milizia attiva e contesta sindacato e partito. La-scierà la fabbrica nel '75, dopo un anno sarà arrestato a Milano insieme a Curcio. Piancone è una personalità rissosa e inquieta, vaga da gruppo a gruppo. E licenziato per assenteismo. Un «onore» per un estremista che teorizza il rifiuto del lavoro. Riassunto alle presse riuscirà persino a farsi eleggere delegato. Arriverà a iscriversi al Pci nel '76. Un rapporto difficile, Piancone contesta apertamente il partito ed è più volte richiamato alla disciplina, certamente una mimetizzazione non ben riuscita ma non ininfluente nel gioco di sponda portato avanti dalle Br. Licenziato di nuovo per assenteismo lascia definitivamente la fabbrica per la piena clandestinità.
Dal punto di vista delle Br il sequestro Amerio segna un netto successo. Per una settimana hanno tenuto sotto scacco le forze dell'ordine mentre la stampa, ignorando totalmente l'invito dei familiari di Amerio, ha enfatizzato il loro ruolo e funzionato da amplificatore ai loro messaggi. La stessa conclusione del sequestro concorre a dare delle Br non il mortale volto dei signori della guerra che assumeranno negli anni di piombo quanto l'im-magine baldanzosa e giustizialista di moderni Robin Hood. I gruppi, al di là dell'arco di posizioni che hanno espresso sono stati costretti a discutere e non possono prescindere dalla realtà della lotta armata imposta dalle Br. Intanto sul quadro politico italiano continuano a gravare le ombre di una involuzione in senso autoritario. Nel tradizionale discorso di Capodanno del presidente della RepubblicaGiovanni Leone, molti commentatori scorgono il riaffiorare di tentazioni da repubblica presidenziale. Il Pci denuncia i rischi che incombono sulla democrazia. Il nuovo anno inizia con la tempesta della questione morale. Mentre ai lavoratori si chiedono sacrifìci, per fronteggiare la grave situazione economica, tutti i partiti di governo sono coinvolti nello scandalo dei petroli e dei fondi neri della Montedison. Uno spettacolo indecoroso per tutto il sistema democratico. A Genova, alla conferenza operaia (8-10 febbraio '74), il Pci passa in rassegna lo stato del processo riformatore. Nella relazione introduttiva Ferdinando Di Giulio prospetta la necessità di un modello alternativo di sviluppo e rivendica una nuova dirczione politica. Enrico Ber-linguer nelle conclusioni esplicita ulteriormente la strategia del compromesso storico, una proposta per cambiare gli indirizzi economici, politici e sociali nel paese e «rimettere sui binari della Costituzione lo stato nato dalla resistenza». Dopo un combattivo sciopero operaio, Ugo La Malfa criticando l'avventuri-smo dei sindacati e non risparmiando critiche ai partner socialisti, si dimette dal governo provocandone la caduta. La crisi trova una temporanea ma instabile soluzione nel governo Moro. Sui rapporti fra le forze politiche incombe l'incognita del referendum sulla legge sul divorzio. Pantani, i settori più oltranzisti della De e il movimento sociale di Almirante sono gli alfieri di un integralismo dai toni quarantotteschi. Le Br proseguono nella loro «propaganda armata». Alla Sit-Siemes, il 16 gennaio '74, l'incendio dell'auto del dirigente Valentino Spataro. A Mestre, il 4 marzo, l'irruzione nella sede della Cisnal. A Sesto San Giovanni (Milano) l'incendio dell'auto di Giuseppe Lunghi direttore della Breda. A Torino, il 30 marzo '74, l'incendio dell'auto di Agostino Belsito vicedirettore della Singer. Anche Avanguardia operaia è coinvolta nelle indagini sul terrorismo di sinistra. A Greve in Toscana nella «cinquecento» di un militante sono ritrovati documenti intitolati Note per la formazione di Unità operative: plotoni. La notizia suscita molte perplessità. L'inchiesta che si estende in varie città non darà alcun risultato. Nell estremismo si parla di provocazione dello Stato per criminalizzare la nuova sinistra. Simbolo della repressione diventa il magistrato genovese Mario Sossi, il protagonista del processo contro il gruppo 22 Ottobre. Nelle manifestazioni di piazza i militanti gridano «Sossi, fascista, sei il primo della lista!». Lo slogan riecheggia nell'aula del tribunale di Genova al processo d'appello che si apre nel marzo. Agli imputati fa da coro un folto gruppo di spettatori. Il processo si conclude con la conferma dell'egastolo per Mario Rossi responsabile dell'as-sassinio del fattorino Floris. Con l'opuscolo Contro il neo-gollismo portare l'attacco al cuore dello Stato, dell'aprile '74, ancora un aggiustamento teorico delle Br. Punto di partenza l'aggravamento della «crisi di regime», da cui deriva il progressivo «processo di controrivoluzione, nel tentativo di distruggere il movimento delle lotte e i livelli di organizzazione autonoma e rivoluzionaria». E in questo quadro — secondo le Br — che l'offensiva padronale e capitalistica si sposta sempre di più fuori della fabbrica: «Ora, se nelle fabbriche l'autonomia operaia è abbastanza forte e organizzata per mantenere uno stato di permanente insubordinazione e conquistarsi il proprio spazio di potere via via crescente, fuori della fabbrica essa è ancora debole al punto di non essere in grado di opporre una resistenza agli attacchi della controrivoluzione. Per questo le forze della controrivoluzione tendono a spostare la contraddizione principale fuori della fabbrica ed impegnare le battaglie decisive per isolare lo scontro di potere dentro le fabbriche e poterlo più facilmente controllare per poi distruggere...» lu. Secondo il documento la linea della controrivoluzione non si presenta in modo univoco. Al suo interno, infatti, si scontrano due diverse impostazioni: la linea golpista e il progetto neogollista di «riforma costituzionale». Nella specificità della situazione italiana quest'ultima tende a prevalere. Dietro «le parvenze e la forma della democrazia borghese, pur calpestandone la sostanza», il progetto «neogollista è un progetto armato che punta alla crescente militarizzazione del potere. Per questo sirafforza il controllo sui centri nodali dell'apparato statale, quei corpi separati dello stato che spesso hanno operato in modo discordante, riconducendoli progressivamente ad una nuova disciplina» 113. Per le Br l'esempio più clamoroso di questa ristrutturazione è offerto dalla magistratura: «II neogollismo sta tentando di realizzare ciò che neppure il fascismo era riuscito a fare costruire una precisa identità tra i propri interessi di potere e la "legge"». I teorici del gruppo si rivolgono — dunque — ai militanti di un estremismo che ha sempre visto nella Magistratura il braccio esecutivo della campagna d'ordine e repressiva del potere. Proprio in quel periodo nel Parlamento si discute con accanimento l'ipotesi di nuove e più restrittive norme per lordine pubblico e il movimento extraparlamentare è ossessionato dalla cosiddetta "germanizzazione" dello Stato. Il documento delle Br fa esplicito riferimento al referendum sul divorzio. Per il neogollismo è 1 occasione per mettere in pratica i suoi disegni di «riforma costituzionale» e stringere in un patto di ferro tutta la destra. Con la vittoria della De l'involuzione si concretizzerebbe immediatamente in una «piattaforma di ordine democratico» di segno reazionario e finalizzata a ristabilire il dominio integrale della borghesia 114. La liquidazione del centro-sinistra e il generale clima di insicurezza sono componenti decisive della linea della De; entrambe, continua il documento, servono per dare credibilità a un partito che vuole presentarsi come unico garante della «tranquillità economica e politica» e dell'ordine. In questo disegno l'iniziativa controrivoluzionaria è assunta direttamente da quel «blocco di potere interno allo Stato» contro cui le Br intendono concentrare il massimo dell'attacco. Dunque, occorre forzare «la ragnatela del passato e superare l'impostazione tradizionale dell'antifascismo militante». Ma, concludono le Br, sarà impossibile vincere senza superare «la fase spontanea e organizzarsi sul terreno del potere. E la classe operaia si conquisterà il potere solo con la lotta armata». Il 18 aprile '74, una data simbolo, non solo il richiamo allo storico 18 aprile del '48 ma lo stesso giorno ai vertici della Confindustria si insedia l'avvocato Gianni Agnelli, un Gommando composto da sei brigatisti sequestra il magistrato Mario Sossi. Inizia una lunga gestione politica: 35 giorni di prigionia per il magistrato genovese. Per la prima volta nella storia del terrorismo lo Stato si troverà di fronte al bivio della trattativa. Se ne avvertono subito gli effetti devastanti: opinione pubblica, forze politiche e magistratura ne usciranno divisi e manifesteranno le prime avvisaglie del cedimento. Il clima referendario non giova alla comprensione del salto di «qualità» compiuto dal terrorismo «rosso». L'asprezza dello scontro in atto produce strabismo nella valutazione del sequestro e al giudizio sulla gravita dell'azione non si accompagna un comune orientamento delle forze politiche sulla matrice dell'azione. La condanna democratica non riesce a liberarsi dalle ipoteche degli scenari politici. «Il Manifesto» offre un esempio clamoroso di questo impaccio: «i provocatori fascisti che hanno rapito Sossi minacciano di ucciderlo fingendo il ricatto politico. E la stessa mano della strage di stato che ora sfrutta la tensione del referendum» 115. Anche per la sinistra è una provocazione tesa a influenzare negativamente l'esito del referendum: Enrico Berlinguer afferma: «si vuole creare tensione e paura» per attentare all'ordine democratico; «fascismo» commentano i leader della sinistra resistenziale Amendola e Terracini; «chi fa opera di provocazione contro la sinistra deve ammantarsi di piume mimetiche» scrive 1'«Avanti!». All'indomani del sequestro giunge il primo comunicato. Vi è descritta la figura del sostituto procuratore e il suo ruolo di agente della controrivoluzione: «un persecutore fanatico della classe operaia, del movimento degli studenti, dei commercianti, delle organizzazioni della sinistra in generale e della sinistra rivoluzionaria in particolare» u6. La ricostruzione della carriera di Sossi è puntigliosa. Ancora universitario la presentazione per due volte nelle liste del Fuan, successivamente il suo ruolo in magistratura. Nel dicembre '69, applicando le norme del codice Rocco, arresta Finterò comitato direttivo del Pcd'I (m-1) per «cospirazione contro lo Stato. Nel febbraio '70, le sue polemiche sul diritto di sciopero fino alla denuncia dell'intera commissione interna degli ospedali psichiatrici di Quarto e Cogoleto per «abbandono collettivo del posto di lavoro». Nell'ottobre '70, l'arre-sto per rapina di tré studenti rei di aver fatto consumare il pasto gratis ai loro compagni della Casa dello studente. Nel novembre '71, il comunicato ricorda ironicamente, il ruolo di moralizzatore di Sossi quando processa per direttissima 9 giornalai con l'im-putazione di aver esposto pubblicazioni oscene. Nell'agosto '72, dietro consiglio del Sid e in base all' «infame memoriale Piset-ta», il nuovo mandato di cattura nei confronti di Giambattista Lazagna per impedirne il rilascio in libertà provvisoria. Infine il processo contro «il gruppo rivoluzionario 22 Ottobre». Per Sossi non si tratta di giudicare un crimine ma di condannare quello che dal suo punto di vista è il crimine per eccellenza «essersi rivoltati con le armi in pugno ali ordine e alle leggi della borghesia». Per lui, agente primo della controrivoluzione, il processo diventa «processo di regime». La dettagliata cronistoria della carriera di Sossi vuole rivolgersi a tutto l'estremismo, costringerlo a mettere in pratica lo slogan «Sossi, sei il primo della lista». Ora il magistrato è prigioniero nel «carcere del popolo», sottoposto a giudizio per le sue responsabilità. Dunque le Br chiamano a raccolta le forze del sovversivismo e polemizzando, senza farne esplicita menzione, con la linea propugnata dal Pci concludono il loro volantino-comunicato con un appello a trasformare «la crisi di regime» in lotta armata: «Nessun compromesso è possibile con i carnefici della libertà. E chi cerca e propone il compromesso non può parlare a nome di tutto il movimento operaio. Compagni entriamo in una fase in cui il compito principale delle forze rivoluzionarie è quello di rompere l'accer-chiamento delle lotte estendendo la resistenza e l'iniziativa armata ai centri vitali dello stato» 117. Coglie l'insidia presente nella scelta dell'obiettivo Lotta continua che giudica il sequestro una sfida a tutto il movimento. A destra si tenta la carta della criminalizzazione indistinta, alcuni giornali con evidenti intenti allarmistici scrivono che il governo si accingerebbe a mettere fuori legge alcuni gruppi extraparlamentari. Alla tensione provocata dal sequestro si aggiunge quella prodotta dalla tentata strage del 21 aprile: le bombe sono sistemate sui binari della Bologna-Firenze, fortunatamente l'eccidio è evitato dal blocco automatico. Rivendicano l'attentato sedicenti Brigate popolari-Ordine nuovo. Di lì a poco ancora una falsa attribuzione: un presunto verbale dell'interrogatorio di Sossi firmato Nucleo romano delle Brigate rosse. Il 23 aprile le Br diffondono un secondo comunicato. Riporta il testo precedente, unica novità la precisazione: «facciamo presente che solo i comunicati battuti con la macchina che ha firmato il primo sono autentici». E minacciose aggiungono: «non si tratta di un gioco e le false informazioni possono solo aggravare la posizione del prigioniero» 118. Insieme al comunicato una fotografìa e un messaggio di Sossi; il magistrato chiede la sospensione di ricerche «inutili e dannose». Nel paese la reazione democratica è contraddittoria. Sulla matrice dell'azione terrorista fra il fronte divorzista e la De la polemica è senza esclusione di colpi. Anche il sindacato stenta a dare una risposta di massa, gli scioperi sono modesti e scarsamente partecipati. Alla Sit-Siemens, fabbrica in cui si erano manifestate le prime apparizioni delle Br, il consiglio di fabbrica pur denunciando il carattere antidemocratico e provocatorio del sequestro nei suoi volantini continua a scrivere di «cosidette» Br e arriva persino a prospettare la complicità della dirczione aziendale circa i ritrovamenti interni alla fabbrica e la scoperta sul tetto di un capannone di un registratore che diffondeva comunicati del gruppo terrorista 119. Concorre ad aumentare lo stato d'incertezza la sfiducia nel quadro democratico. Tra i lavoratori, troppi fatti lo hanno drammaticamente confermato, è netta la sensazione che dietro le quinte della legalità democratica e nascoste in punti chiave deU'apparato statale molte forze lavorano a ordire torbidi complotti. Per il sindacato è una prova difficile, ma il passaggio sarà decisivo per la difesa del quadro democratico. Anche fra i corpi dello Stato inizia una forte polemica. Feroci gli scambi di accuse fra magistratura e forze dell'ordine. Su «L'Espresso» Federico D'Amato, capo della Direzione generale sicurezza interna, attacca giudici e Sid: «Ma che fantomatici, noi li conosciamo, li arrestiamo, e la magistratura li libera [...] Pisetta era uno del gruppo, poi intervenne il Sid e rovinò tutto» 120. Le ricerche brancolano nel buio, così scrive il quotidiano «Paese sera»: «II contrasto tra polizia e magistratura rischia comunque di creare una situazione di pericolo... Alla fine è stato detto che la macchina della giustizia investigativa sarebbe stata bloccata ma nello stesso tempo è stata lanciata la più grossa operazione preventiva degli ultimi anni con 4.000 uomini armati di mitra. Intanto gli investigatori, si barcamenano, promettendo il blocco dell'inchiesta e invece preparano "blocchi stradali". Non è uno Stato che si arrende, è uno Stato che non sa che pesci prendere» u1. E passata meno di una settimana dal rapimento quando il terrorismo svela il suo disegno: legittimarsi come forza combattente nei confronti dello Stato. A modificare la situazione interviene il comunicato dei Gap genovesi: per Sossi non occorrono processi; la parola d'ordine, chiedono i Gap alle Br, deve essere una sola «Fuori Rossi o morte a Sossi». Il 26 aprile, le Br con il loro terzo comunicato fanno proprio 1 obiettivo proposto dai Gap. Lo Stato non si faccia illusioni, scrive il volantino, nessun ottimismo sulla «gradualità» del rilascio di Sossi «punto irrinunciabile del programma politico delle Br è la liberazione di tutti i prigionieri politici» 122. Le indagini procedono in modo confuso. Anche Lotta continua ne rimane coinvolta, il pretesto è un volantino del circolo 22 Ottobre legato al gruppo in cui si chiede la liberazione del-l'anarchico Giovanni Marini. Sarà proprio quest'ultimo a precisare che non esiste nessun collegamento fra una sua eventuale liberazione che deve scaturire solo dal processo e il rapimento Sossi. Intanto le oltre 500 perquisizioni, operate dal generale Dalla Chiesa ad insaputa della magistratura non danno alcun esito. A dieci giorni dal sequestro II «Corriere della sera» scrive: «Le Br sembrano vincere su tutta la linea. Vincono materialmente perché il magistrato è ancora nelle loro mani, vincono politicamente perché stanno seminando lo scompiglio nella struttura statale» 123. La polemica si sposta sulla richiesta di scambio. Il sostituto procuratore Mario Sossi, il 30 aprile, dal «carcere del popolo» invia un secondo messaggio alla moglie. La invita a proseguire nel suo impegno affinchè «ognuno» assuma le sue responsabilità. Il messaggio è esplicito: «Non sono soltanto io responsabile dei miei errori». Il riferimento di Sossi è a Francesco Coco e ai vertici della magistratura genovese. Gran trambusto nella magistratura. Interviste, dichiarazioni e prese di posizione danno un quadro di incertezza, polemiche, allusioni. Si cerca di imporre il black-out stampa, ma l'appello cade nel vuoto, tutti i giornali continuano a descrivere la grande confusione e l'imbarazzo, a commentare l'azione delle Br. Intanto spavaldamente e a riprova della sua forza organizzativa e della sua imprendibilità il gruppo porta a compimento due nuove azioni. Il 30 aprile, a Torino, due uomini armati irrompono negli uffici del Centro studi don Sturzo e dell'onorevole democristiano Giuseppe Costamagna, imbavagliano l'impiegato Giancarlo Fava e sequestrano gli archivi. Lo stesso giorno, a Milano, un Gommando Br assalta la sede del Movimento di resistenza democratica, fondato da Edgardo Sogno, imbavagliano gli impiegati e si appropriano degli schedarii Con questa azione, spiegano le Br, si è voluto offrire un' indicazione concreta al movimento armato colpendo: «II comitato di resistenza democratica che attualmente è la più attività centrale dell'imperialismo Usa in Italia, e i Centri Sturzo della Democrazia cristiana legati al Crd ma "specializzati" nelle funzioni di ponte col Msi» w. I setacciamenti alla ricerca di Sossi non danno alcun risultato. Una ridda di illazioni. L opinione pubblica comincia a interrogarsi sulla sorte del magistrato. L'avvicinarsi della scadenza elettorale accresce le preoccupazioni. Incuranti delle indagini le Br continuano la diffusione del loro materiale di propaganda in tutte le principali città. Con il quarto comunicato, diramato il 5 maggio, i terroristi chiedono lo scambio di Sossi con i detenuti del gruppo 22 Ottobre. L'interrogatorio del detenuto è concluso, le Br hanno sentito «la sua versione dei fatti, la sua autodifesa, la sua autocritica», è venuto dunque «il momento delle decisioni». Il comunicato parte dai risultati dell'interrogatorio. Sossi ha ammesso di aver progettato insieme a polizia, carabinieri, magistratura e Sid una macchinazione controrivoluzionaria contro il gruppo 22 Ottobre. Dopo aver riconosciuto le sue responsabilità «ha puntato il dito contro chi, protetto dalla grande ombra del potere, lo ha pilotato in questa miserabile avventura: Francesco Coco procuratore della Repubblica». Tuttavia ce ancora una via d'uscita — dicono le Br — lo scambio dei prigionieri politici: Mario Rossi, Giuseppe Battaglia, Augusto Viel, Rinaldo Fiorani, Silvio Malagodi, Cesare Maino, Gino Piccardo, Aldo de Scisciolo. Una precisazione importante, nulla deve essere nascosto: «non ci saranno trattative segrete». Forse già è in atto un tentativo di scambio. Infine fissano le modalità del rilascio, i «prigionieri politici» dovranno essere liberati insieme in uno dei seguenti paesi, Cuba, Corea del Nord, Algeria. La conclusione ha il tono dell'ultimatum: «Garantiamo l'incolumità del prigioniero solo fino alla risposta. In una guerra bisogna saper perdere qualche battaglia. E voi questa battaglia l'avete persa. Accettare questo dato di fatto può evitare ciò che nessuno vuole ma che nessuno può escludere» w'. In Italia è la prima volta che il terrorismo sfida apertamente lo Stato. Di fronte al grave ricatto i commenti politici sono tutti improntati alla linea della fermezza: cedere significa legittimare il terrorismo, scardinare i principi della democrazia e distruggere la repubblica costituzionale. La famiglia Sossi prende l'iniziativa, il suo legale l'awocato Marcellini afferma polemicamente che le difficoltà sono solo di ordine politico e non giuridico-tecnico. Anche sulla stampa iniziano a farsi strada ipotesi che guardano alla trattativa: si fa riferimento ad altri cedimenti dello Stato in presenza di azioni del terrorismo internazionale 126, alcuni prospettano varie soluzioni giuridiche fra cui il ricorso alla cosidetta legge Valpreda. Il sindacato di fronte alla sfida terroristica e per «respingere ogni ricatto» proclama per il 10 maggio lo sciopero generale nella città di Genova. Discordanti le voci della magistratura. Per Francesco Coco, procuratore della Repubblica, cedere non significa salvare la vittima. Molti magistrati — al contrario — sostengono che lo Stato di necessità renderebbe praticabile e giuridicamente valido il rilascio dei detenuti del gruppo 22 Ottobre. Dalla prigione brigatista arrivano altri messaggi di Sossi. Sono indirizzati alla famiglia e alla stampa, invitano alla trattativa: «non intendo pagare gli altrui errori». Si susseguono vertici e indagini inconcludenti. Rispondendo al messaggio della signora Sossi, Paolo VI dalla radio vaticana si rivolge direttamente «agli uomini ignoti che tengono sequestrato il giudice Mario Sossi». Intanto cresce il fronte della trattativa, incoraggiano le disponibilità che si manifestano nella magistratura le autorevoli dichiarazioni di Riccardo Lombardi e Umberto Terracini. Per il primo la decisione spetta solo alla magistratura; il secondo, in contrasto con la linea del Pci, si schiera a favore del rilascio dei detenuti pur di salvare la vita a Sossi. Si raccolgono fondi da offrire alle Br in cambio della liberazione; la famiglia cerca canali diretti con i terroristi; a Genova si svolge una marcia silenziosa per salvare la vita di Sossi. Dopo quattro giorni dal primo ultimatum, il 9 maggio, il comunicato n. 5 delle Br fa il punto della situazione. L'esordio è du-rissimo: «Non trattiamo con i delinquenti!». L'attacco è diretto a Taviani, ministro degli Interni. Dietro la sua difesa dello Stato non ci sono altro che «bassi motivi di delinquenza». A Genova sotto la sua protezione si svolge un intenso traffico di armi, una rete che vede compiici magistrati e polizia. Dopo aver lanciato vari messaggi cifrati, le Br scrivono: «E si capisce anche perché Taviani preferirebbe oggi fare di Sossi un "eroe morto"; se necessario su questa squallida vicenda potremo fornire anche una documentazione dettagliata» m. Le Br, hanno ben compreso quale è il punto più critico del fronte della fermezza: spetta alla magistratura concedere la libertà provvisoria agli otto detenuti del 22 Ottobre. Non e' è dubbio, le Br hanno ottenuto da Sossi molte notizie, su questo la stampa si interroga, a cosa si riferiscono i terroristi quando minacciano precise documentazioni? 128. Intanto Sossi che conosce la linea dura dell'Unione magistrati italiani comunica la sua decisione di dimettersi dal-l'associazione. A Genova lo sciopero del 10 maggio vede una scarsa partecipazione. Scrive «Lotta continua»: «L'iniziativa delle confederazioni sindacali. [...] è stata ovunque praticamente disertata dagli operai che ne hanno colto l'ambiguità»m. L'ambiguità a cui si riferisce consiste nel fatto che a due giorni dal voto referendario «i più squalificati democristiani» hanno potuto parlare in fabbrica e farsi alfieri della difesa delle istituzioni. Ancora più duro il volantino diffuso all'Ansaldo dall'Autonomia organizzata: «Nessuna solidarietà!». Nel tono e negli argomenti riprende l'indicazione del comunicato n. 5: «la classe operaia di Genova deve scioperare non a fianco di Taviani ma per la liberazione degli 8 compagni del 22 Ottobre». La rivista «Rosso» analizzando criticamente lo sciopero fa esplicito riferimento al Pci e al referendum: per non liquidare definitivamente la linea del compromesso storico occorreva al Pci una forzatura per dimostrare la sua capacità di controllo sulla classe operaia «fino al punto di ridurla a un pietoso ossequio nei confronti dello stato democratico» "°. Lo stesso giorno dello sciopero sindacale la rivolta dei detenuti nel carcere di Alessandria si conclude con la morte di sei detenuti. La rivista «Panorama» riporta un'agghiacciante affermazione del procuratore generale Reviglio che ha ordinato di mettere fine alla rivolta: «non si poteva ammettere che lo Stato venisse ancora calpestato. E stata un'azione meravigliosa condotta in modo magistrale» 131. Alla luce di quanto avvenuto ad Alessandria il ministro Taviani conferma il rifiuto ad ogni trattativa da parte dello Stato. Il 12 maggio, i No vincono il referendum sul divorzio: è la vittoria della ragione. Continua la lunga agonia per la sorte di Sossi. Le prese di posizione si alternano. La signora Sossi dichiara: «lo Stato ha condannato a morte mio marito». Lotta continua lascia intendere che ormai sono in molti a volere la morte di Sossi. Un interesse che non è delle Br ma degli apparati dello Stato. Sulla stampa di destra si fa il nome di frate Girotto come possibile intermediario nei confronti delle Br per la salvezza di Sossi. Sono gli stessi giornali che qualche mese prima avevano accreditato la figura del frate guerrigliero pubblicando un suo memoriale e ampie notizie biografiche. Forse molti già sanno che Girotte è un infiltrato nelle file del terrorismo. Le Br tacciono da quasi una settimana, quando con un colpo a sensazione, il settimanale «L Espresso» pubblica una lunga intervista di Mario Scialoja con i terroristi m. Le Br rispondono alle critiche mosse dai gruppi extraparlamentari e chiariscono che il loro attuale punto di riferimento sono quei gruppi che non si schierano con le correnti «neopacifiste». Precisando il loro antirevi-sionismo non tagliano i ponti: la lotta armata coinvolgerà lo stesso Pci o «per lo meno la sua anima comunista». Parlano di rischi di infiltrazioni e della loro organizzazione, della debolezze dello Stato e delle prospettive armate, puntualizzano le loro peculiarità rispetto ad altri gruppi del terrorismo internazionale. Il 18 maggio diffondono un nuovo comunicato, il numero 6, quello della condanna a morte. E trascorso un mese dal sequestro, il processo al detenuto ha dato i suoi risultati, se non saranno liberati gli otto prigionieri politici Mario Sossi sarà giustiziato per i reati che egli stesso ha confessato. I difensori del gruppo del 22 Ottobre sono incerti. Rompe le esitazioni l'avvocato della famiglia Sossi che presenta l'istanza di scarcerazione. Il 20 maggio un brusco colpo di scena: la Corte d'Assise d'appello di Genova concede d'ufficio la libertà provvisoria e il nulla osta per il passaporto agli otto imputati del 22 Ottobre, la condizione è che sia assicurata l'incolumità e la liberazione del giudice Sossi. Ora la parola spetta al governo. Le reazioni offrono un variegato campo di posizioni. A quelle ufficiali dei partiti si aggiungono, spesso con accentuazioni diametralmente opposte, le dichiarazioni a titolo personale. Ma la contraddizione principale è fra potere politico e magistratura; ed è su questa che le Br — sin dall'inizio — hanno fatto leva per evidenziare la «sostanza del progetto neogollista». All'indomani della decisione della Corte d'Assise, Magistratura democratica aveva espresso solidarietà con quei giudici che avevano saputo prendere una decisione tanto difficile e — polemizzando con la linea dura — aveva aggiunto: «evidentemente non è stato sufficiente l'esempio doloroso della strage del carcere di Alessandria e si ritiene che 5 vite non bastino a salvare un malinteso prestigio di stato». Arbitro della situazione diventa il procuratore generale Francesco Coco. E contrario al provvedimento, annuncia di presentare ricorso, ma al tempo stesso dichiara che se si verifìcasse-ro le condizioni in esso contenute non intende sottrarsi al suo dovere di eseguire 1 ordinanza. Ancora un comunicato Br e un messaggio di Sossi. Il magistrato è ancora vivo e sta bene, le Br definiscono le modalità del rilascio dei detenuti politici e quindi la liberazione di Sossi. Francesco Coco, appellandosi ai margini discrezionali che gli sono offerti, attende: prima Sossi vivo e poi si attuerà 1 ordinanza. Le Br comprendono la sostanza del «progetto Coco»: costringerle a una situazione di stallo arrivando così all'invalidazione dell ordinanza di libertà provvisoria da parte della Cassazione. Ma Curcio e i suoi non vogliono far ricompattare il fronte della fermezza, le scelte sono obbligate: «o liberare Sossi e costringere Coco a rimangiarsi le sue promesse dimostrando così che la legge è un puro strumento di potere o tenere prigioniero Sossi con la prospettiva di doverlo liberare o giustiziare qualche giorno dopo senza nessuna contropartita politica» w. Il 23 maggio 1974, dopo 35 giorni di sequestro, le Br rilasciano in un quartiere periferico di Milano il sostituto procuratore Mario Sossi. Nelle sue tasche oltre il biglietto ferroviario per Genova, il comunicato n. 8: «Perché rilasciamo Mario Sossi». Nessun pretesto alle manovre dilatorie di Coco e di chi lo copre, il procuratore generale di Genova è di fronte alla «sua» legge o liberare subito i militanti del 22 Ottobre o non rispettarla. Per Francesco Coco «l'ordinanza di scarcerazione è ineseguibile» in quanto non sono state rispettate le modalità dello scambio. Si prolunga l'effetto del sequestro. La decisione del procuratore di Genova suscita reazioni contrapposte, intanto tutta la stampa si interroga sulla condotta di Sossi e sulla scelta a sorpresa delle Br. «L'Espresso» così commenta la contraddizione apertasi con il rilascio di Sossi: «L'ultima mossa dei brigatisti [...] si sta rivelando la più scaltra del loro lungo duello con lo Stato italiano [...] Se lo avessero ucciso si sarebbero isolati totalmente [...] essi volevano porre l'opinione pubblica di fronte ad una drammatica domanda: è giusto reagire alla illegalità e alla violenza fìsica di un sequestro con la illegalità e la violenza della menzogna di Stato? Ci sono riusciti» 134.
Con il sequestro Sossi e la sua gestione le Br sono entrate prepotentemente nella scena politica nazionale, hanno agito da partito politico armato facendo leva sulle contraddizioni dello Stato svelandone le sue intrinseche debolezze. In molti passaggi hanno dimostrato addirittura di poter ricattare il sistema democratico non solo sotto la minaccia della morte ma anche annunciando rivelazioni sul suo grado di inquinamento. Alla presa di distanza del Manifesto, di Avanguardia operaia e in parte della stessa Lotta continua fa da pericoloso contrappunto il crescente interesse per le impostazioni del partito armato dei vari raggruppamenti dell'autonomia. Il Comitato politico operaio dell'Alfa Romeo, in un suo documento, riconosce alle Brigate rosse di «avere rimesso al centro dell'attenzione politica la teoria e la pratica della lotta armata e di aver sviluppato sulle contraddizioni interne allo Stato la propaganda contro di esso». Giudicato opportunistico il richiamo a un presunto «livello di coscienza medio delle masse» per accusare il gruppo terroristico di provocazione, tuttavia gli contesta, dialettizzandosi così sul terreno dell'organizzazione militare, la logica da «braccio armato» e quindi il distacco dal lavoro politico di massa: «Noi crediamo che lo sviluppo della violenza rivoluzionaria debba avvenire in stretto rapporto col movimento sotto la dirczione politica dell'autonomia operaia organizzata e che solo questa sia la condizione per sbagliare il meno possibile nella scelta degli obiettivi e dei tempi» 135. Analoga la critica del Cpo della Face Standard. Il passaggio alla violenza di massa organizzata non è separabile dal movimento e quindi dal consolidarsi all'interno di esso di specifici momenti di organizzazione del partito armato in stretto collegamento con lo sviluppo dell'autonomia operaia: «L approvazione può nascere solo da rapporti di forza costruiti in fabbrica se non vogliamo operare fughe alla Le vecchio stile (prendiamoci la città). Da questa concezione nasce la nostra critica alle Br: non "complesso d'inferiorità". Se infatti l'aspetto positivo dell'a-zione delle Br consiste nell'aver posto nella pratica il problema della lotta armata in un quadro generale di opportunismo dei gruppi, va affermato, però, con altrettanta chiarezza, che, dall'a-naiisi sbagliata della situazione politica (neogollismo) i compagni delle Br derivano errori di fondo su obiettivi della loro azione, livelli organizzativi, tempi dell'azione militare. Questi errori portano a una logica gruppettistica (braccio armato, mancata organizzazione dei livelli di violenza spontanea di massa, nessun programma politico) e insurrezionale (attesa del momento fatidico della crisi del regime)» "6. Per i collettivi romani del Policlinico e dell'Enel le Br con la loro azione hanno fatto comprendere all'insieme della sinistra extraparlamentare il ruolo dell'autonomia operaia reale e la sua capacità di «forza politica coerente con le esigenze proletarie». Sul carattere «rivoluzionario» delle Br, per «Rivolta di classe», non ci può essere alcun dubbio, lo conferma il fatto che esse sono diventate «il punto di riferimento degli attacchi di tutto il sistema democratico», in questa forza di dimostrazione sta il significato del rapimento Sossi: «mettere in guardia il proletariato da uno Stato che nonostante si fregi delle insegne della resistenza, è rimasto nelle sue strutture, nel suo agire, marcatamente fascista, ha rappresentato un monito per qualsiasi avventura ai danni del movimento operaio» 137. Sulla stessa linea si muove «Rosso», la rivista nazionale dell'Autonomia: «Le Brigate rosse e le loro azioni violente "costringono" oggi la sinistra a prendere posizioni nei confronti della violenza, ad uscire allo scoperto. E questo ci sta bene. A troppi sedicenti rivoluzionari sono bastate poche settimane di segregazione dorata di un magistrato per dimenticare la segregazione della classe operaia nelle fabbriche: le morti bianche, i morti sotto i colpi della polizia, gli assalti e le bombe fasciste, per recuperare in fondo una facciata "democratica" che passava attraverso la condanna delle Br» 138. Il dissenso con il gruppo terrorista è tutto e solo politico: non si è di fronte a un golpe neogollista da fronteggiare, ma il nemico principale da abbattere è il partito del lavoro che lega insieme borghesia e riformisti. Nasce da questo errore di impostazione il permanere nelle Br di una «teoria da braccio armato» piuttosto che il lavorare per un «comando politico» da parte dell'autonomia. Un limite grave «di fronte alla domanda di organizzazione che il comportamento di classe e le avanguardie esprimono oggi». Con la sconfìtta subita dalla De sul referendum tutta la situazione politica è in movimento. La vittoria del fronte del No sembra prefigurare una possibile quanto irreversibile fine della centralità politica della De. Sul piano dell'ordine pubblico ancora non si sono spenti gli echi del lungo sequestro Sossi quando puntuale nella sua crudeltà torna la strategia del terrore di destra: il 28 maggio 1974, in piazza della Loggia a Brescia una bomba provoca otto morti e un centinaio di feriti. Per la prima volta è colpita una manifestazione operaia, lordigno è stato sistemato in un cestino di rifiuti nella piazza dove si sta svolgendo una manifestazione indetta dai sindacati contro lo squadrismo fascista. La città era stata al centro di numerosi episodi di violenza fascista ad opera di gruppi facenti capo ad Avanguardia nazionale, al circolo la Fenice, alle Squadre d'azio-ne Mussolini e al Movimento armato rivoluzionario. Proprio a Brescia circa una settimana prima della strage era morto Silvio Ferrari un giovane di estrema destra dilaniato dallo scoppio del-l'esplosivo che stava trasportando sulla sua motoretta. Lo sdegno è enorme, i funerali delle vittime sono una grande giornata di lotta dell'Italia democratica che vuole fare piena luce su mandanti ed esecutori delle stragi. Si avverte che l'obiettivo principale delle varie strategie eversive è contrastare il rinnovamento politico del paese, un rinnovamento che il voto referendario carica di una nuova e forte credibilità. E proprio in questi mesi che il terrorismo di sinistra si fa portatore di morte. Una modificazione nelle strategie eversive che farà dire a molti commentatori che il terrorismo cambia colore. Dopo il rilascio di Sossi gli arresti di alcuni brigatisti sembrano rassicurare: le nuove misure di polizia adottate anche se non hanno consentito la liberazione del magistrato da parte dello Stato forse possono far risalire sia pure in ritardo all'organiz-zazione terroristica assicurando i suoi capi alla giustizia. Il primo arresto è quello di Paolo Maurizio Ferrari nei pressi di Firenze. Le indagini portano a Torino, città in cui opera il Ferrari. In un appartamento affittato sotto falso nome: materiali, documenti, una radio sintonizzata sulla frequenza delle autoradio della polizia. AU'inizio di giugno, in circostanze del tutto casuali, la scoperta di un altro covo in provincia di Piacenza. Sono ritrovati materiali teorici delle Br, arnesi per la falsificazione di targhe e documenti, vari elementi confermano che i frequentatori del covo hanno avuto a che fare col rapimento di Sossi. Le piste porterebbero a Pietro Bassi, proprietario sotto falso nome dell'appartamento e ad Alberto Franceschini, già noti agli inquirenti. Il 17 giugno '74 un nucleo armato delle Br irrompe nella sede del Msi in via Zabarella a Padova. Nel locale sono sorpresi Giuseppe Mazzola un ex appuntato dei carabinieri di 60 anni e Graziano Giralucci, i due sono immobilizzati e uccisi con colpi di pistola alla nuca. Crolla l'immagine da «banditi gentiluomini» delle Br, il terrorismo si presenta con il volto della barbarie assassina. Nel Gommando Carlo Castrati, un personaggio legato alla criminalità comune, approdato alla politica attraverso vari ed equivoci passaggi. Lo ritroveremo in torbide vicende come l'omicidio Saronio e infine sarà uno dei pentiti che consentirà gli arresti del 7 aprile 1979. Il giorno dopo l'atroce esecuzione è ritrovato il comunicato di rivendicazione. E firmato Brigate rosse, nei contenuti e nella forma è del tutto organico al pensiero del gruppo terroristico, ne riprende le parole dbrdine e gli slogan. Soccorso rosso nella sua ricostruzione della storia delle Br lascia intendere che si tratta di un testo scritto autonomamente e non smentito dal gruppo dirigente terroristico. Anche l'infiltrato Girotte, nelle sue dichiarazioni della primavera '75, parlerà di una decisione «autonoma» della colonna veneta. Nelle ricostruzioni giudiziarie si chiarirà parzialmente la vicenda. È la colonna veneta, un gruppo di confine fra Br e autonomia di Negri che prende l'inÌ-ziativa per forzare sul terreno della lotta armata e accreditarsi come «gruppo di fuoco». Ne nasce la polemica fra il leader autonomo e Curcio sulla rivendicazione e infine la decisione delle Br di assumersi a pieno titolo la parternità dell'assassinio. Una svolta radicale nella vicenda politico-organizzativa delle Br e del panorama eversivo. La pubblicistica extraparlamentare commentando il duplice assassinio parla cinicamente di «un incidente sul lavoro». «Controinformazione», in quel periodo Negri ancora collabora alla rivista con Bellavita e Curcio, ne da una spiegazione dall'in-terno, una versione frutto di discussioni e mediazioni fra le varie anime del partito armato quale si va profilando alla vigilia della seconda metà degli anni settanta: «Quanto all'opinione di sinistra essa è rimasta sconcertata: credere alla responsabilità delle Br voleva dire distruggere un'immagine cara, constatare che le Br potevano anche interrompere la loro «tradizione cavalieresca» con la violenza delle armi [...]. Non sono mancati nemmeno quelli che hanno ipotizzato il sopravvento nelle Br di una linea militarista: accanto ai colonnelli spuntano i samurai [...]. Solo qualcuno ha avanzato l'unica ipotesi che sembra accettabile: che il comunicato delle Br era diretto ad evitare lo scatenarsi della caccia al rosso. Le Br sottoponendosi a un giudizio generale inevitabilmente non tenero, hanno ammesso la loro responsabilità per quanto è accaduto alla sede del Msi. Non un'inaccettabile sfida all'opinione pubblica e al consenso delle avanguardie, ne la sottovalutazione del momento storico, dunque, ma il riconoscimento di quello che noi riteniamo sia stato uno sbaglio: questo appare da una lettura attenta del comunicato: rivendicare anche gli sbagli [...]. E questa una lezione inedita che rimarrà in gran parte incompresa...» w. A questa ricostruzione la rivista fa seguire, spieiata nel suo rigore logico, la fredda considerazione: «a chi pensava che si potesse procedere all'infi-nito con azioni di propaganda innocue, simpatiche, alla tupama-ros prima maniera, le Br hanno risposto che quando si agisce davvero gli incidenti sono sempre in agguato» 140. Intanto le indagini sembrano fare qualche passo in avanti nella scoperta della trama dell'eversione di sinistra. Dagli interrogatori di Paolo Maurizio Ferrar! si risale al covo torinese di via Bardonecchia. E un box usato sia da brigatisti che da co-montisti, un gruppo di frontiera di ispirazione situazionista. Nel covo armi e munizioni, fra i vari ritrovamenti un piano per liberare i due militanti comontisti Luciano Dorigo e Giorgio Pian-tamore detenuti nel carcere di Torino per il sequestro di Toni Carello figlio dell'industriale del ramo fari-auto. Ancora arresti, ai primi di luglio, fra questi Adriano Carnelutti che lavora alla Fiat di Torino. Dai vari sopraluoghi si risale al Collettivo politico Lodigiano, attraverso una serie di indizi e piste successive si stabiliscono collegamenti che portano al sequestro Macchiari-ni e a formulare ipotesi e a tracciare una prima ricostruzione del partito armato, dei suoi leader militanti e «basisti» 141. Anche nella lotta al terrorismo di destra si manifestano alcuni parziali risultati. Il giudice Occorsio rinvia a giudizio oltre 100 aderenti di Ordine nuovo e Ordine nero per ricostruzione del partito fascista, fra i nomi più in vista Elio Massagrande e il teorico dello stragismo Clemente Graziani. All'iniziativa del giudice Occorsio si aggiunge la riapertura dell'inchiesta, precedentemente archiviata, sul golpe fascista del '70. Fra i vari avvisi di reato quelli per il generale Duilio Fanali, ex capo di Stato maggiore dell'areonautica, e il generale Vito Miceli, ex capo del Sid. Sono di quel periodo la presentazione del dossier del generale Maletti in cui si accusa apertamente Miceli e la notissima intervista di Andreotti sulle deviazioni dei servizi segreti. Mentre è in atto questa lotta, che il politologo Giorgio Galli considera espressione di due diverse impostazioni presenti in quello che definisce il «governo invisibile», un ennesimo messaggio di morte. Nella galleria della direttissima sull' appen-nino tosco-emiliano un'esplosione provoca 12 morti e 48 feriti sul treno Roma-Monaco, l'«Italicus». I responsabili della strage saranno identificati in Mario Tuti, Luciano Franci, un carrellista alla stazione di Arezzo, e Pietro Malentacchi del Fronte nazionale rivoluzionario. Nel corso dell'inchiesta si risalirà ai rapporti con la P2 di Licio Gelli. A settembre l'arresto del generale Vito Miceli. Si conclude così una fase nella lotta interna ai servizi segreti. Di lì a poco l'arresto di Renato Curcio e Alberto Franceschini. Per il leader delle Br non si tratta di una semplice operazione di polizia ma serve al Sid ristabilire l'equilibrio fra «golpe nero» e terrorismo rosso «ventilare il pericolo di una prova di forza della sinistra per giustificare un contro golpe preventivo nero, e in via subordinata; proporre un contraltare all'attacco alle trame nere che si rifaceva via via più consistente. Il Sid era pesantemente implicato in quelle losche vicende e bisognava distrarre l'attenzione» w. Curcio e Franceschini cadono nella trappola tesa dal generale Dalla Chiesa attraverso l'infiltrato Silvano Giretto, «Frate mitra», un equivoco personaggio circondato da un'artificiosa fama di sedicente rivoluzionario in America Latina. Hanno accreditato questa immagine alcuni giornali di destra, fra cui il «Candido» del senatore missino Giorgio Pisano, che nel corso del sequestro Sossi lo hanno descritto come un possibile capo delle Br. «Padre Leone» stabilisce il primo contatto con le Br tramite l'avvocato Borgna e il medico Levati e infine con l'avvocato Lazagna. Dopo il primo incontro con Curcio, la data per il definitivo arruolamento di Girotte è fissata per 1'8 settembre. Il giorno del contatto scatta la trappola: i carabinieri arrestano a un passaggio a livello chiuso Curcio e Franceschini. La segnalazione radio alle forze dell'ordine è di Giretto che li sta seguendo con la sua auto: dovrebbero infatti ricongiungersi a Torino per un' azione. Dal carcere il leader delle Br ammetterà che gli uomini dell' antiguerriglia di Dalla Chiesa hanno sfruttato un suo «errore di valutazione». Le Br non perdono tempo occorre subito denunciare pubblicamente l'agente provocatore e far sentire la propria capacità di tornare all'attacco: «II movimento ha un'unica strada per rispondere: organizzarsi sul terreno della lotta armata per portare l'attacco al cuore dello stato» m. Il 9 settembre sono arrestati Levati e numerosi esponenti del collettivo di Borgomanero. Ormai l'inchiesta sulla «banda armata denominata Br» è in pieno svolgimento: perquisizioni, ritrovamenti, arresti. Scrive Giorgio Bocca: «I superstiti del gruppo storico sono stracci che volano in mezzo alle faide e agli intrighi del potere separati, in un intreccio inestricabile di rivalità e di rancori fra carabinieri e polizia, di lotte interne alla magistratura» M4. Un balletto di rivelazioni e accuse a cui si accompagnano notizie di non meglio precisati informatori del Ministero degli Interni, episodi oscuri e mai completamente chiariti che sembrano dare fondamento all'ipotesi di un gruppo terroristico teleguidato da cervelli più potenti: «L'impressione è che il gruppo storico delle Br se non infiltrato sia quanto meno usato dagli strateghi della tensione che procedono alternando attentati di destra ad attentati rossi. Forse come sempre, nella vita associata, e'è di mezzo anche la stupidità e l'inefficenza dei pubblici ufficiali» 145. Sulla scena della lotta armata compaiono i Nuclei armati proletari, sono gli ex della commissione carceri di Lotta continua, hanno rotto col gruppo della fine del '73. L'organizzazione clandestina si è andata precisando nella primavera-estate del '74, il documento base su cui i vari spezzoni degli ex collettivi carceri discutono riflette sulle passate esperienze ed esprime il bisogno di un ulteriore quanto decisivo spostamento sul terreno della lotta armata. Non contiene analisi generali ne indicazioni strategiche complessive piuttosto è pervaso da un istintivo ribellismo che sfocia in disperazione autodistruttiva: «Noi entriamo nella storia rivoluzionaria in qualità di proletariato, perché "popoliamo" le carceri che sono senz'altro l'abitazione di carattere definitivo e irreversibile destinata al proletariato del mondo capitalistico» 146. A maggio i militanti di Napoli, base principale del gruppo, di Firenze, di Roma si riuniscono a Bovalino in provincia di Reggio Calabria e mettono a punto le loro linee d'azione. Il sequestro Gargiulo, avvenuto a luglio, serve per definire la struttura logistica, l'acquisto delle sedi, delle armi e degli esplosivi. Su Sergio Romeo e gli altri dei Nap, il sequestro Sossi e le sue conclusioni hanno agito da volano nella scelta della lotta armata. Alle 23.30 del 1° ottobre 1974 davanti al carcere di Poggio Reale di Napoli viene trasmesso un messaggio ai detenuti, finita la registrazione il meccanismo si autodistrugge con un' esplosio-ne. Alla stessa ora anche a Milano nei pressi del carcere di San Vittore un impianto analogo esplode prima ancora di aver trasmesso il messaggio. Il giorno dopo i Nap con un volantino precisano che il messaggio «per un errore tecnico non è stato trasmesso» e, scusandosi, concludono «ripeteremo quanto prima la trasmissione». Invece a Roma, il 2 ottobre davanti al carcere di Rebibbia, l'iniziativa riesce e come a Napoli subito dopo un'esplosione distrugge il congegno. Alla Face Standard di Fizzonasco (Milano) un attentato provoca 8 miliardi di danni, l'azione è rivendicata dal gruppo Senza tregua per il comunismo. A Torino le Br incendiano la Lancia Fulvia di Pietro Antonio La Sala e la Simca 1.300 di Giuseppe Zuccate rispettivamente vicedirettore e capo dell'ufficio tempi, metodi e organizzazione della Singer di Leini. In varie città italiane incidenti e molotov: a Milano nel corso di un corteo indetto contro un comizio di Almirante; a Roma, molotov contro un commissariato di Ps; a Rapallo sono rinvenuti candelotti di dinamite davanti a una sezione del Msi. Sulla base degli indizi ricavati da precedenti perquisizioni di covi brigatisti i carabinieri del generale Dalla Chiesa arrivano all'appartamento di Robbiano di Mediglia. Il 14 ottobre nella sede oltre a radio, armi e schede, Finterò archivio di «Controinformazione». Si preciserà poi che era in corso una trattativa fra il direttore della rivista Bellavita e la dirczione della Br. Le difficoltà economiche avevano spinto Bellavita a chiedere un finanziamento al gruppo di Curcio che a sua volta prima di decidere voleva visionare il materiale. I carabinieri del nucleo antiterroristico iniziano l'appostamento: il primo brigatista arrestato è Pietro Bassi, in tasca una pistola 7,65. L'appostamento prosegue per un altro giorno, ancora un arresto si tratta di Pietro Bertolazzi indicato come «giudice di base» nel sequestro Sossi. Dopo qualche ora è la volta di Roberto Ognibene. Non ha messo nel conto il lungo appostamento. Il brigatista fugge alla vista dei militi, segue la sparatoria: Ognibene reagisce al fuoco e uccide il maresciallo Felice Maritano, poi il fuggitivo è raggiunto da cinque colpi di pistola. I documenti del ferito sono falsi, sarà il padre del brigatista a consentire l'identificazione dopo che la sua foto è apparsa sui giornali147. Partendo dai materiali ritrovati a Robbiano Mediglia la magistratura emette il mandato di cattura per Bellavita che riesce ad eclissarsi, sono interrogati il vicedirettore di «Controinformazione» Emilio Vesce e vari collaboratori della rivista fra cui Toni Negri. Sono arrestati invece Franco Tommei e Aldo Bonomi, si ricerca inutilmente l'insegnante di matematica Gabriella Moroni intestataria dell'appartamento di via Campagna di Piacenza in cui fra gli altri documenti è stato ritrovato un nastro con l'incisione del «processo proletario» a Sossi. Quasi una risposta alle sconfitte delle Br, continua l'offensiva armata: i Nap irrompono nella sede dell'Ucid (Unione cristiana imprenditori e dirigenti) di Napoli; il gruppo Mordi e fuggì, Potere operaio rivendica l'attentato alla sede della Vigilanza urbana di Milano. In un' assurda emulazione accanto alle Br sono scese in campo altre formazioni di diversa derivazione come i Nap e le altre sigle autonome. Hanno fatto e stanno per fare la loro scelta armata quelle tendenze militariste a cui le Br si sono appellate sin dai loro primi documenti. Dalle azioni dimostrative si è passati alla prova delle armi, le Br hanno ucciso a Padova e nello scontro a fuoco di Robbiano di Mediglia. Sono trascorsi quindici giorni dalla morte del maresciallo Maritano colpito da Roberto Ognibene quando due giovani dei Nap sono uccisi dai carabinieri. Il 29 ottobre Luca Mantini e Sergio Romeo sono «fucilati» in un'«imboscata premeditata», così scriveranno i Nap nel volantino che rivendica la tentata rapina per autofinanziamento alla Cassa di Risparmio di piazza Alberti a Firenze. Sono appena usciti dalla banca quando i carabinieri aprono il fuoco, sono colpiti a morte mentre cercano di fuggire con la loro auto, altri due componenti del Gommando Pietro Sofìa e Pasquale Abatangelo sono feriti, riescono a fuggire ma saranno arrestati di li a poco. E caduto un «proletario rivoluzionario militante comunista» così il Collettivo autonomo di Santa Croce, il Collettivo Jackson e Autonomia proletaria annunciano il funerale di Luca Mantini. Sullo stesso manifesto si legge: «Sono caduti da comunisti per il comunismo. Sappiano valutare i compagni, al di là delle diffamazioni della stampa borghese per cosa essi si battessero. I compagni caduti a piazza Alberti restano una precisa indicazione di scelta di lotta per tutti i comunisti». A Firenze fra militanti dell estremismo la morte di Luca è uno shock. Alcuni si ritraggono impauriti, altri rinnovano le precedenti discussioni, per altri infine si tratta di raccogliere il «testamento politico di combattenti comunisti caduti in una battaglia contro lo Stato dei padroni. Così sarà per Anna Maria Mantini, la sorella di Luca, che si dedica interamente alla lotta armata, concorre alla formazione del Nucleo 29 Ottobre, si impegna attivamente nelle sue azioni fino a trovare la morte il 7 luglio del '75 148. A dare prova della loro irriducibilità ricompaiono le Br: attentati incendiar! a Pavia contro un magazzino della Snia Viscosa, contro le macchine di cinque dirigenti della Fiat di Torino e di dirigenti Cisnal. Prosegue la crescita «spontanea» di azioni di terrorismo diffuso, gruppi di fuoco che nascono dai residui di un gruppismo in crisi, dalla conversione militare dell'autonomia, dal combinarsi di micro-criminalità e sovversivismo. Il 3 novembre, A Torino, sono arrestati Alfredo Buonavita, considerato dagli inquirenti un capo dell'organizzazione Br, e Prospero Gallinari un personaggio allora quasi «sconosciuto». Si può dire che alla fine del '75 la stragrande maggioranza del nucleo fondatore delle Br è stato sgominato dall'antiterrorismo del generale Dalla Chiesa. Per i militanti arrestati inizia la gestione politica dei processi e delle lotte carcerarie, scrive Paolo Maurizio Ferrari: «Da sempre le galere sono terreno rivoluzionario. Non mancherò certamente dunque di essere al mio posto di lotta, forte della esperienza politica così accumulata» w. Le Br non vogliono perdere l'egemonia, la sconfitta militare non deve significare sconfitta politico-teorica. Dal carcere di Casale Monferrato, Renato Curcio rilascia un'intervista a «L'E-spresso». Gli arresti di alcuni militanti non significano la sconfitta della «necessità della guerra di classe», a conferma di ciò debbono continuare le «attività offensive». «La guerriglia» non è solo un dato «oggettivo» della situazione politica italiana ed europea, ma aggiunge è «un bisogno politico delle avanguardie proletarie». Rivolgendosi ai «gruppi» nonché alle «varie forze della sinistra» il capo delle Br non sottace resistenza di valuta-zioni diverse ma ribadisce l'esigenza di convergenze e cerca solidarietà, «l'indebolimento dell'esperienza delle Br non è nell'in-teresse del movimento di sinistra». Il messaggio è rivolto a tutte quelle avanguardie «rivoluzionarie» che superata la fase della protesta, considerano ormai improponibile in Italia come in Europa l'insurrezione e guardano alla guerriglia urbana. Ridurre la forza delle Br significherebbe ridurre anche la loro forza: «L attacco ai livelli di organizzazione clandestina armata, il tentativo di relegare i nuclei combattenti nella sfera prepolitica della marginalità criminale, segnano solo il bisogno della borghesia di distruggere ogni ipotesi di organizzazione della violenza proletaria, di annientare ogni insorgenza antagonista, di limitare progressivamente ogni forma di lotta e infine di canalizzare e controllare l'urto tra le classi» 150. E Curcio aggiunge: «un prezzo troppo alto per la soddisfazione di qualche capriccio polemico o di qualche esigenza tattica». Argomentando il rapporto col revisionismo il leader delle Br ripete alcuni assunti dell'emmellismo e contrappone la strategia dei vertici del Pci a un'autentica «coscienza comunista». Nessuna identità fra comunisti e Pci, un'equazione del tutto impropria: «II comunismo prima di essere un partito è una concezione del mondo. In questo senso anche in Italia vi sono molti comunisti che non sono iscritti al Pci (e alcuni iscritti al Pci che è diffìcile pensare comunisti)». Polemizzando con «!'Unità» che aveva scritto: «vi sono alcuni che hanno teorizzato "l'azione armata" in odio e in lotta contro i comunisti», Curcio afferma nessun «odio» ma lotta politica fra due strategie. I rivoluzionari comunisti non condividono il compromesso proposto dal Pci e hanno scelto una diversa prospettiva politica: «perché anche le forze che hanno teorizzato il passaggio alla guerriglia urbana come forma specifica storica della guerra di classe sono parte integrante del movimento di sinistra, che piaccia o meno al signor Berlinguer» 151. Indifferente alle accuse di «criminalità», di «follia aberrante», Curcio ammette «errori di impianto politico e di tecnica militare» ma, a suo avviso, anche da questi limiti e sconfìtte si può e si deve individuare la lezione politica facendoli diventare «acquisizione di esperienza, parte del patrimonio positivo del movimento di sinistra». Ancora una volta la questione principale è comprendere che la «guerra di classe» non significa imbracciare le armi ma «interpretare in termini organizzativi e politico-militari l'antagonismo ribollente nei grandi poli industriali e metropolitani sotto la crosta pacifista e legalitaria della sinistra ufficiale». Far esplodere questo ribellismo significa rovesciare ogni visione idilliaca del capitalismo, Curcio condivide il giudizio di Horst Mahler, il teorico della Rat, secondo cui: «rispetto alla realtà l'immagine che i comunisti europei hanno del capitalismo è idilliaca e per tanto sono idilliaci i metodi di lotta anticapitalistici che essi teorizzano, mentre questa realtà idilliaca non è, e di qui nasce la contraddizione, lo spazio politico e la base sociale della tendenza rivoluzionaria» 152. Rispetto alla situazione italiana Curcio non considera chiusa la possibilità di un progetto golpista, questa tendenza è stata solo «disturbata», il ciclo crisi-recessione ristrutturazione infatti non può essere gestito da strumenti politici di ordinaria amministrazione. «La crisi dello Stato, del partito di maggioranza e del modello di sviluppo sono ormai tali da esigere una "rottura storica" più che un compromesso». Una sottolineatura che evidenzia il passaggio di fase delle Br, quando le condizioni politiche renderanno virtualmente praticabile il «compromesso» questo diventerà il nemico principale della lotta armata. Lungo la strada della militarizzazione dello scontro a Curcio non interessa l'ostilità della classe operaia alla lotta armata, per il leader delle Br, quello che conta è il «bisogno» delle avanguardie rivoluzionarie il resto verrà dopo. E d'altronde come si può stare alla coda di una classe operaia definita «proletariato teleguidato, telediretto» la cui coscienza è stata manipolata dal revisionismo? Il «suicidio-assassinio» in carcere del militante della Rat, Holger Meins sollecita una riflessione sulla dimensione europea della lotta armata e offre a Curcio l'occasione per rimarcare le differenze fra le due organizzazioni. Alla formazione terroristica tedesca spetta il merito di aver messo in crisi, combattendo nella metropoli, il meccanismo paralizzante di una società tecnologica altamente industrializzata dove nessuno ha mai fatto la rivoluzione: «in ciò sta la rottura storica che essi hanno realizzato e la loro prima e più importante vittoria». Al fascismo tecnologico oppressivo della controrivoluzione in Germania occidentale la Rat si è opposta non solo con le armi della critica ma: «ha avuto cioè quel coraggio intellettuale, politico e militare che a troppi altri purtroppo manca ed è mancato». Assumendo la disperazione come valore dell'azione politico-militare, come violenta reazione alla normalità dei comportamenti sociali nel capitalismo avanzato Curcio aggiunge: «Si è sporcata le mani impugnando le armi, ma è come se avesse messo davanti alla borghesia tedesca e alla sua "intellighentia" frustrata e volubile più che un revolver un grande specchio della verità. Uno specchio in cui sono riflessi i contorni agghiaccianti di un nuovo fascismo [...]» "3. Entrando in merito alle differenze fra le due organizzazioni prosegue: «il limite più rilevante della Rat è individuato nell'impianto del rapporto politico-militare con lo stato e nel rapporto politico-organizzativo con il movimento operaio e rivoluzionario tedesco. Un limite di tattica e di organizzazione che ha reso difficile il rapporto politico-organizzativo con il movimento. La Raf ha iniziato a costruire la sua organizzazione per linee esterne al movimento ed è stata assente nel suo lavoro un' indicazione, anche embrionale, anche solo di tendenza, della strada da percorrere per la costruzione di un potere proletario e popolare non delegato» 154. La critica diventa lezione per le Br. Nella specificità della situazione italiana si tratta di coniugare il potenziamento logistico della lotta armata ali estensione delle avanguardie rivoluzionarie questo è possibile non separando le azioni di «propaganda armata» dalle realtà dove si manifestano più forti il conflitto sociale e la disponibilità alla lotta armata, in sostanza volgere il sovversivismo in guerriglia, secondo lo slogan brigatista essere pesci nell'acqua, dunque sapersi muovere nelle contraddizioni del movimento. Se diverse sono le condizioni, per le due formazioni comune è il fine: colpire al cuore «il sistema democratico occidentale» e costruire in Europa le condizioni per una «strategia continentale unitaria» per combattere «l'ultima guerra: per il comunismo!». Mentre dal carcere Renato Curcio lancia i suoi proclami teorici a nome di tutte le Brigate rosse, la lotta armata continua a manifestare la sua capacità di riproduzione.
9. La fuga di Curcio
II 18 febbraio del 1975, un nucleo armato delle Brigate rosse Ubera Renato Curcio, alla testa del Gommando Mara Ca-gol. L'azione lascia sconcertati. Complicità dei servizi segreti o grande forza e combattività del terrorismo? La stampa è divisa. Per Avanguardia operaia e per «!' Unità» non e'è dubbio: Renato Curcio serve ai servizi segreti. Lotta continua considera questo giudizio un sospetto infondato che può essere coltivato solo da chi considera lo Stato come qualcosa di onnipotente. Gli interrogativi possono rimanere, non e'è dubbio però che il carcere di Casale Monferrato dove è stato rinchiuso il leader delle Br è fra i carceri meno sicuri e che poche sono le precauzioni prese per evitare la fuga. La stessa azione è annunciata a Curcio da un telegramma che avrebbe dovuto destare qualche sospetto: «Domani arriva pacco». La mattina dopo è Margherita Cagol a suonare al portone del carcere. Le Br sono consapevoli del successo ottenuto: un'efficace azione di propaganda armata come scriveranno nella Risoluzione della dirczione strategica. La liberazione di Curcio, a loro avviso, ha ottenuto tré risultati: una profonda disarticolazione dello Stato, in altre parole è stata sconfitta la sua forza; ha reso concreta la parola d'ordine della «liberazione dei prigionieri politici» dando fiducia ai detenuti e offrendo loro un nuovo terreno di scontro; di conseguenza ha reso possibile l'organizzazione dell'«avanguardia rivoluzionaria» su un programma d'attacco allo Stato. A testimonianza del clamore suscitato dalla liberazione di Curcio, ben quattro settimanali «Aut», «ABC», «Panorama» e «II settimanale» dedicano la copertina al capo terrorista. Forti del successo, le Br con un documento lanciano ai detenuti la direttiva di «assumere identità politica». I processi e la loro gestione diventano un nuovo terreno dell'iniziativa terroristica. L obiettivo è evitare: «Ogni tentativo di frantumare l'insieme delle iniziative politiche dell'organizzazione in "mille episodi separati" e per esigere un unico processo "politico" all'intera organizzazione» "5. Si vuole così recuperare Finterà dimensione politico-organizzativa della lotta armata, le «azioni» non possono essere giudicate come «reati comuni» o «fatti criminali» ma debbono essere assunte nel loro valore politico. «L'obiettivo del regime è quello di dividere uno dall'altro i nostri compagni per pesarli e giudicarli separatamente. Noi non accettiamo questo modo di procedere [...]. Pertanto s'ha da fare un unico processo. Nessun compagno, che sia catturato o meno, ha responsabilità più grande o più piccola di fronte al nemico di classe, perché ognuno ha posto, secondo le direttive dell'organizzazione, la sua tessera nel grande mosaico della rivoluzione proletaria» 156. Con la Risoluzione strategica si abbandona la tecnica dell'intervista immaginaria per passare al documento politico. Riprendendo concetti già esposti nelle precedenti «interviste» (settembre '71, gennaio '73, maggio '74) si cerca di dare maggiore organicità alla strategia della lotta armata. Dal? acquisizione che lo Stato si è fatto «Stato imperialista delle multinazionali» si fanno derivare le nuove contraddizioni, i diversi interessi, le reciproche convenienze, il tutto finalizzato alla scelta militare 157. Si è in presenza di una costante diminuzione di salariati con occupazione fissa, mentre aumentano gli emarginati lavoratori precari. Ai diversi strati sociali si attribuiscono vari gradi di coscienza politica. Negli occupati si scontrano due linee, una parte difende strettamente la propria condizione, identificandosi nel progetto «revisionista», mentre lo strato più produttivo, l'o-peraio della catena, porta avanti la linea rivoluzionaria dell'abo-lizione del lavoro; gli emarginati, sfruttati dalla società consumistica come «consumatori senza salario», sono divisi a loro volta fra quelli in cui si riflette «la coscienza borghese: estremo individualismo aspirazioni consumistiche», e la parte più rivoluzionaria che «chiede l'abolizione della società fondata sul lavoro salariato». Nei lavoratori saltuari, il cosiddetto esercito di riserva, convivono i vari aspetti: «I livelli di coscienza sono dati dall'intreccio dei livelli riscontrabili all'interno dei salariati con occupazione stabile e degli emarginati» 158. Secondo il documento due tendenze si confrontano nel progetto politico della Dc: l'ipotesi neogollista perseguita da Pantani e il «patto corporativo» proposto dal Pci ossessionato dalla sua vocazione a farsi Stato democratico. «Il tentativo di costruire legami corporativi tra la classe imprenditoriale del regime e le organizzazioni sindacali dei lavoratori è funzionale più di quanto si creda alla formazione dello Stato imperialista. Agnelli, in questo portavoce dell'intero padronato, lo aveva anticipato nel suo primo discorso da presidente della Confìndustria, quando sostenne la necessità di "addivenire a un patto sociale che, a trent'anni dall'aprile '45, ridefinisca gli obiettivi nazionali del popolo italiano in vista degli anni '80 e '90...". Ciò che ci interessa è che il "patto sociale" viene giustificato non in funzione "anticongiunturale", dunque, come accordo tattico, ma come esigenza intrinseca della società industriale avanzata e perciò come progetto di stabilizzazione per gli anni '80! L'operazione di ingabbiamento che esso presuppone può essere definita: incorporazione organica della classe operaia dentro il capitale e dentro lo Stato. Essa segue la logica che la classe operaia per salvare se stessa deve salvare il padrone; per salvare il padrone, deve salvare lo Stato, per salvare lo Stato deve assumersi i costi economici della riconversione produttiva ed i sacrifici della ristrutturazione imperialista. È una logica miserabile e vai la pena di tenerne conto solo perché essa è fatta propria dai vertici sindacali e da quelli del Partito comunista» w. La forma politica del patto corporativo è il «compromesso storico» una strategia che per le Br affonda le sue radici in due incomprensioni: «la natura guerrafondaia dell'imperialismo e il carattere reazionario e imperialista della De». Abbandonate queste coordinate, per il revisionismo non vi è più antagonismo fra imperialismo, socialimperialismo e rivoluzione, tutto si riduce alla ricerca estenuante di una soluzione pacifica dei contrasti. Nessuna corrispondenza fra «bisogni di classe» e «compromesso storico» ma solo «miserabili vantaggi» e opportunistici tornaconto. Compito del movimento rivoluzionario portare «!'attacco al cuore dello Stato», operando la «massima disarticolazione politica» del regime democratico, del sistema dei partiti, dello Stato. Sviluppare, come si è sperimentato nel caso Sossi, tutte le possibili contraddizioni degli apparati statuali, del funzionamento istituzionale, facendo entrare in conflitto fra loro «i diversi progetti tattici di soluzione della crisi». Per raggiungere questo obiettivo si deve estremizzare ogni manifestazione anche parziale dell'antagonismo sociale, unificandola in un medesimo disegno eversivo. Nel documento delle Br si profila con sufficiente chiarezza un disegno che punta a sfruttare tutte le leve del sovversivismo agendo da subito come Partito combattente nelle varie situazioni di lotta per accelerare la scelta militare, rendendo ineluttabile il passaggio alla lotta armata come unico sbocco coerentemente «antirevisionista». Anche se ancora si esprimono giudizi critici sulla poliedricità dell'Autonomia, è netta la consapevolezza del suo ruolo di cerniera nel processo di congiungimento fra il nucleo centrale terroristico e l'insieme delle spinte sovversive. Ve ne sono tutte le condizioni soggettive e politiche: la questione della lotta armata, della guerra civile, sono presenti ai teorici del «gruppo» e i vari fogli deU'autono-mia sono un costante veicolo di propaganda insurrezionale, i loro stessi itinerari politici dentro e contro 1 estremismo tradizionale, emblematiche le dissolvenze di Potere operaio e del gruppo Gramsci, hanno ruotato attorno a questo nodo strategico. Le divergenze sul partito che tanto hanno travagliato il gruppismo si trasferiscono nella costruzione del partito combattente, ma per le Br non sembra essere questo il punto centrale del dibattito e della possibile unità operativa, quanto il far maturare la consapevolezza del passaggio di fase e da ciò far scaturire il progetto di unificazione politico di tutti i comportamenti armati. La «guerriglia urbana» ha una funzione decisiva nella disarticolazione dello stato e, in sintonia con le tesi di «Rosso» e delle varie componenti dell'autonomia, si afferma che solo attorno ad essa: «si costruisce e articola il movimento di resistenza e l'area dell'autonomia e non viceversa. Allargare quest'area vuoi dire dunque in primo luogo sviluppare lorganizzazione della guerriglia, la sua capacità politica e di fuoco». Nessuna meccanica separazione fra lo sviluppo dell'area legale o semilegale dell'autonomia e il crescere della guerriglia, si tratta di un lavoro ai fianchi di un'area indistinta in cui si «ammucchiano e stratificano posizioni diversissime», e nel cui seno permangono residui del vecchio estremismo per cui e' è ancora chi pensa ad un recupero sul terreno del legalismo politico invece di «favorire la progressiva definizione rivoluzionaria, strategica, tattica ed organizzativa». Deriva da ciò il crescente interesse delle Br alle «assemblee autonome», esse infatti possono rappresentare un momento decisivo nel superamento del «gruppismo», a condizione di «liberarle» dal «feticcio della legalità», di cui sono prigioniere, incapaci di uscire dalle sterili contrapposizioni «legalità»-«illegalità». Polemizzando con l'Autonomia per i teorici delle Br la questione del partito armato non si pone in termini di «organizzare il movimento di massa sul terreno della lotta armata», operando così un appiattimento organizzativo della stessa spontaneità eversiva, bensì di concepire partito e movimento come realtà distinte e nello stesso tempo in costante dialettica fra loro. Dunque non «braccio armato» del partito rivoluzionario, ma «nucleo strategico» del movimento di classe: «Nella guerriglia urbana non ci sono contraddizioni tra pensare e agire militarmente a dare il primo posto alla politica». Rifiutato ogni dualismo organizzativo, ogni riedizione della vecchia teoria del «braccio armato», spetta proprio alle Assemblee autonome pena la perdita di ogni loro funzione, compiere un salto di qualità se vogliono «organizzare sul terreno della guerra di classe l'antagonismo proprio dello Stato rivoluzionario». Ne deriva la concezione del partito combattente e la prefigurazione delle tappe che portano alla sua costruzione come: «reale interprete, dei bisogni politici e militari dello strato di classe "oggettivamente" rivoluzionario e l'articolazione di organismi di combattimento a livello di classe sui vari fronti della guerra rivoluzionaria». Partendo da questi presupposti le Br si autoproclamano il primo embrione del nucleo combattente «reparto avanzato e armato della classe operaia ed in quanto tale distinto ma anche parte organica di essa. Assumendo così soggettivamente la funzione di partito». Nei mesi che precedono le elezioni amministrative del 15 giugno 1975 si infittiscono le azioni di violenza. Un susseguirsi di violenze di piazza gestite dalle varie sigle dell'Autonomia, azioni portate avanti da Nap e Br, numerosi episodi di squadrismo fascista, scontri fra opposti estremismi e alternarsi di opposti terrorismi. In questo contesto i Nap mettono a punto alcune azioni emblematiche sul fronte delle carceri. Nel mese di maggio la tentata evasione dal carcere di Viterbo dei nappisti Sofìa, Zicchitella e Panizzari. Contemporaneamente un Gommando sequestra il magistrato Giuseppe Di Gennaro. Attraverso di lui, direttore degli Istituti di pena presso il ministero di Grazia e Giustizia, si vuole colpire l'intero apparato carcerario. Di Gennaro si è battuto per le riforme del sistema carcerario ma per i Nap è solo un «reazionario al servizio della repressione». Il sequestro è firmato Nucleo 29 Ottobre, dal giorno della morte di Luca Mantini, guida il Gommando Anna Maria Mantini. La condizione posta per rilascio del magistrato è la richiesta di dare pubblicità al comunicato dei Nap. Un messaggio rivolto ai detenuti e alle loro lotte con una forte critica al revisionismo del Pci e dei gruppi. In difesa dei «prigionieri della politica capitalistica» ignorati da revisionisti e violentati nella loro umanità dal potere democristiano, i Nap oppongono «la loro organizzazione rivoluzionaria» come unico sbocco di lotta che «non presenti le caratteristiche compromissorie dei revisionisti, quelle oppor-tunistiche extraparlamentari, entrambe politiche fallimentari ormai del tutto funzionali alla complessiva stabilità del potere borghese...». Il comunicato dei Nap sarà letto al giornale radio delle ore 7 del 10 maggio. L'azione si concluderà con il rilascio del magistrato e il trasferimento da Viterbo dei detenuti nappisti Sofia, Zicchitella e Panizzari. Intanto le Br procedono lungo la linea tracciata nella risoluzione della dirczione strategica, al centro della loro offensiva la De. Per il gruppo terroristico si è «ali'accumulazione delle forze rivoluzionarie sul terreno della lotta armata» su questa strada si sono ottenuti importanti risultati ma essi non sono sufficienti a consentire il passaggio alla «guerra civile», occorre — dunque — procedere ad una ulteriore disarticolazione militare del regime. Concentrate nel tempo, tali da farle apparire quasi contemporanee, tré azioni in diverse città. A Mestre è attaccata una sezione della De; a Milano, il 15 maggio, viene perquisito lo studio di Massimo De Carolis leader dell'ala moderata della De milanese; a Torino, il 16 maggio, sono incendiate numerose auto di dipendenti Fiat iscritti al Sida. Nell'irruzione milanese alla sede di Iniziativa Democratica di De Carolis le Br, come già a Padova, tornano a sparare. De Carolis è «processato», i suoi collaboratori imbavagliati e legati. Alla fine del «processo» uno dei quattro componenti il Gommando brigatista spara con una 7.65 alle gambe di De Carolis. E la prima «gambizzazione» nella storia del terrorismo italiano. Le perizie accerteranno che la 7.65 che ha colpito l'avvocato milanese è la stessa usata a Padova nel giugno '74. Il volantino rivendicazione così commenta la «gambizzazione»: «II centro meritava di più, ma in queste cose non c'è fretta. Ad alzare il tiro si fa presto, e a individuare i vari criminali pure». Il messaggio precisa la natura del-l'attacco: la De è il principale nemico del momento, «motore della contro-rivoluzione globale e la forza portante del fascismo moderno» essa va «liquidata, battuta e dispersa» 160. Il proclama, a smentire alcune opinioni correnti sulla stampa, precisa che non esistono legami organizzativi fra Br e Nap. Alla sottolineatura, che vuole rimarcare le differenze teoriche fra le due organizzazioni, segue subito la solidarietà delle Br con i Nap «Viva la lotta dei Nuclei armati proletari». L'unità verrà tra breve. Molte cose stanno cambiando nell'arcipelago dell'eversione rossa. A Bellinzona in Svizzera è arrestato Carlo Fioroni, l'ex militante di Potere operaio di cui si sono perse le tracce dopo la vicenda Feltrinelli. Ha con sé 77 milioni, una parte del riscatto pagato per il sequestro del suo amico Carlo Saronio. Inizia la ricostruzione di una torbida vicenda di criminalità comune perpetrata nell'universo del terrorismo autonomista. Mandante dell'azione risulterà Toni Negri il leader dell'autonomia padovana. L imminente campagna elettorale fa salire il clima politico, nelle piazze numerosi scontri contro i fascisti. Il terrorismo ha bisogno di nuovi finanziamenti, il 4 giugno le Br mettono a punto il sequestro di Vittorio Vallarino Gancia amministratore delegato e direttore generale della Gan-cia. Nel corso delle ricerche, il 5 giugno, in uno scontro a fuoco tra terroristi e carabinieri muore Margherita Cagol, la compagna di Renato Curcio. Saranno le stesse Br a rendere nota l'i-dentità della vittima: «E caduta combattendo Margherita Cagol "Mara" dirigente comunista e membro del comitato esecutivo delle Brigate rosse. La sua vita e la sua morte sono un esempio che nessun combattente per la libertà potrà più dimenticare». I commenti battono ancora le vecchie strade delle «infiltrazioni e della provocazione fascista: per il «Quotidiano dei Lavoratori» si tratta di «una morte per Pantani», per «!'Unità» «la gente è stufa di provocatori, che si qualificano come neri e rossi, portano tutti acqua al mulino dei nemici della democrazia» 161. «Il manifesto» si dimostra più cauto e si interroga sulle ragioni che hanno spinto Margherita Cagol alla scelta della lotta armata. «Ne "II Popolo" ne "l'Unità" si chiedono come sia avvenuto che una ragazza trentina di buona famiglia, cattolico-praticante, — il suo corpo è stato benedetto al cimitero di Trento, da monsignor Bertolini — sia finita crivellata [...] mentre credeva di lottare contro il capitalismo» 162. Lotta continua, polemizzando con le scelte dell'organizzazione terroristica, pessimisticamente rende onore a una rivoluzione caduta in combattimento: «e'è nel suo destino — e di altri prima di lei una misura indiretta della strada che ancora resta da percorrere alla politica rivoluzionaria, a una trasformazione del mondo che non consente forzature soggettivistiche distaccate dalla fiducia razionale della lotta di classe; e nemmeno la faciloneria di nuovi miti, che fìngono una nascita senza dolore del vecchio mondo, e un destino senza dolore del mondo nuovo» w. Per le Br la morte di Margherita Cagol è un nuovo impegno verso la lotta armata, un simbolo militante da onorare con l'esempio e intensificando l'offensiva militare. Alla sua memoria si deve formare una nuova leva di militanti combattenti: «che mille braccia si protendano per raccogliere il suo fucile! Noi, come ultimo saluto diciamo "Mara" un fiore è sbocciato, e questo fiore di libertà le Brigate rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria! Lotta armata per il comunismo» 164. Il risultato delle elezioni del 15 giugno non sembra interessare le vicende del terrorismo, continua la caccia dei carabinieri del generale Dalla Chiesa mentre il terrorismo di sinistra si fa sempre più aggressivo, comincia a contare i suoi morti e si fa ancora più vendicativo, risponde agli arresti esasperando la sua militarizzazione, intanto un'incontrollata esplosione di sigle armate. A Milano nuovi arresti. Il 18 giugno in seguito a uno scontro a fuoco sono arrestati Pierluigi Zappada, perito in telecomunicazioni e dipendente fino a un mese prima della Sit-Siemens, e Attilio Casaletti brigatista del gruppo emiliano. Sono riconosciuti come mèmbri del Gommando che ha liberato Curcio. A Milano, Prima linea, gruppo nato da Lotta continua, ingaggia uno scontro a fuoco con le forze dell'ordine. Ancora una morte per i Nap. Un' altra donna terrorista uccisa in un conflitto a fuoco, si tratta di Anna Maria Mantini. Dopo il sequestro Di Gennaro il gruppo è braccato dalle forze dell'ordine. Non hanno alle spalle la capacità organizzativa delle Br e non è difficile seguirne le mosse. Il successo del sequestro si dimostra ben presto effimero, uno dopo l'altro sono scoperti i covi nappisti. Roma è la città dove le indagini si fanno più fitte. Il 7 luglio, il lungo appostamento nell' appartamento di via dei Due Ponti. I sei carabinieri sono guidati dal vicebrigadiere Antonio Tuzzolino sarà lui a colpire Anna Maria Mantini, mentre entra nelTapparta-mento. La versione dei fatti sarà incerta, il braccio del brigadiere che impugna la pistola rimane incastrato nella porta chiusa rapidamente dalla nappista, improvviso parte il colpo mortale. Non molti crederanno all'incidente. «Gravi e inquietanti domande accompagnano la cronaca della morte di Anna Maria Mantini, la ragazza dei Nap, uccisa ieri a Roma». Così scrive Giampaolo Pansa sul «Corriere della Sera». Sette mesi più tardi arriverà la vendetta dei Nap. Tuzzolino sarà raggiunto da sei colpi di P.38 e rimarrà paralizzato. Come già è accaduto per i processi, anche per gli «espro-pri», le Br decidono di far cadere ogni anonimato. L'organizzazione terroristica sceglie di rivendicarne la paternità, nobilitandoli non solo come strumenti di autofinanziamento ma di vero e proprio radicamento del «potere proletario». Il primo esproprio firmato è quello di Lonigo (Vicenza), 15 luglio alla Banca popolare agricola vengono rapinati 42 milioni, il successivo sarà quello di Genova, 8 ottobre, alla Cassa di risparmio dell'ospedale di San Martino, che frutta ali organizzazione 118 milioni». Dalla morte di Margherita Cagol al nuovo arresto di Curcio, che avverrà il 18 gennaio '76, le Br sviluppano tutto l'arma-mentario tipologico terroristico, ai due espropri si aggiungono i due sequestri di Torino; 21 ottobre è la volta di Enrico Botta dirigente della Singer di Leini e capogruppo democristiano a Rivoli; a Genova il 22 ottobre è sequestrato Vincenzo Casabo-na, capo del personale della Ansaldo; a Milano il 29 ottobre la perquisizione del centro studi della Confindustria; a Torino il 17 dicembre la gambizzazione di Luigi Solerà medico della Fiat. A dimostrazione della loro forza e come segno di vendetta numerosi attacchi a caserme dei carabinieri; il 10 dicembre la caserma di via Montecatini a Milano, è distrutto un automezzo; il 13 gennaio '76 nella stessa città la Caserma di Quarto Oggia-ro; il 14 gennaio a Genova sono attaccate simultaneamente con ordigni esplosivi due caserme provocando la distruzione di cinque automezzi. A Milano, il 18 gennaio '76, Renato Curcio è di nuovo arrestato dopo un violento scontro a fuoco in cui rimangono feriti il leader delle Br e il brigadiere dei carabinieri Lucio Prati. Curdo vive con la sua nuova compagna Nadia Mantovani in un appartamento di via Maderno affittato da Adriano Colombo operaio dell'Alfa di Milano. I carabinieri arrestano tre brigatisti che orbitano attorno ali'appartamento del capo: Silvia Rossi, Vincenzo Guagliardo e Angelo Basone, operaio disoccupato. Successivamente scatta l'operazione per l'arresto di Curcio. Il terrorista, come poi spiegherà, teme di essere ucciso, alla richiesta di arrendersi replica con il fuoco, una sparatoria di 21 minuti. Ferito si consegna ai carabinieri insieme a Nadia Mantovani. Ancora a Roma un'apparizione dei Nap. Il 28 gennaio un commando gambizza il giudice Pietro Margariti consigliere di Cassazione e capo dell'ufficio detenuti del Ministero di grazia e giustizia, si occupa del trasferimento dei detenuti. Dopo l'arresto di Renato Curcio è la volta di Giorgio Se-meria, 1 ex-studente modello del liceo milanese Cesare Beccarla, il leader più autorevole del gruppo. Un ruolo che potrà ricoprire per poco, sarà infatti arrestato il 22 marzo dello stesso anno. La risposta agli ultimi arresti è immediata. Le Br nel loro bollettino interno Lotta armata per il comunismo individuano come principale bersaglio l'arma dei carabinieri «l'arma specifica della borghesia per combattere le organizzazioni rivoluzionarie». Il 9 febbraio la vendetta dei Nap contro il vicebrigadiere Tuzzolino. Il primo marzo comandi unificati Br e Nap assaltano simultaneamente le caserme dei carabinieri di Milano, Torino, Genova, Roma, Napoli, Firenze, Pisa. Per la prima volta un comunicato congiunto fra le due organizzazioni. Il terrorismo sta mutando forma si va coniugando agli spezzoni militari di un estremismo in dissolvimento; comincia a coprirsi coi cortei: il 25 marzo a Milano numerose incursioni si svolgono in concomitanza allo sciopero generale indetto dai sindacati, la stessa sera scontri al concerto jazz al Palalido. Mentre la situazione politica volge rapidamente verso le elezioni anticipate si estendono gli obiettivi del terrorismo rosso: sedi di partito, caserme, fabbriche, dirigenti come nel caso del presidente dell' Unione petrolifera Giovanni Theodoli, magistrati come nel caso dell'attentato al giudice Paolino Dell'Anno. L'8 giugno, mancano 12 giorni al voto del 20 giugno, un Gommando guidato da Giuliano Naria ex operaio dell'Ansaldo di Genova e da Rocco Micaletto ex operaio della Fiat, uccide a Genova il procuratore capo Francesco Coco, il suo autista — l'appuntato dei carabinieri — Antioco Dejana e la guardia Giovanni Saponara 165. Iniziano gli anni più cruenti dell'offensiva terroristica.
NOTE 1 Proposta di foglio di lavoro, documento ciclostilato. 2 Cfr. A. Silj, «Mai più senza fucile! Alle origini dei Nap e delle Br», Vallecchi, 1977, pp. 54-55. 3 Stralci del primo Bollettino del Comitato politico metrolitano dell'8 settembre '69 sono riportati su «L'Europeo», n. 18, 1974. 4 «Sinistra proletaria», numero unico in attesa di autorizzazione, luglio 1970. 5 Volantino, Lettera aperta degli impiegati della Sit-Siemens, in Operai-impiegati quale unità, «Quaderni operai», n. 2, a cura del Cpo Sit-Siemens, 1972. 6 M. Cavallini, «II terrorismo in fabbrica, interviste con gli operai della Fiat, Sit-Siemens, Magneti Marcili, Alfa Romeo», Editori Riuniti, 1978, p. 102. 7 Gruppo di studio Ibm, «Ibm, capitale impcrialistico e proletario moderno», Sapere, 1973. 8 Volantino del Gruppo di studio Sit-Siemens, in «Sinistra proletaria», numero unico, luglio 1970. 9 M. Cavallini, «II terrorismo in fabbrica», cit., p. 109. 10 «Sinistra proletaria», numero unico, luglio 1970. 11 «L'Europeo», n. 18, 1974. 12 Gruppo di studio Ibm, «Ibm, Capitale imperialistico e proletariato moderno», cit. 13 ibidem. 14 ibidem. 15 ibidem. 16 «II Collettivo», numero unico, gennaio 1970. 17 ibidem. 18 ibidem. 19 Soccorso Rosso, Brigate rosse. «Che cosa hanno fatto, che cosa hanno detto, che cosa se ne è detto», Feltrinelli, 1976, p. 46. 20 Appunti per una discussione, autunno, 1969; cfr. V. Tessandori, «Br, imputazione banda armata», p. 40. 21 Emancipazione della donna!?, volantino del Cpm, marzo 1970. 22 Documento gennaio 1970, del Cpm-Collettivo lavoratori-studenti, Sviluppo e ristrutturazione della scuola serale come istituto produttivo, riportato anche in: «Le lotte dei lavoratori-studenti», a cura della Corrente proletaria dei lavoratori-studenti, Sapere, 1970. 23 Lavoratori studenti, contro lo sfruttamento ribellarsi è giusto, Foglio di lotta del Cpm, del 24 marzo 1970. 24 «L'Espresso», n. 1, gennaio 1975. 25 «Sinistra proletaria», rivista, n. zero, luglio 1970. 26 Chi ha paura della crisi. Foglio di lotta di «Sinistra proletaria», luglio 1970. 27 «Sinistra proletaria», rivista n. 1/2, settembre-ottobre 1970. 28 Chi ha paura della crisi, Foglio di lotta di «Sinistra proletaria», luglio 1970. 29 I padroni la guerra ce l'hanno dichiarata, Foglio di lotta di «Sinistra proletaria», luglio 1970. 30 Foglio di lotta di «Sinistra proletaria» del 20 ottobre 1970. 31 Organizziamo la nuova resistenza, Foglio di lotta di «Sinistra proletaria», gennaio 1971. 32 Lotta per le riforme, lotta per il potere, «Sinistra proletaria», foglio di lotta del Cpm, giugno 1970. 33 «Sinistra proletaria», n. 1/2, settembre-ottobre 1970. 34 Cosa vogliamo? Vogliamo il potere. Foglio di lotta di «Sinistra proletaria», 28 ottobre 1970. 35 «Lotta continua», quindicinale 28 gennaio 1971. 36 Foglio di lotta di «Sinistra proletaria», 28 ottobre 1970. 37 T. Barbato, II terrorismo in Italia, Editrice bibliografica, 1980, p. 197. 38 « l'Unità», 26 gennaio 1971. 39 «Lotta continua», quindicinale n. 3, 17 febbraio 1971. 40 I testi integrali dei comunicati n. 1, 3, 4, 6 su «Brigate rosse», cit., p. 78 e sgg.; inoltre cfr.: «Rè nudo», n. 4, aprile 1971. 41 «Nuova resistenza», n. 1, aprile 1971. 42 Comunicato n. 3, «Rè nudo», n. 4, aprile 1971. 43 Comunicato n. 6, ibidem. 44 Comunicato n. 3, ibidem. 45 «Nuova resistenza», n. 1, aprile 1971. 46 ibidem. 47 ibidem. 48 Cfr.: M. Scialoja, Brigate rosse: Cosa e'è dietro, «L'Espresso», 28 aprile 1974. 49 «Nuova resistenza», n. 1, aprile 1971. 50 Cfr. G. Bocca, II terrorismo italiano 1970/1978, Rizzoli 1978, p. 19. 51 «Nuova resistenza», n. 1, aprile 1971. 52 Dichiarazione politica dei Gap-Milano, «II Potere operaio» quindicinale, n. 38/39, 17 aprile-10 maggio 1971. 53 ibidem. 54 «Nuova resistenza», n. 1, aprile 1971. 55 ibidem. 56 ibidem. 57 ibidem. 58 Bruciare le carceri è giusto,«Sinistra proletaria», n. 2, maggio 1971. 59 Cfr. V. Tessandori, «Br, imputazione: banda armata. Cronache e documenti delle brigate rosse», Garzanti, 1977, pp. 66-69. 60 «Brigate rosse» settembre 1971; Cfr.: Soccorso Rosso, «Brigate Rosse», cit., p. 102 e segg. 61 ibidem. 62 ibidem. 63 ibidem. 64 ibidem. 65 M. Cavallini, «II terrorismo in fabbrica», cit., p. 118. 66 «Pantere Bianche» numero unico diffuso a Milano, aprile 1972. 67 «l'Unità», 4 marzo 1972. 68 «Corriere della sera», 11 marzo 1972. 69 «Potere operaio» mensile, n. 47/48, 20 maggio-20 giugno 1972. 70 Cfr. Soccorso Rosso, «Brigate rosse», cit., p. 115. 71 «Avanguardia operaia», 25 marzo 1972. 72 «Processo Valpreda», quotidiano a cura di Lotta continua, 10 marzo 1972. 73 «Potere operaio», del lunedì, n. 5, 26 marzo 1972. 74 «Processo Valpreda», quotidiano a cura di Lotta continua, del 21 marzo 1972. 75 ibidem. 76 «ABC», n. 4, 1973. 77 «II Borghese», 14, 21, 28 gennaio e 4 febbraio 1973. 78 Sul ruolo di Pisetta e sull'intera vicenda del memoriale confronta G. De Lutiis, «Storia dei Servizi Segreti», Editori Riuniti, p. 241 e sgg. 79 Documento riprodotto nella requisitoria di Bruno Caccia Pm al processo contro le Br a Torino; cfr. Soccorso Rosso, «Brigate Rosse», cit., p. 124. 80 ibidem. 81 «Potere operaio del lunedì», n. 44, 11 marzo 1973. 82 «L'Espresso»,n. 1, gennaio 1975. 83 «Controinformazione», numero zero, ottobre 1973. 84 ibidem. 85 Guerra ai fascisti dicembre 1972, parzialmente pubblicato su «Lotta continua», 15 febbraio 1973. 86 Soccorso Rosso, Brigate Rosse, cit., p. 152. 87 «l'Unità», 16 gennaio 1973. 88 «Lotta continua», 17 gennaio 1973. 89 «l'Unità», 13 febbraio 1973. 90 Velleitarismo pratico e confusione ideologica, «Lotta continua», 15 febbraio 1973. 91 Brigate rosse, gennaio 1973, «Potere operaio», n. 44, 11 marzo 1973. 92 «Lotta continua», 15 febbraio 1973. 93 Chi è senza peccato, «Potere operaio», n. 46, 25 marzo '73. 94 ibidem. 95 ibidem. 96 Brigate rosse, gennaio 1973, «Potere operaio», n. 44, 11 marzo 1973. 97 ibidem. 98 ibidem. 99 Stralci del volantino sono riportati su «Corriere della sera», 30 giugno 1973; cfr. «Borghese», n. 33/34, 20 agosto 1975. 100 «l'Unità», 30 giugno, 1973. 101 «Avanti!» 30 giugno 1973. 102 «Lotta continua», 30 giugno 1973. 103 «Potere operaio del lunedì», n. 61, 16 luglio 1973. 104 ibidem. 105 Sui rapporti Potere operaio-Br, cfr.: G. Palombarini, «7 aprile: il processo e la storia», Arsenale cooperative Editrice, 1982, pp. 97-102; pp. 149-156. 106 «Controinformazione», n. 1/2; febbraio-marzo 1974. 107«l'Unità», 11 dicembre1973. 108 «Lotta continua», 11 dicembre 1973. 109 «Controinformazione», n. 1/2, febbraio-marzo 1974. 110 ibidem. 111 «Lotta continua», 18 dicembre 1973. 112 Contro il neogollismo portare l'attacco al cuore dello Stato pubblicato su «Giornale d'Italia» e «Tempo», 13 maggio 1974. 113 ibidem. 114 ibidem. 115 «II manifesto», 20 aprile 1974. 116 «II Messaggero», 20 aprile 1974. 117 ibidem. 118 «II Messaggero», 24 aprile 1974. 119 Cfr.: R. Cavedon, «Le sinistre e il terrorismo», Edizioni Cinque Lune, 1982, p. 137. 120 Cfr. Soccorso rosso. «Brigate rosse», cit., p. 198. 121 «Paese sera», 26 aprile 1974. 122 «II Tempo», 28 aprile 1974. 123 «Corriere della sera», 29 aprile 1974. 124 «Controinformazione» n. 3/4, 1974, oltre il comunicato sono pubblicati documenti delle Br sul ruolo del Crd e del Centro Sturzo. 125 Comunicato n. 4, «II Tempo», 6 maggio 1974. 126 Cfr. «Il Messaggero», 7 maggio 1974; Soccorso rosso. Brigate rosse, cit., p. 120. 127 Comunicato n. 5, «Paese sera», 10 maggio. 128 Una relazione sugli interrogatori a Sossi sarà mandata dalle Br a «L Espresso», che la pubblica nel n. 27, 1974. 129 «Lotta continua», 11 maggio 1974. 130 «Rosso», 11 giugno 1974. 131 «Panorama», n. 422, 23 maggio 1974. 132 «L'Espresso», n. 20, 1974. 133 Documento delle Br citato nella requisitoria del Pm Bruno Caccia, Soccorso Rosso, «Brigate rosse», cit., p. 237. 134 «L'Espresso», 2 giugno 1974. 135 «Controinformazione», n. 3/4, luglio 1974. 136 «Rosso», n. 11, giugno 1974. 137 «Rivista di classe», numero unico, 28 giugno 1974. 138 «Rosso», n. 11, giugno 1974. 139 «Controinformazione», n. 3/4, 15 luglio 1974. 140 ibidem. 141 Cfr. V. Tessandori, «Br, imputazione banda armata», cit., pp. 194-201. 142 «L Espresso», n. 1, gennaio 1975. 143 «L'Espresso», n. 38/22, settembre 1974. 144 G. Bocca, «II terrorismo italiano» 1970-1980, Rizzoli, 1978, p. 81. 145 ibidem. 146 Cfr. A. silj, Mai più sema fucile! Alle origini dei Nap e delle Br, cit., p. 128. 147 Cfr. ibidem, pp. 3-13. 148 Cfr. ibidem, pp. 99-116. 149 «Controinformazione», n. 5/6, 1974; cfr. Soccorso Rosso, «Brigate rosse», cit., p. 258. 150 «L'Espresso», n. 1, gennaio 1975. 151 ibidem. 152 ibidem. 153 Lettera dal carcere di Casale pubblicate su «ABC», n. 9, 6 marzo 1975; «Rosso», n. 15, marzo-aprile 1975. 154 ibidem. 155 Soccorso Rosso, «Brigate rosse», cit., p. 268. 156 Le carceri, documento Br dell' 11 aprile 1975, «L Espresso», n. 21, 25 maggio 1975. 157 Risoluzione della dirczione strategica, stralci sono riportati su "Gente" n. 40, 6 ottobre 1975, «L'Espresso», n. 41, 12 ottobre 1975. 158 ibidem. 159 ibidem. 160 «Corriere della sera», 16 maggio 1975. 161 «Quotidiano dei lavoratori», 8 giugno 1975. 162 «II Manifesto», 8 giugno 1975. 163 «Lotta continua», 8 giugno 1975. 164 Comunicato Br del 5 giugno 1975, «Corriere della sera», 7 giugno 1975. 165 Per la cronologia delle azioni terroristiche cfr. Soccorso Rosso, «Brigate rosse», cit.; T. Barbato, «II terrorismo in Italia», cit.; «Rapporto sul terrorismo. Le stragi, gli agguati, i sequestri, le sigle 1969-1980», a cura di M. Galloni, Rizzoli, 1981. |
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